Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4674 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 4674 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: BELLINI UBALDO

ORDINANZA

sul ricorso 28528-2016 proposto da:
LACANNA GIOVANNA, rappresentata e difesa dagli Avvocati
GIOVANBATTISTA FERRIOLO, FERDINANDO EMILIO ABBATE e
RANIERI RODA, ed elettivamente domiciliata, presso il loro
studio, in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro

pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– resistente avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,
depositato il 4 maggio 2016;
I-udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 15/12/2017 dal Consigliere UBALDO BELLINI;

Data pubblicazione: 28/02/2018

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
GIOVANNA LACANNA, con ricorso notificato il 10
dicembre 2016, ha chiesto a questa Corte di cassazione, il
parziale annullamento del decreto E.R. 776/2016, con il quale
la Corte d’appello di Perugia, riconoscendo alla medesima il

sempre in materia di equa riparazione, svoltosi davanti alla
Corte d’appello di Roma, aveva condannato il Ministero
della Giustizia al pagamento, in favore della stessa, della
somma di euro 1.584,00 per danno non patrimoniale oltre ad
interessi legali dalla domanda al saldo, nonché al pagamento
delle spese processuali.
La richiesta del parziale annullamento del decreto in
oggetto è stata affidata ad un motivo.
Il Ministero dell Giustizia si è costituito con controricorso,
chiedendo il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia
la violazione e la mancata applicazione degli artt. 91 cod. proc.
civ.; art. 2233, secondo comma, cod. civ. Liquidazione
compensi ex DM. N. 55/2014 ed erronea applicazione del DM
n. 140/2012.
La ricorrente lamenta, in particolare, l’esiguità della
somma riconosciuta a titolo di spese legali ritenendo l’importo
illegittimo, anche ai sensi dell’art. 2233 cod. civ., perché, la
somma, indicata nel provvedimento della Corte di appello (pari
ad euro 250,00), non corrisponderebbe agli indici tariffari
contenuti nel Regolamento del Ministero della Giustizia n. 55
del 2014 (applicabile alla fattispecie ratione temporis), recante
la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di
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diritto ad equo indennizzo per l’eccessiva durata di un giudizio

un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni
regolamentate ai sensi dell’art. 9 del decreto legge n. 1 del
2012 convertito con modificazione dalla legge n. 27 del 2012.
Piuttosto, seguendo la tabella allegata al DM n. 55/2014,
l’importo minimo sarebbe pari ad euro 1.576,50, sia pure

giustificherebbe una diminuzione percentuale massima ai sensi
dell’art. 4 del DM 55/2014.
2. – Il ricorso è fondato.
2.1. – Va preliminarmente osservato che la fattispecie
dedotta in giudizio è regolata,

ratione temporis,

dal d.m.

55/2014 (il cui articolo 28 recita: “Le disposizioni di cui al
presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla
sua entrata in vigore”), posto che alla data di entrata in vigore
di tale decreto la prestazione professionale del cui compenso si
discute non si era ancora conclusa e che, come chiarito dalle
Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 17405/12, la
nozione di compenso rimanda ad un corrispettivo unitario per
l’opera complessivamente prestata, ancorché iniziata e
parzialmente svolta sotto il vigore di discipline tariffarie
previgenti (conf. Cass. 4949/17).
2.2. – Inoltre, giova precisare, va escluso che nella
specie possa trovare applicazione la disposizione di cui
all’articolo 1, comma 7, del decreto del Ministero della Giustizia
n. 140 del 20.7.2012 (alla cui stregua “In nessun caso le soglie
numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei
minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel
presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la
liquidazione stessa”), giacché, rispetto al d.m. n. 140/2012, il
decreto ministeriale n. 55/2014 (che non contiene alcuna
disposizione analoga a quella del settimo comma dell’articolo 1
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tenendo conto della semplicità del procedimento, che

del d.m. 140/2012) è prevalente, in quanto costituisce non
solo lex posterior regolatrice, quanto agli avvocati, dell’intera
materia già disciplinata dal d.m. n. 140/2012 (cfr. art. 15 disp.
prel. c.c.), ma anche lex specialis. La richiamata specialità del
d.m. n. 55/2014 discende dal fatto che esso disciplina i

140/2012 regolamenta la determinazione dei parametri per la
liquidazione, da parte di un organo giurisdizionale, dei
compensi per tutte le professioni vigilate dal Ministero della
giustizia.
Il decreto ministeriale n. 55/2014 indica i parametri medi
del compenso professionale dell’avvocato, dai quali il giudice si
può si discostare, purché si mantenga tra il minimo ed il
massimo risultanti dall’applicazione delle percentuali di
scostamento, in più o in meno, previste dal primo comma
dell’articolo 4 di tale decreto (cfr. Cass. 2383/17, in
motivazione: “Con riferimento all’asserito vincolo del giudice
alla determinazione media del compenso professionale ai sensi
del d.m. 55/2014, si deve rilevare che tale vincolo non trova
fondamento nella normativa, secondo la quale (artt.1 e 4) il
giudice deve soltanto liquidare il compenso tra il minimo ed il
massimo delle tariffe. Con riferimento al d.m. 140/2012 era
stato anche precisato che il giudice era tenuto ad indicare le
concrete circostanze che giustificavano le deroga ai minimi e
massimi stabiliti dal d.m. 140/2012 (cfr. Cass. n. 18167 del
16/09/2015; Cass. 11 gennaio 2016 n. 253; Cass. 3 agosto
2016, n. 16225)”. Anche nel regime dettato dal d.m. 55/2014,
deve dunque riconoscersi al giudice il potere di scendere al di
sotto, o di salire al di sopra, dei limiti risultanti dall’applicazione
delle massime percentuali di scostamento – come fatto palese
dall’inciso “di regola” che si legge, ripetutamente, nel suddetto
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compensi per i soli avvocati, mentre il decreto ministeriale n.

primo comma – ma, proprio per il tenore letterale di detto
inciso, tale possibilità può essere esercitata solo sulla scorta di
apposita e specifica motivazione.
2.3. – Orbene, secondo il consolidato orientamento di
questa Corte, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il

derivante dalla riduzione del termine di ragionevole durata del
processo – di cui alla legge n. 89 del 2001 – va considerato
quale procedimento avente natura contenziosa, con la
conseguenza che, ai fini della liquidazione degli onorari e dei
diritti spettanti all’avvocato per l’attività in esso prestata, trova
applicazione la tabella 12 allegata al d.m. n. 55 del 2014. Ne
deriva che il giudice, anche in assenza di nota specifica
prodotta dalla parte vittoriosa, deve indicare il sistema di
liquidazione adottato, con la tariffa applicata, non potendo
limitarsi ad una determinazione globale di tali compensi senza
indicazione delle voci non considerate o ridotte.
2.4. – A sua volta, va qui osservato che il nuovo sistema
parametrico di cui al DM 55/2014 conferma la liquidazione,
delle spese processuali, per fasi (studio della controversia; fase
introduttiva del giudizio; fase istruttoria; fase decisionale). Con
l’ulteriore specificazione che ai sensi dell’art. 4, comma 1, dello
stesso DM, il Giudice, nella liquidazione del compenso
professionale, tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle, con
la possibilità di applicare aumenti o diminuzioni: un aumento
che potrà arrivare fino all’80%, mentre la diminuzione fino al
50%. Una previsione particolare di variazione, sia in aumento,
che in diminuzione, è prevista, specificamente, per la fase
istruttoria (per quest’ultima, infatti, l’aumento può arrivare al
100%, mentre la riduzione fino al 70%).

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procedimento camerale per l’equa riparazione del pregiudizio

Pertanto, posto che il valore della controversia, nel caso
specifico, è dato dalla somma liquidata a titolo di equo
indennizzo (pari ad euro 2.125,00), non sembra che la Corte
distrettuale abbia tenuto conto dei principi e dei criteri, appena
indicati, e, soprattutto, della tabella n. 12 allegata al DM citato,

stesso decreto.
2.5. – Il ricorso va accolto e il provvedimento gravato
deve essere cassato.
Sussistendone le condizioni, la causa va decisa nel
merito, dovendosi liquidare il complessivo compenso dei
difensori della parte ricorrente, in ragione della speciale
semplicità dell’affare, nel minimo risultante dalla massima
percentuale di riduzione applicabile ai sensi dell’articolo 4 del
d.nn. 55/2014 e, quindi, in C 1.198,50 (C 255,00 per la fase di
studio, C 255,00 per la fase introduttiva, C 283,50 per la fase
istruttoria, C 405,00 per la fase decisionale), oltre IVA e
contributo ex art. 11 I. n. 576/1980, con distrazione in favore
degli avvocati Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio
Abbate, che ne hanno fatto richiesta, dichiarandosi antistatari.
Anche le spese legali del giudizio di legittimità debbono
seguire la soccombenza e possono liquidarsi, sempre con
distrazione, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e
della qualità della causa, nonché delle attività espletate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e,
decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di merito in
favore della parte ricorrente nell’importo complessivo di C
1.198,50 oltre spese generali, accessori e spese vive per C
8,00, distratto in favore degli avvocati Giovambattista Ferriolo
e Ferdinando Emilio Abbate; condanna il Ministero della
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sia pure mitigata dalla diminuzione prevista dall’art. 4 dello

Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che, distratte in favore degli avvocati
Giovannbattista Ferriolo, Ferdinando Emilio Abbate e Ranieri
Roda, liquida in C 900,00 per compensi, oltre accessori.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della

dicembre 2017.

Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 15

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