Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4679 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 21/02/2020), n.4679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16471/2013 R.G. proposto da

F.M., rappresentato e difeso dall’avv. Orlando Renato

Cipriano, elettivamente domiciliato in Roma, via Monte Acero n. 2/A,

presso lo studio dell’avv. Gino Bazzani.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione staccata di Salerno, sezione n. 2, n. 133/2/12,

pronunciata il 12/04/2012, depositata il 9/05/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Avellino, F.M., titolare dell’omonima ditta, esercente attività di rivendita di telefoni mobili e fissi e di accessori, impugnò l’avviso di accertamento ai fini IRPEF, IRAP, ADD. REG., IVA, per il periodo d’imposta 2003, con il quale l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione maggiori ricavi, non dichiarati (Euro 33.350,00), sulla base del metodo di accertamento analitico-induttivo, previsto del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e contestò l’applicazione, da parte dell’ufficio, delle percentuali di ricarico riscontrate nel medesimo settore in cui operava l’impresa verificata;

la Commissione provinciale (con sentenza n. 350/4/2009), in accoglimento del ricorso, annullò l’avviso;

interposto appello da parte dell’ufficio, la Commissione tributaria regionale della Campania (sezione staccata di Salerno), con la sentenza menzionata in epigrafe, ha accolto il gravame ed ha dichiarato valido l’accertamento;

il giudice d’appello, per ciò che ancora rileva, ha affermato che, diversamente da quanto dedotto dal contribuente, che si doleva dell’applicazione della “media aritmetica” anzichè della “media ponderale”, il ricarico praticato dall’organo di controllo sul costo del venduto, costituito da tre tipi di prodotti maggiormente commercializzati, desunto da quello di imprese simili, operanti nella stessa zona, era stato del 40% sui telefonini, del 50% sugli accessori e del 5% sulle ricariche telefoniche; fondandosi su tali elementi oggettivi, la Commissione regionale ha reputato inattendibile il reddito dichiarato di Euro 8.962,00 e “inaccettabile” la percentuale di ricarico dichiarata del 6,36%;

il contribuente ricorre per la cassazione, sulla base di due motivi; l’Agenzia ha depositato “atto di costituzione”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

con il primo motivo del ricorso (1.p.. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente assume che l’ufficio aveva erroneamente ritenuto inattendibili le scritture contabili dell’esercizio commerciale, adottando un errato metodo di accertamento del reddito dell’impresa, in assenza del necessario contraddittorio con l’interessato, ed aveva calcolato la percentuale di ricarico, applicata ai generi venduti, mediante la media aritmetica semplice e non la media aritmetica ponderata; sostiene, conclusivamente, che l’accertamento analitico-induttivo è nullo perchè le scritture contabili, pur presentando alcune discrasie, non erano connotate da falsità e inesattezze così gravi da renderle complessivamente inattendibili;

il motivo è inammissibile;

nonostante il tenore letterale della rubrica del mezzo d’impugnazione, la critica del contribuente si rivolge, in modo non consentito, esclusivamente all’atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria, senza minimamente mettere in discussione la ratio decidendi della sentenza d’appello;

con il secondo motivo (2.p.. Vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento alla erronea applicazione della media aritmetica semplice in luogo di quella ponderata), il ricorrente censura la sentenza impugnata per essersi limitata a confermare “senza motivazione alcuna” (cfr. pag. 10 del ricorso per cassazione) l’accertamento analitico-induttivo dell’ufficio, il quale, come precisato, era nullo, per assenza dei necessari presupposti, ed errato, a causa dell’applicazione di “una percentuale di ricarico per categoria di merce di per sè soggetta a differenti aliquote e percentuali di ricarico” (cfr. pag. 8 del ricorso per cassazione), ferma la considerazione che l’organo di controllo aveva erroneamente reputato che fossero soggetti a IVA i ricavi derivanti dalla vendita di ricariche telefoniche, la quale invece è soggetta alla disciplina del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74, comma 1, che prevede l’assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto solo da parte del soggetto che opera “a monte”;

il motivo è inammissibile;

posto che la sentenza della Commissione regionale è stata pubblicata il 9/05/2012, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione anteriore alla novella introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate a partire dall’11/09/2012), secondo cui il vizio di motivazione consiste nella: “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;

questa Corte, anche di recente (Cass. 3/10/2018, n. 24035), ha chiarito che “il “fatto” ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014); il fatto in questione deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006);

nella specie, alla sentenza impugnata – che, è utile evidenziarlo, illustra con sufficiente chiarezza il proprio sostrato argomentativo – è rivolta una critica generica di difetto di motivazione, senza l’indicazione, necessaria per i principi di diritto che precedono, del fatto (in senso storico-naturalistico), decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso, nonchè delle concrete ragioni del dissenso rispetto all’adottata ratio decidendi;

ne consegue l’inammissibilità del ricorso;

nulla si dispone sulle spese del giudizio di legittimità, nel quale l’Agenzia non ha svolto alcuna difesa.

PQM

la Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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