Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4675 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. II, 14/02/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 14/02/2022), n.4675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12964/2017 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI

68, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO POLITANO, rappresentato

e difeso dall’avvocato SERGIO SANTELLA;

– ricorrente –

contro

MA.CL., T.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, CORSO DI FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato SILVIA

GALLETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVAN PAOLO RUGGERI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 540/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 17/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2022 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

La Corte osserva:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. La vicenda venuta all’esame di legittimità può riassumersi nei termini seguenti:

– il Tribunale rigettò la domanda con la quale Ma.Cl. e T.M., esposto di aver promesso in vendita, con contratto del 28/7/2011, un appartamento a M.G., il quale si era obbligato ad acquistarlo, e che non era stato possibile addivenire alla stipula del contratto definitivo per colpa del promissario acquirente, avevano chiesto la condanna del convenuto a risarcire il danno;

– il Tribunale, sul presupposto che gli attori, pur allegato l’inadempimento della controparte, non avessero chiesto la risoluzione o l’adempimento del contratto preliminare e rilevato, altresì, d’ufficio, che il negozio avrebbe dovuto intendersi sciolto per la comune volontà dei contraenti, rigettò la domanda;

– la Corte d’appello di Perugia, alla quale si erano rivolti i soccombenti attori, riformata la sentenza di primo grado, accolse, invece, la domanda di costoro e, pertanto, risolto il contratto, condannò il convenuto al risarcimento del danno, quantificato nella minor somma ricavata dalla vendita dell’immobile, successivamente effettuata dagli appellanti in favore di terzi;

– in sintesi, queste le ragioni del diverso opinare del Giudice d’appello: a) gli attori avevano espressamente chiesto con l’atto introduttivo di primo grado la risoluzione per inadempimento della controparte; b) inadempimento che doveva reputarsi accertato, poiché, accettata dai coniugi Ma., in data 28/7/2011, la proposta d’acquisto fatta pervenire dal M., per il prezzo di Euro 126.000,00, subordinata alla condizione che al promissario acquirente fosse stato erogato mutuo al fine di saldare il corrispettivo, con fissazione del termine per il definitivo fino al 30/11/2011, quest’ultimo, comunicato ai promittenti alienanti, nell’agosto 2011, che la Barcays Bank non aveva erogato il finanziamento, poco dopo, nel settembre dello stesso anno, aveva acquistato altro immobile, per il prezzo di Euro 137.000,00, provvedendo al pagamento mediante accesso a mutuo assegnatogli dalla BNL; al predetto, che volontariamente non si era attivato per accedere al mutuo, nonostante che per il definitivo fosse stata fissata data che ben consentiva ciò, pertanto, andava addebitato il mancato avveramento della condizione, qualificata, potestativa mista, ai sensi dell’art. 1358 c.c.; c) poiché, fidando del buon esito, i promittenti alienati avevano promesso di acquistare altro immobile nel quale abitare, al fine di far fronte all’assunto impegno, venuto meno l’adempimento del M., erano stati costretti a vendere l’immobile, che a costui era stato promesso in vendita, per il minor prezzo di Euro 100.000,00, l’appellato andava condannato a risarcire il danno, quantificato nella differenza, corrispondente a Euro 26.000,00.

2. M.G. ricorre avverso la decisione d’appello sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e gli intimati resistono con controricorso.

2.1. Con le tre censure, fra loro correlate, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1358 e 1359 c.c. (nell’intestazione del terzo motivo v’e’, invero, un improprio riferimento all’art. 1385 c.c., da addebitarsi, all’evidenza, a un refuso).

Assume il M. che la controparte aveva espressamente sottoposto l’accordo alla condizione che il promissario acquirente avesse ottenuto la erogazione del mutuo, senza che fosse stato previsto termine per l’avveramento di essa condizione; la banca indicata dall’agenzia d’intermediazione aveva negato il finanziamento, il 16/8/2011, e gli altri istituti, ai quali il ricorrente si era successivamente rivolto, avevano del pari rifiutato il mutuo. Ciò posto, la Corte d’appello aveva violato l’art. 1358 c.c., poiché egli non si era affatto disinteressato di ottenere la necessaria liquidità e la controparte, non avendo tenuto condotta diligente, aveva, a suo rischio e pericolo, assunto l’obbligazione per l’acquisto di un nuovo immobile. Inoltre, prosegue il M., era rimasto violato l’art. 1359 c.c., poiché gli appellanti non avevano provato la di lui condotta dolosa o colposa, non costituendo il mero comportamento inattivo, che non integri violazione di un obbligo contrattuale, ragione sufficiente per addebitare a costui il mancato avveramento della condizione; mancato avveramento che era dipeso da cause non dipendenti dalla volontà dell’esponente.

3. L’insieme censuratorio appare manifestamente destituito di giuridico fondamento.

Va, in primo luogo, premesso non esservi contestazione sulla natura del contratto e della condizione apposta.

Ciò posto, non par dubbio che la Corte locale abbia fatta corretta applicazione degli artt. 1358 e 1359 c.c., avendo addebitato il mancato avveramento della condizione alla condotta di mala fede del M., il quale, ben prima che fosse scaduto il termine per la stipulazione del contratto definitivo (termine, fra l’altro, che non viene riferito avere natura essenziale), appena avuta la risposta negativa dalla prima banca s’affretto a “sciogliersi dall’obbligazione”, anche mediante missiva di un legale, nel mentre e per contro, risulta che il medesimo ottenne, e tempestivamente, il mutuo da altro istituto di credito, che utilizzò per acquistare altro immobile; né vi è traccia processuale dei tentativi ai quali il ricorrente fa generico e insondabile riferimento.

Quanto poi alla pretesa non censurabilità di condotta meramente omissiva è appena il caso di ricordare che, esattamente il contrario, deve affermarsi ove la parte risulti essersi obbligata a fare (nella specie a reperire il mutuo).

Si è più volte precisato che il contratto sottoposto a condizione mista è soggetto alla disciplina tanto dell’art. 1358 c.c., che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza, quanto dell’art. 1359 c.c., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento (Sez. 1, n. 6423, 22/04/2003, Rv. 562396).

Si è poi soggiunto, al fine di “smascherare” ogni tentativo della parte inadempiente di sottrarsi capziosamente all’obbligazione, che l’omissione di un’attività intanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico (come nel caso di specie). La sussistenza di un siffatto obbligo deve affermarsi anche per il “segmento” non casuale della condizione mista. Ciò in quanto, gli obblighi di correttezza e buona fede, che hanno la funzione di salvaguardare l’interesse della controparte alla prestazione dovuta e all’utilità che la stessa assicura, impongono una serie di “comportamenti di contenuto atipico”, che assumono la consistenza di “standard” integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (Sez. 1, n. 14198 del 28/07/2004, Rv. 575005).

Le Sezioni unite hanno inoltre chiarito che il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 c.c., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista (Sentenza n. 18450, 19/09/2005, Rv. 583707).

Infine, è appena il caso di soggiungere che il M., con la sua condotta, ha ampiamente dimostrato di non avere più interesse al verificarsi della condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far insorgere un fattore modificativo del naturale iter attuativo dell’efficacia del contratto (Sez. 3, n. 13457, 20/07/2004, Rv. 575426).

In definitiva, piuttosto palesemente la critica, nella sostanza, risulta inammissibilmente diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).

4. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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