Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4677 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. III, 14/02/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 14/02/2022), n.4677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 31431/2019 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DI SAN VALENTINO 21, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

CARBONETTI, che la rappresenta e difende;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 7365/2019 della CORTE DI CASSAZIONE,

depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato GRAZIA TIBERI POMPONI, per delega;

udito l’Avvocato FABRIZIO CARBONETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 1212 resa pubblica il 25 maggio 2011, rigettò la domanda di risarcimento del danno formulata da M.V., in qualità di amministratore delegato della Datevik s.r.l., nei confronti della Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A. (già Banca Nazionale dell’Agricoltura S.p.A.) – dovuto all’illegittima revoca dell’affidamento bancario concesso a detta società (Datevik s.r.l.), nonché all’illegittimo conseguente atto di protesto levato.

2. – La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 586 resa pubblica il 13 marzo 2017, rigettò il gravame interposto dal sig. M..

3. – Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il M..

Resisteva con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., incorporante per fusione la Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A..

3.1. – Questa Corte, Terza Sezione Civile, con ordinanza n. 7365 resa pubblica il 15 marzo 2019, rigettava il ricorso.

Il Collegio, in particolare, osservava che: a) la doglianza in ordine all’esistenza di contratto di apertura del credito domandava una “evidente valutazione alternativa del compendio probatorio rispetto a quella veicolata dal giudice di merito”; b) “la Corte territoriale aveva, (infatti), accertato nel senso che non fu stipulato il contratto di apertura del credito, rendendo in tal modo irrilevante ogni questione relativa al recesso da un preteso contratto”; c) era, dunque, inammissibile il motivo, deducente “anche un fatto nuovo”, con il quale si chiedeva “al giudice di legittimità di accertare che vi fu la conclusione del contratto di apertura di credito, ovvero di sostituirne l’accertamento positivo a quello negativo effettuato dal giudice di merito”.

4. – Il M. ha proposto, avverso tale ordinanza, ricorso per revocazione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, altresì depositando memoria.

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ha depositato “atto di costituzione” al fine di partecipare ad eventuale udienza di discussione.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

La causa è stata discussa in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con unico motivo rescindente, parte ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, dei seguenti asseriti errori revocatori che graverebbe la ordinanza impugnata, assumendo – dopo aver sviluppato argomentazioni in ordine: alla “erronea valutazione del compendio probatorio” circa la “illegittima levata del protesto e sulla ricorrenza di danni patrimoniali e non patrimoniali” (pp. 8-14 del ricorso); “sul recesso illegittimo della Banca e sulla mancata comunicazione al cliente. Danni derivati al ricorrente dal recesso illegittimo” (pp. 14-16 del ricorso); “sulla conclusione del contratto di apertura di credito e rapporto di conto corrente per fatti concludenti” (pp. 16-17 del ricorso):

a) “per quel che concerne il motivo sub) 1”, sarebbe evidente “come il ricorrente abbia fornito in tutti i gradi di giudizio molteplici elementi di prova, peraltro anche di diversa natura, tutti comprovanti univocamente: i) la sussistenza di un rapporto bancario pluriennale fra le parti, e segnatamente, di un rapporto di conto corrente; ii) l’esistenza di un contratto di apertura di credito a far data dal 2.11.1992; iii) la revoca illegittima del fido precedentemente concesso a far data dal 19.11.1992 (…)”;

b) per” quel che concerne il motivo sub 2), l’istituto di credito resistente, come risultante “pacificamente” dalla documentazione in atti e come “confermato dalla medesima controparte, ha comunicato al cliente il recesso dall’apertura di credito soltanto in data 19.11.1992, ossia, sostanzialmente, nel giorno stesso dell’avvenuta revoca del fido”;

c) “per quel che concerne il motivo sub 3)”, le parti “hanno pacificamente ammesso e ritenuto di aver intrattenuto un rapporto di conto corrente, identificato con il numero (OMISSIS) e, proprio, in relazione allo stesso, veniva concesso dalla Banca resistente il fido richiesto dalla Datevik S.r.l.”.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – Alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, Cass., S.U., n. 561 del 2000; Cass. n. 4295 del 2005; Cass. n. 23856 del 2008; Cass., S.U., n. 23306 del 2016), l’errore revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell’ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – meno che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici.

Di conseguenza, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. n. 13367 del 2009; Cass. n. 10466 del 2011; Cass. n. 3760 del 2018).

Una decisione della Corte di Cassazione, infatti, non può essere impugnata per revocazione in base all’assunto che abbia male compreso i motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 9835 del 2012).

2.2. – Nel caso di specie, con l’istanza di revocazione, parte ricorrente ha – come emerge all’evidenza dal raffronto tra quanto deciso con l’ordinanza n. 7365 del 2019 (cfr. sintesi al p. 3.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia) e le censure con il ricorso in esame (cfr. sintesi al p. 1 che precede, cui si rinvia) – domandato, in sostanza, un riesame del giudizio di legittimità conclusosi con il provvedimento impugnato in questa sede, denunciando non uno o più errori nella percezione di fatti, ma presunti errori di valutazione del giudice di legittimità in ordine alle doglianze veicolate con il pregresso ricorso.

E ciò in base ad una prospettazione che, oltre ad esorbitare dal perimetro proprio dell’errore revocatorio denunciabile in questa sede, si palesa anche deficitaria sotto il profilo di una intelligibile individuazione dell’ubi consistam degli errori da ricondursi al paradigma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, quale carenza di per sé rilevante nell’ottica della specificità e chiarezza dei motivi di ricorso per revocazione, giacché il disposto dell’art. 366 c.p.c., trova applicazione pure in riferimento a tale impugnazione (Cass. n. 26161 del 2021).

3. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e parte ricorrente condannata al pagamento, in favore della società resistente (che ha discusso la causa in pubblica udienza), delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della società resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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