Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4675 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 4675 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 6502-2017 proposto da:
RUIU FRANCO ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA VETO N. 52, presso lo studio dell’avvocato VALERIA
PALOMBO, rappresentato e difeso dall’avvocato RITA LIMBANIA
VALLEBELLA giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

MINISRO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata
D

il 20/01/2017;

Data pubblicazione: 28/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’appello di Roma in
data 30/12/2015, il ricorrente chiedeva la condanna del

durata del procedimento penale, in relazione al periodo dal 24
gennaio 2004; allorquando gli era stato notificato l’avviso di
garanzia, sino alla data del 30/05/2015 allorquando era
divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione del Tribunale di
Nuoro.
Con decreto del 5/4/2016 il Consigliere delegato della Corte
d’Appello, rilevata la tempestività del ricorso, in quanto
proposto nel rispetto del termine semestrale di cui all’art. 4
della legge n. 89/2001, lo accoglieva con la condanna del
Ministero al pagamento della somma di C 7.250,00 oltre
interessi legali dalla domanda.
Avverso tale provvedimento proponeva opposizione il Ministero
e, nella resistenza del Ruiu, la Corte di Appello in composizione
collegiale, con decreto del 20/01/2017, disatteso il primo
motivo di opposizione, con il quale si deduceva la decadenza
del ricorso per essere stato presentato oltre il termine
semestrale, non potendosi fare applicazione della sospensione
feriale dei termini di cui alla legge n. 742/1969, accoglieva il
secondo motivo, ritenendo che, pur tenendo conto della
individuazione in tre anni del termine di durata ragionevole del
processo, svoltosi e conclusosi in un primo grado, la previsione
introdotta dalla riforma del 2012 fosse applicabile a tutti i
giudizi penali già pendenti, ancorchè non fosse necessario
rispettare il termine di trenta giorni, che invece è esigibile nel
diverso caso in cui il superamento del termine di durata

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Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole

ragionevole si verifichi in epoca successiva all’entrata in vigore
della legge n. 134/2012, con l’effetto che in mancanza di
presentazione dell’istanza di accelerazione, la domanda
indennitaria era improponibile.
Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso, proponendo
a sua volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
Carattere logicamente prioritario riveste la disamina del ricorso
incidentale, che investe la stessa ammissibilità della domanda
di equo indennizzo.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la
violazione dell’art. 4 della legge n. 89/2001, sostenendosi che
erroneamente sarebbe stata reputata applicabile al termine de
quo la sospensione feriale dei termini dì cui alla legge n.
742/1969, occorrendo però tenere conto degli effetti della
novella del 2012 la quale ha previsto che, una volta rigettata
la domanda di equo indennizzo, ancorchè per motivi di rito, la
stessa non sia più proponibile, sebbene non risulti ancora
maturato il termine semestrale, il che dovrebbe portare ad
assimilare il termine de quo a quelli a carattere sostanziale.
Il secondo motivo denuncia la violazione della medesima
norma assumendosi che oggi sarebbe venuto meno il carattere
necessitato del procedimento di cui alla legge n. 89/2001,
posto che il diritto all’indennizzo può essere riconosciuto anche
mediante il ricorso al procedimento di mediazione di cui al D.
Lgs. n. 28/2010.
Il terzo motivo denuncia del pari la violazione dell’art. 4 della
legge n. 89/2001, nella parte in cui si ritiene al termine de quo
applicabile la sospensione feriale dei termini, occorrendo tenere

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ricorso affidato ad un motivo.

conto della modifica di cui all’art. 327 c.p.c., con la
conseguente riduzione a sei mesi del termine per impugnare.
Si deduce che paradossalmente potrebbe verificarsi che al
termine endoprocessuale lungo di cui alla norma ora richiamata
potrebbe non risultare applicabile la sospensione feriale dei

decadenziale per la proposizione della domanda di equo
indennizzo.
Il quarto motivo infine lamenta, sempre in relazione alla
medesima norma, l’erronea applicazione della sospensione
feriale dei termini sostenendosi la necessità di una sua
interpretazione adeguatrice, in ragione della peculiare struttura
che il legislatore ha dato al procedimento, conformandolo alle
regole del procedimento monitorio, connotato da speditezza
che si pone come incompatibile con la proroga dei termini in
periodo fertale.
Ciò chiarito, i motivi de quibus che possono essere
congiuntamente esaminati per la loro connessione sono
infondati e vanno rigettati, alla luce del condiviso principio per
cui “poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1,
prevede la sospensione nel periodo feriale vanno riconnpresi
non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione
del processo, ma anche il termine entro il quale il processo
stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio
rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare
valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al
termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per
la proposizione della domanda di equa riparazione per
violazione del termine ragionevole del processo” (Cass. n. 5423
del 2016; Cass. n. 10595 del 2016; Cass. n. 26423/2016).

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termini che invece sarebbe invocabile per il termine

Le argomentazioni sviluppate dal ricorrente incidentale, in
parte sono fondate su considerazioni di politica legislativa che
esulano chiaramente dalle conclusioni imposte dal tenore
letterale della norma, come ad esempio laddove si ricava dalla
dimidiazione dei termini per impugnare la pretesa che debba

l’operatività della sospensione feriale dei termini,
richiamandosi, in altra parte del ricorso incidentale, la
ricorrenza di situazioni del tutto eventuali, e riferibili a termini
aventi finalità e natura evidentemente diverse, laddove si fa
riferimento alla possibilità che al termine semestrale di cui
all’art. 327 c.p.c. possa in concreto non risultare applicabile la
sospensione feriale, che invece potrebbe riscontrarsi per il
termine di proposizione della domanda di equo indennizzo.
Ancora va osservato che l’eventuale speditezza che a seguito
della riforma connota la riforma il procedimento in esame, con
la sua strutturazione sulla falsariga del procedimento
monitorio, mira ad assicurare la sollecita definizione una volta
introdotto, ma non può costituire argomento di per sé idoneo
ad escludere l’applicazione della sospensione feriale in
relazione al diverso termine posto a monte dell’introduzione del
procedimento medesimo.
D’altronde, anche in relazione a procedimenti comunque
connotati per l’intento del legislatore di favorire una sollecita
istruzione e definizione, come ad esempio il procedimento
sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c., non si è mai dubitato
della necessità di dover fare applicazione della sospensione
feriale, laddove la controversia trattata con tali modalità
processuale esuli da quelle per le quali il legislatore abbia
espressamente previsto l’inoperatività della detta sospensione.

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ridursi surrettiziamente anche il termine de quo, impedendo

La previsione, poi, che l’esercizio dell’azione indennitaria nel
termine di legge abbia assunto ancor di più carattere
decadenziale, avendo il legislatore previsto che anche il rigetto
per motivi di rito ne precluda la riproposizione, non costituisce
argomento che depone a favore della natura sostanziale del

essenzialmente alla discrezionale scelta del legislatore, senza
direttamente incidere sul tema sostenuto nel motivo di ricorso,
e che trova un richiamo anche nella disciplina di cui agli artt.
358 e 387 c.p.c., non essendosi mai dubitato che i termini
previsti per le impugnazioni conservino natura processuale,
sebbene la declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità
dell’impugnazione ne precluda la ripresentazione, pur non
essendo ancora maturati i termini previsti dalla legge.
Quanto infine alla possibilità di far ricorso alla procedura di
mediazione di cui al D. Lgs. n. 28/2010, la connotazione di tale
procedura come chiaramente strumentale all’esercizio
dell’azione giudiziale, costituisce un argomento decisivo per
escludere che sia venuto meno il carattere necessitato della
procedura giurisdizionale, essendo peraltro tale carattere solo
uno degli argomenti che depongono per la natura processuale
del termine di cui all’art. 4 citato.
Disatteso il ricorso incidentale, con il ricorso principale si
denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 co. 2
quinquies lett. e) della legge n. 89/2001, in quanto ritenuto
applicabile ad una fattispecie non prevista dalla stessa legge.
Si evidenzia che il superamento della durata ragionevole del
processo che aveva visto il ricorrente imputato, era avvenuto
in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 134/2012,
così che non poteva esigersi il deposito dell’istanza di
accelerazione prevista dal legislatore solo per il caso in cui il

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termine, trattandosi di conseguenza che appare rimessa

superamento si verifichi in epoca successiva all’entrata in
vigore della menzionata legge.
Il ricorso è fondato e pertanto deve essere accolto.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2-quínquies, lettera e), della legge
n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55 del decreto-legge

134 del 2012, «Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) e)
quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione
del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento
dei termini cui all’articolo 2-bis».
La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55, comma
2, si applica «ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo
giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto», e postula che l’istanza di
accelerazione venga presentata nel procedimento penale
allorquando questo abbia appena superato la durata
ragionevole stabilita dall’art. 2.
Successivamente, con la legge n. 208 del 2015, in vigore dal
10 gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina
dell’equa riparazione, introducendo l’istituto dei rimedi
preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la
domanda di equa riparazione (art. 1-bis, comma 2, della legge
n. 89 del 2001, introdotto dalla citata legge n. 208 del 2015),
ha abrogato l’art. 2, comma

2-quinquies,

lettera

e),

prevedendo che «l’imputato e le altre parti del processo penale
hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei
mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2,
comma 2-bis» (art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del
2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015), ma deve

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n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.

escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda in
esame.
Ed, invero alla luce di quanto previsto dall’art. 6 co. 2 bis della
legge n. 89/2001, sempre come modificato dalla legge n.
208/2015, che prevede che “Nei processi la cui durata al 31

comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data
non si applica il comma 1 dell’articolo 2”, non è possibile
invocare le conseguenze derivanti dal mancato esperimento dei
rimedi preventivi.
Tornando quindi alla previsione di cui all’art. 2 co. 2 quinquies
lett. e) nella formulazione scaturente dalla novella del 2012,
ritiene la Corte che la stessa non sia applicabile
temporis

ratione

alla fattispecie, in quanto nessuna disposizione

transitoria prevede espressamente la sua applicabilità nei
procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della
legge di conversione n. 134 del 2012 (11 settembre 2012),
abbiano superato la ragionevole durata.
La soluzione interpretativa offerta dalla Corte d’appello,
secondo cui in assenza di istanza di accelerazione nel
procedimento penale la domanda di equa riparazione sarebbe
sostanzialmente improponibile appare errata e non coerente
con il dato letterale della disposizione citata.
Né appare possibile assimilare l’istanza de qua alla diversa
ipotesi della istanza di prelievo nel procedimento
amministrativo, in quanto è sufficiente rilevare che, la
formulazione dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008, modificata nel 2010 ad opera dell’art. 3, comma 23,
dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 (poi oggetto di
correzione ad opera del d.lgs. n. 195 del 2011), prevede

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ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’articolo 2,

esplicitamente che “La domanda di equa riparazione non è
proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in
cui si assume essersi verificata la violazione dell’art. 2, comma
1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata presentata
l’istanza di prelievo di cui all’articolo 71, comma 2, del codice

anteriore alla sua presentazione”, sicchè appare evidentemente
preclusa la possibilità di una equiparazione delle due discipline,
l’una, propria del giudizio amministrativo, esistente sin dal
1907; l’altra, introdotta nel 2012, e prevista per il solo
processo penale, finalizzata unicamente ad introdurre una
condizione per poter ottenere l’equa riparazione per il caso in
cui il procedimento penale si sia irragionevolmente protratto.
Osta alla possibilità di applicare l’art. 2 quinquies, lettera e) ai

procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della
legge n. 134 del 2012, avessero già superato la ragionevole
durata, l’ulteriore considerazione secondo cui il termine per la
presentazione della istanza sarebbe decorso, per tali giudizi,
non dal superamento della durata ragionevole, ma dalla
entrata in vigore della legge di conversione, con evidente
mutamento dei presupposti applicativi della disposizione
stessa.
Peraltro se

la

norma

introdotta

nel

2012,

come

sostanzialmente confermato anche dalla novella del 2015,
laddove l’istanza di accelerazione è stata trasformata in un
rimedio preventivo, assegna alla istanza de qua una funzione
acceleratoria, tale finalità ha una sua ragione d’essere solo nel
caso in cui il termine non sia ancora maturato ovvero sia
decorso da appena trenta giorni poiché in tal modo la
presentazione dell’istanza potrebbe essere lo stimolo per
assicurare una sollecita definizione del giudizio, impedendo

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del processo amministrativo, né con riguardo al periodo

quindi il verificarsi del pregiudizio da durata irragionevole del
processo.
La norma quindi conserva una sua logica se interpretata in
un’ottica di prevenzione del danno, intesa cioè quale strumento
in grado di impedire una dilatazione del processo, il cui omesso

Effetti totalmente distorsivi avrebbe la sua estensione al
diverso caso in cui, già alla data di entrata in vigore della legge
del 2012, sia decorso il termine di cui all’art. 2.
In tal caso il pregiudizio derivante dalla durata eccessiva del
giudizio si è già radicato nel patrimonio o comunque si è
manifestato nei suoi effetti nei confronti della parte del
processo, e quindi la mancata presentazione della istanza di
accelerazione non potrebbe incidere anche sul danno già
maturato. Alla parte verrebbe quindi imputata un’inerzia per
una condotta che prima della riforma non era esigibile,
mancando nell’ordinamento processuale penale una specifica
disciplina dell’istanza di accelerazione così come configurata
dal legislatore.
D’altronde le varie ipotesi di cui all’art. 2 co. 2 quinquies vanno
a sanzionare condotte colpevoli della parte, o per essere ab
origine connotate da un abuso del processo, ovvero per avere
successivamente consentito di abusare dello strumento
processuale.
In tale prospettiva l’inerzia deve connotarsi per una
colpevolezza del ricorrente, e conforta tale esegesi la
previsione di chiusura di cui alla lett. f) dell’art. 2 co. 2
quinquies, che sanziona le condotte abusive che abbiano
determinato una dilatazione dei tempi del processo.
Risulta, dunque, evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte
d’appello di Roma nell’escludere il diritto all’equa riparazione

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utilizzo implica la perdita del diritto all’indennizzo.

per la irragionevole durata del procedimento penale
presupposto – nel quale la durata ragionevole era stata
superata da tempo – a causa della mancata presentazione
della istanza di accelerazione nel termine di trenta giorni dalla
entrata in vigore della legge n. 134 del 2012.

valutare il comportamento dell’imputato nel giudizio
presupposto al fine di desumerne elementi significativi ai fini
della determinazione dell’indennizzo.
Il ricorso va quindi accolto, dandosi continuità a quanto in
precedenza già affermato da questa Corte ( cfr. Cass. n.
26627/2016; Cass. n. 23448/2016) con conseguente
cassazione del decreto impugnato e con rinvio ad altra Sezione
della Corte d’appello di Roma, la quale procederà a nuovo
esame alla luce del seguente principio di diritto: «in tema di
equa riparazione per la irragionevole durata di un
procedimento penale, la disposizione di cui all’art. 2, comma 2quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001 – a tenore

della quale non è riconosciuto alcun indennizzo “quando
l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del
processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei
termini cui all’articolo 2 bis”

non è applicabile in relazione

alle domande di equa riparazione relative a procedimenti penali
che, alla data di entrata in vigore della stessa, avessero già
superato la durata ragionevole di cui all’art. 2-bis della
medesima legge».
Al giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di
Roma in diversa composizione, è rimessa altresì la
regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

Ric. 2017 n. 06502 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -11-

Resta, ovviamente, ferma la possibilità del giudice di merito di

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso
incidentale e per l’effetto, cassa il decreto impugnato e rinvia la
causa, anche per le spese le spese del giudizio di cassazione,
alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda

dicembre 2017.

Il Presidente

Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 19

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