Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4679 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. III, 14/02/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 14/02/2022), n.4679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12873/2019 proposto da:

LA PULITECNICA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN ERASMO 19,

presso lo studio dell’avvocato DILETTA BOCCHINI, e rappresentata e

difesa dall’avvocato NAZZARENO LANNI;

– ricorrente –

contro

ASUR MARCHE – AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. ANTONELLI 49, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

COLARIZI, e rappresentata e difesa dall’avvocato MARISA BARATTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25927/2018 della CORTE DI CASSAZIONE,

depositata il 16/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2021 – tenutasi ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23,

comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del

2020, dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 844 resa pubblica il 30 maggio 2017 – ritenendo inapplicabile, nel caso sottoposto alla sua cognizione, la previsione di decorrenza automatica degli interessi di mora recata dalla L.R. Marche n. 31 del 1981, art. 73, commi 1 e 3, in quanto disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime con sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 1998 – accolse il gravame interposto dall’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (di seguito anche solo ASUR-Marche”) avverso la sentenza, resa dal primo giudice, di condanna al pagamento delle somme, richieste dal La Pulitecnica s.r.l., a titolo di interessi moratori e maggior danno per il ritardo nel pagamento di corrispettivi dovuti per lo svolgimento di prestazioni di pulizia nell’arco di tempo intercorrente tra il mese di maggio del 1999 e il mese di gennaio del 2002.

2. – Avverso tale sentenza La Pulitecnica s.r.l. proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Resisteva con controricorso la ASUR-Marche.

2.1. – Questa Corte, Sezione Sesta – 3 civile, rigettava il ricorso con ordinanza n. 25927 del 16 ottobre 2018.

Il Collegio, in particolare, reputava infondato il primo motivo (deducente – avverso la statuizione del giudice di appello in ordine al fatto che “la dichiarazione di illegittimità costituzionale (avesse) riguardato, oltre alla misura degli interessi, anche la loro decorrenza – la violazione e falsa applicazione della L.R. Marche n. 31 del 1981, art. 73), osservando che: a) “il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale concerne(va) sia il primo che il comma 3 dell’art. 73 della Legge Regionale (senza prevedere alcuna salvezza in relazione a specifici profili) e la ratio della pronuncia – fondata sul rilievo che al legislatore regionale è preclusa la possibilità di “incidere sulle regole civilistiche relative all’adempimento delle obbligazioni pecuniarie e alle conseguenze dell’inadempimento delle stesse” è tale da valere (…) in ordine sia alla misura che alla decorrenza automatica degli interessi”; b) “né (poteva) riconoscersi alcuna rilevanza alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, applicabile soltanto ai contratti successivi alla sua entrata in vigore”.

3. – La Pulitecnica s.r.l. ha proposto, avverso l’ordinanza n. 25927 del 2018, ricorso per revocazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4; la ricorrente ha, altresì, depositato memoria.

Resiste ASUR-Marche con controricorso, illustrato da memoria.

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

La decisione è stata resa in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della forma di sentenza in forza dell’art. 375 c.p.c., u.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con unico motivo rescindente, parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, l’errore revocatorio, che graverebbe l’ordinanza impugnata, sulla scorta del rilievo per cui questa Corte avrebbe “incluso”, nella pronuncia di illegittimità costituzionale della predetta L.R. n. 31 del 1981, art. 73, commi 1 e 3, altresì la “decorrenza automatica degli interessi”, là dove la Corte costituzionale avrebbe, invero, dichiarato l’incostituzionalità di tale norma “soltanto in ordine alla misura degli interessi”.

1.1. – Il lamentato errore revocatorio si evincerebbe dalla lettura del percorso logico-argomentativo della summenzionata sentenza della Corte costituzionale.

In particolare – argomenta la ricorrente società – “la Corte costituzionale non avrebbe mai potuto pronunciarsi sulla decorrenza automatica degli interessi, sia perché la questione non era mai e poi mai dedotta e sollevata nelle ordinanze di rimessione (…) sia perché la stessa non poteva decidere oltre gli stretti binari della remissione”.

Tale prospettazione sarebbe, peraltro, confermata dalle massime tratte dalla sentenza ad opera dell’Ufficio del Massimario” della Corte costituzionale, in quanto in esse non sarebbe rinvenibile riferimento alcuno alla “decorrenza automatica degli interessi”.

1.2. – Parte ricorrente, in via alternativa, chiede, ove questa Corte “rilevi nella sentenza della Corte costituzionale n. 82/1998 una discrasia tra quanto affermato in motivazione e quanto riportato in dispositivo a causa di un errore materiale”, che: a) sia investita la stessa Corte costituzionale della correzione dell’anzidetto errore materiale; b) venga, in via gradata, sollevato incidente di costituzionalità “per la correzione della sentenza n. 82/1998 nella parte in cui il dispositivo eccede rispetto alla questione rimessa e rispetto al dato motivazionale, escludendo dal dispositivo la parte relativa alla decorrenza automatica degli interessi alla scadenza del termine di dilazione”.

2. – Il ricorso per revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, è inammissibile.

2.1. – E’ orientamento consolidato di questa Corte quello per cui l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali.

L’errore, dunque, deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato; b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (fra le molte, più di recente, Cass. n. 16439 del 2021).

Sicché, è inammissibile il rimedio della revocazione in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non siano decisivi in se stessi, ma debbano essere valutati nel più ampio contesto delle risultanze di causa o, infine, errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi (tra le altre, Cass. n. 2969 del 2001; Cass. n. 14610 del 2021).

2.2. – Nella specie, la natura della censura prospettata da parte ricorrente non attiene alla deduzione di un errore di fatto nei termini di un “vizio di assunzione del fatto”, bensì essa si risolve in una prospettazione critica che, nell’aggredire l’interpretazione del giudice di legittimità in ordine al contenuto, nonché al percorso logico-motivazionale e al dispositivo propri della pronuncia del Giudice delle leggi (sentenza n. 82 del 1998), si palesa affatto estranea al perimetro entro il quale è consentito dedurre l’errore revocatorio di cui dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Peraltro, l’estraneità della doglianza rispetto al paradigma dettato dalla citata norma processuale è apprezzabile anche in ragione della circostanza per cui l’asserito errore revocatorio verte su punti dibattuti nel corso del giudizio di legittimità, giacché proprio sulla portata dell’anzidetta decisione della Corte costituzionale insistevano le censure del primo motivo di ricorso avverso la sentenza di appello (grado in cui, peraltro, si era già controverso sullo stesso thema decidendum).

2.3. – Le istanze, avanzate in via alternative e/o gradata da parte ricorrente, di investire la Corte costituzionale della correzione di errore materiale della sentenza n. 82 del 1998 o, comunque, di sollevare incidente di costituzionalità in relazione all’asserita discrasia tra parte motiva e dispositivo della medesima sentenza, sono manifestamente inammissibili, giacché affatto irrilevanti una volta dichiarata l’inammissibilità del ricorso per revocazione proposto ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

3. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e parte ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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