Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4673 del 25/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4673 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul riQQrsQ 12147-2008 proposto (la:
POSTE

ITALIANE S.P.A.

97103880585,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLC LUIGI che la rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
265

contro

BASILE MARCELLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO
SICILIANO, che lo rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 25/02/2013

all’avvocato BILOTTA MARIA, giusta delega in atti;

conti-ori:corrente

avverso la sentenza n. 714/2007 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 23/04/2007 R.G.N.
1312/2005;

udienza del 24/01/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 12147/2008
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 3-6-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Rossano,
in accoglimento della domanda proposta da Marcello Basile nei confronti della

lavoro stipulato tra le parti per “esigenze eccezionali…” ex art. 8 ccril 1994
come integrato dall’acc. az. 25-9-1997 e succ., per il periodo 18-12-1998/31-11999, con conseguente esistenza di un rapporto a tempo indeterminato, e
condannava la società a pagare al Basile le retribuzioni maturate dal 3-8-1999.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
Il Basile si costituiva resistendo al gravame.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 23-4-2007,
rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
Il Basile ha resistito con controricorso.
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, va rilevato che con i primi due motivi la società ricorrente
censura, sotto vari profili, la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato
la nullità del termine apposto al contratto de quo, per essere stato lo stesso
stipulato in data successiva al termine ultimo fissato dalle parti collettive con
gli accordi attuativi dell’accordo 25-9-1997.
Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia
dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al
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s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di

=l del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere
l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto
de quo.
In particolare, come è stato costantemente affermato e va qui ribadito, “in

del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e
con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le
parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute
dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le
altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 20-3-2009 n. 6913, Cass. 5-4-2011 n.
7745, Cass. 18-11-2011 n. 24281). Del resto, come pure è stato chiarito, non
può attribuirsi alcuna “efficacia sanante all’accordo del 18-1-2001” in quanto
deve escludersi che “le parti sociali, mediante lo strumento dell’interpretazione
autentica delle vecchie disposizioni contrattuali ormai scadute (volta ad
estendere l’ambito temporale delle stesse), possano autorizzare retroattivamente
la stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in
precedenza stabilita, tanto più che il diritto del lavoratore si era già

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materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale

perfezionato e le organizzazioni sindacali non possono disporre dello stesso (v.
fra le altre Cass. 28-10-2010 n. 22015, Cass. 16-11-2010 n. 23120).
Tanto basta per respingere in tali sensi i primi due motivi.
Con il terzo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e

ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto
“conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “Dica la
Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il
lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del
contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni
soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in
mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel
rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ. “.
Tale quesito non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque,
anche in ordine all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione
in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di
conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di
merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80). Il quesito di diritto,
richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in
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1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in

maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in
giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere
come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche
precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui

quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato
alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U.
30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla
sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata
con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).
Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione
del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si
incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica effettiva della messa
in mora, senza minimamente riportare il contenuto della lettera che, secondo la
ricorrente, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, non
avrebbe integrato un atto di messa in mora.
Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale
manca del tutto il quesito) alcunché di specifico viene poi indicato dalla
ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente
proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.
17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).
Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
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formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del

modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7 0 della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di

una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070). In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso
che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la
disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento
delle spese in favore del Basile, con attribuzione ai difensori, per dichiarazione
di anticipo degli stessi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società a pagare al Basile le spese
liquidate in euro 50,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi, oltre
accessori di legge, con attribuzione all’avv. Maria Bilotta e all’avv. Rosario
Siciliano.
Roma 24 gennaio 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,

IL CANCELLIERE
Cancelleria
25 FEB. 2013
IL CANCELLIERE
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