Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4678 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. III, 14/02/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 14/02/2022), n.4678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22120/2019 proposto da:

ENERGO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VINCENZO CARACCIOLO;

– ricorrente –

contro

SBE VARVIT S.P.A., (incorporante per fusione la SBE ENERGY S.R.L.),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 32, presso lo studio

dell’avvocato MARA CURTI, e rappresentata e difesa dall’avvocato

MAURIZIO MICULAN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12716/2019 della CORTE DI CASSAZIONE,

depositata il 14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO CARACCIOLO;

udito l’Avvocato MARA CURTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Gorizia, con sentenza n. 299/2015, accolse la domanda – formulata dalla società Energo s.r.l. nei confronti della SBE Energy s.r.l. (di seguito anche solo SBE) – di risoluzione, per inadempimento, di contratto di appalto, stipulato nel 2007 per la fornitura di gas, condannando la SBE al risarcimento dei danni liquidati in Euro 122.292,50 a titolo di sorte capitale, nonché la società Energo alla restituzione, ai sensi dell’art. 1458 c.c., di Euro 250.000.00, a titolo di ratei dei corrispettivi per i lavori già eseguiti.

2. – La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza n. 602 resa pubblica il 5 ottobre 2016, rigettò l’appello principale della Energo s.r.l. e, in accoglimento del gravame incidentale interposto dalla SBE Energy, respinse la domanda di risarcimento danni proposta originariamente dalla stessa Energo s.r.l..

3. – Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione quest’ultima società soccombente.

Resisteva con controricorso la SBE Energy s.r.l..

3.1. – Con ordinanza n. 12716 resa pubblica il 14 maggio 2019, questa Corte, Terza Sezione Civile, dichiarava “improcedibile il ricorso”.

A tal fine, e per quanto ancora rileva in questa sede, il Collegio osservava che: a) nel ricorso per cassazione (p. 1) si affermava che “La sentenza n. 602/2016… emessa dalla Corte d’appello di Trieste… (e’ stata)… pubblicata in data 5 ottobre 2016, notificata alla Energo S.r.l. in data 02.12.2016…”; a.1) la “copia della sentenza depositata presso la Cancelleria di questa Corte reca in calce la attestazione di conformità all’originale rilasciata, in data 30.11.2016, dall’assistente giudiziario B.M., ma è priva della relata di notifica, che non si riviene neppure nel fascicolo della parte resistente”; a.2) il ricorso era, quindi, improcedibile per “omesso deposito di copia della sentenza impugnata corredata della relata di notifica”, come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2; b) in ogni caso, “i motivi del ricorso risultavano comunque inammissibili od infondati”.

4. – Energo s.r.l. ha proposto, avverso l’ordinanza n. 12716/2019, ricorso per revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

Resiste con controricorso la SBE Varvit S.p.A. (incorporante per fusione la SBE Energy s.r.l.), la quale ha proposto anche istanza, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., di condanna della ricorrente al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con unico motivo rescindente, la Energo s.r.l. si duole dell’errore revocatorio che graverebbe, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, l’ordinanza impugnata, sul rilievo per cui questa Corte sarebbe incorsa in “un errore di percezione relativo a un dato di fatto incontestabile, (non risulta(ndo) agli atti, né (essendo) desumibile indirettamente, che la sentenza sia stata notificata al procuratore costituito)”.

Tale errore di fatto emergerebbe dalla lettura del ricorso per cassazione, là dove si evidenziava che: “La sentenza n. 602/2016 (…) emessa dalla Corte d’Appello di Triste (e’ stata) pubblicata in data 5 ottobre 2016, notificata alla Energo s.r.l. in data 02.12.2016”.

Da ciò si sarebbe dovuto evincere chiaramente che la sentenza della Corte d’appello era stata notificata alla parte personalmente e non – come sarebbe stato dovuto – al procuratore costituito ai sensi dell’art. 170 c.p.c., con conseguente “ininfluenza” della effettuata notifica in ordine alla decorrenza del termine breve di cui all’art. 326 c.p.c., come, del resto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite (sentenza n. 12898 del 2011).

Pertanto, l’omessa allegazione della relata di notifica dipendeva dalla circostanza che “in realtà non esiste(va) alcuna notifica della sentenza al procuratore costituito”, l’unico che avrebbe avuto effetti ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Lo e’, anzitutto, in quanto la denuncia dell’errore revocatorio attinge unicamente la declaratoria di improcedibilità, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per “omesso deposito di copia della sentenza impugnata corredata della relata di notifica”, ma non già le ulteriori rationes decidendi, enunciate dall’ordinanza n. 12716 del 2019, secondo cui “i motivi del ricorso risultavano comunque inammissibili od infondati”, alla stregua delle argomentazioni partitamente sviluppate in riferimento a ciascun motivo da p. 7 a p. 11 dell’ordinanza stessa.

2.1. – A tal fine, giova rammentare che l’errore di fatto che, a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, legittima la revocazione dei provvedimenti (sentenze od ordinanze) della Corte di Cassazione in forza dell’art. 391 bis c.p.c., non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione delle cose, ma deve avere anche carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronunzia sarebbe stata diversa (tra le molte, Cass. n. 13915 del 2005; Cass. n. 25376 del 2006; Cass. n. 3935 del 2009; Cass. n. 24334 del 2014; Cass. n. 6038 del 2016).

Sicché, nel caso in cui la statuizione contenuta nel provvedimento revocando si regga su più autonome rationes decidendi, una sola delle quali revocabile perché viziata da errore percettivo, la permanenza della seconda comporta il venir meno proprio del requisito indispensabile della decisività dell’errore revocatorio, ossia dell’idoneità a travolgere la ragione giuridica sulla quale si regge il provvedimento impugnato.

Un siffatto principio, riferito ad impugnazioni revocatorie ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, è stato da questa Corte enunciato in molteplici occasioni.

In particolare, e in via meramente esemplificativa, è stata ravvisata l’inammissibilità della revocazione da:

– Cass. n. 80 del 2009 in un caso in cui era stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., sia per mancata richiesta del fascicolo di ufficio (ratio denunciata come errore revocatorio) sia per mancato deposito dei fascicoli di parte (ratio ulteriore);

– Cass. n. 7413 del 2013 in un caso in cui era stato dichiarato inammissibile il controricorso sia per la tardività della sua notifica (ratio denunciata come errore revocatorio), sia perché atto inidoneo ad essere qualificato come controricorso (ratio ulteriore);

– Cass. n. 15109 del 2015, Cass. n. 25871 del 2017, Cass. n. 1936 del 2018, Cass. n. 9838 del 2018 e Cass. n. 25713 del 2021: tutti casi in cui i motivi di ricorso erano stati reputati inammissibili sia per difetto di autosufficienza (ratio denunciata come errore revocatorio), sia per altre violazioni di legge processuale o sostanziale (rationes ulteriori);

– Cass. n. 14088 del 2018 in caso in cui in cui era stato dichiarato inammissibile un motivo di ricorso per mancata produzione di documento decisivo (ratio denunciata come errore revocatorio), sia perché lo stesso era infondato (ratio ulteriore);

– Cass. n. 1693 del 2019 in caso in cui in cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso sia per essere le censure deducenti un vizio di motivazione non rispondente al paradigma dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5 (ratio ulteriore), sia perché le censure stesse investivano la valutazione delle prove da parte del giudice di merito (ratio denunciata come errore revocatorio).

Si tratta, dunque, di principio di diritto affatto consolidato, che copre ad ampio spettro ipotesi diverse, implicanti il raffronto tra rationes di natura processuale – non solo riferite ad oneri di contenuto-forma del ricorso, ma anche (come, ad es., in Cass. n. 80 del 2009 e Cass. n. 7413 del 2013) a pregiudiziali di rito rispetto all’esame del contenuto dell’atto del giudizio di legittimità – o sostanziale, anche tra loro combinate.

Nel caso, come quello in esame, di reiezione del ricorso per cassazione ad opera del provvedimento revocando – che determina, dal momento stesso della pubblicazione di tale sentenza, il passaggio in giudicato della decisione di merito impugnata (Cass. n. 11737 del 2019) -, l’ampio raggio di azione che assume il requisito, legale, della decisività dell’errore ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, nel rendere sterile l’impugnazione revocatoria anche nell’ipotesi in cui essa non attinga tutte le rationes decidendi che sorreggono la statuizione oggetto di denuncia – e, tra queste, pure quelle ulteriori alla decisione pregiudiziale di rito (come nel caso di specie) -, si giustifica in forza della configurazione stessa che il legislatore ha dato all’istituto regolato dall’art. 391 bis c.p.c..

In tal senso, la previsione legale di decisività dell’errore revocatorio si innesta in un rimedio che, per un verso, riveste carattere straordinario, per l’effetto di cosa giudicata formale ex art. 324 c.p.c., attinente alla sentenza del giudice di merito; mentre, per altro verso, in forza della previsione del termine fisso di decorrenza per la sua proposizione, tale rimedio mostra una tensione massima al conseguimento della stabilità di quel giudicato, quale valore che trova radicamento nel “principio di ragionevole durata del processo e (nel)l’annesso divieto di protrazione all’infinito dei giudizi (art. 111 Cost.)” (così Cass., S.U., n. 26672 del 2020).

All’interno di siffatto perimetro assume rilievo, in guisa di fattore corroborante la tenuta del principio sopra enunciato, anche la funzione nomofilattica che l’art. 65 ord. giud., riserva al giudice di legittimità e che il legislatore ha inteso sempre più valorizzare nell’ultimo decennio, tramite plurimi interventi di riforma del giudizio di legittimità (si vedano, ad es., gli artt. 360 bis, 363 c.p.c., art. 374 c.p.c., comma 3, art. 384 c.p.c., comma 1).

3. – Sussiste, peraltro, un’ulteriore e autonoma ragione di inammissibilità del ricorso.

3.1. – In tema di revocazione dei provvedimenti della Corte di Cassazione la configurabilità dell’errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva (quale documentata in atti) induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonché posto a fondamento dell’argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità (Cass. n. 16447 del 2009; Cass. n. 1383 del 2012).

A tale riguardo, come ancora precisato da questa Corte (tra le altre, Cass. n. 2969 del 2001; Cass. n. 3494 del 2013; Cass. n. 16439 del 2021), l’errore di fatto revocatorio consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione.

E’, pertanto, inammissibile il rimedio della revocazione in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non siano decisivi in se stessi, ma debbano essere valutati nel più ampio contesto delle risultanze di causa, o, infine, errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi.

3.2. – Nel caso in esame, la prospettazione di parte ricorrente non è deduttiva di un errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, giacché non pone neppure in discussione il fatto su cui l’ordinanza n. 12716 del 2019 fonda la declaratoria di improcedibilità del ricorso, ossia l’omesso deposito della relata di notifica della sentenza di appello, adducendosi soltanto un (ipotetico) errore di valutazione nell’interpretazione dell’atto di impugnazione in sede di legittimità e, di conseguenza, degli effetti giuridici connessi alla disciplina della patologia della notifica di sentenza effettuata non al procuratore costituito, bensì personalmente alla parte.

In altri termini, la Energo s.r.l. non deduce un “vizio di assunzione del fatto”, che avrebbe potuto aver luogo ove la relata di notifica fosse stata davvero prodotta nel giudizio di legittimità e la Corte l’avesse erroneamente percepita nella sua materiale portata contenutistica, asserendo – contrariamente a quanto palesemente in essa trascritto (e, dunque, per una mera svista) – che la notificazione era stata effettuata presso il procuratore costituito in grado di appello.

Al contrario, essendo fatto incontroverso e incontestato l’omesso deposito della relata di notificazione della sentenza di appello (e, dunque, risultando impossibile al Collegio decidente errare sul contenuto materiale di quella relata, giacché non in atti), quanto deduce la Energo s.r.l. e’, come detto, la sussistenza di un errore di interpretazione – e, quindi, di un errore di giudizio – sia sulla portata del significato dell’espressione, presente soltanto nel ricorso per cassazione (p. 1) e priva di ulteriori specificazioni, per cui detta sentenza era stata “notificata alla Energo s.r.l.” e, dunque, (secondo l’esegesi di parte ricorrente) per ciò solo effettuata alla parte personalmente e non presso il suo procuratore costituito, sia sugli effetti giuridici (sempre secondo la prospettazione di parte ricorrente) della corretta lettura che si sarebbe dovuto, conseguentemente, ascrivere alla predetta espressione, ossia quella per cui la notificazione della sentenza di secondo grado, una volta effettuata alla parte personalmente, non avrebbe comportato alcuna decorrenza del termine breve di impugnazione.

4. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e parte ricorrente condannata al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

5. – Sussistono i presupposti della condanna ex art. 96 c.p.c., oggetto dell’istanza della società controricorrente, in quanto integra la “colpa grave” – quale stato soggettivo che si concreta nel mancato doveroso impiego di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l’ingiustizia della propria domanda – la proposizione di un ricorso per revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, che prospetta, in contrasto con consolidata giurisprudenza (tra le altre, Cass., n. 3948 del 1989; Cass. n. 1592 del 1994; Cass. n. 2040 del 2018), come vizio revocatorio un preteso errore di giudizio commesso dalla Corte stessa, senza neppure considerare che la decisione resa dall’ordinanza impugnata era, comunque, sorretta da ulteriori, autonome, rationes decidendi che la stessa società ricorrente ha reputato esenti da vizi revocatori.

In ordine al quantum della condanna da irrogare, appare ragionevole assumere come parametro di riferimento la percentuale di un quinto dell’importo liquidato per le spese dovute alla parte vittoriosa per il grado di giudizio, onde si stima equo condannare il ricorrente al pagamento in favore della controparte della ulteriore somma, omnicomprensiva, di Euro 2.000,00.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 10.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

condanna la parte ricorrente al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., in favore della società controricorrente, che liquida in Euro 2.000,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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