Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4669 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 14/02/2022), n.4669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4119/2021 proposto da:

ALDINI IMMOBILIARI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata

in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE ANTONINO RACITI;

– ricorrente –

contro

VODAFONE ITALIA S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo

studio dell’avvocato ELISABETTA DE LUCA RAPONI che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1591/2020 della CORTE D’APPELLO DI MILANO,

depositata il 30/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 30/6/2020 (n. 1591/2020), la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il Tribunale della stessa città ha dichiarato l’estinzione del giudizio di primo grado intercorso tra la Aldini Immobiliare s.r.l. (ora Aldini Immobiliare s.r.l. in liquidazione) e la Vodafone Italia s.p.a. (già Vodafone Omnitel B.V.), a seguito della diserzione delle parti a due udienze consecutive ai sensi dell’art. 309 c.p.c.;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il primo giudice avesse correttamente applicato nella specie l’art. 309 c.p.c., avendo rilevato la mancata presentazione delle parti in udienza, trascorsa un’ora dall’orario fissato per la trattazione della causa, a nulla rilevando il successivo (tardivo) raggiungimento dei locali dell’udienza da parte del difensore della Aldini Immobiliare s.r.l., da ritenere tardivo anche sulla base delle indicazioni del Protocollo dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, nella parte in cui prevede che “il provvedimento (…) di cancellazione della causa dal ruolo (…) sarà adottato dopo il decorso di un’ora dall’orario fissato per la trattazione della causa stessa”;

avverso la sentenza d’appello, la Aldini Immobiliare s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

la Vodafone Italia s.p.a. resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della Camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto legittima la chiusura del verbale e la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio per mancata comparizione delle parti prima della conclusione delle udienze presenti sul ruolo del giudice istruttore, in contrasto con le previsioni del Protocollo dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, là dove impongono di adottare il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, indipendentemente dal tempo decorso dell’orario fissato per la trattazione della causa, al termine dell’udienza, e senza conferire alcun rilievo all’evidente interesse della società odierna ricorrente alla prosecuzione della causa;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente confermato la decisione di estinzione assunta dal primo giudice ai sensi dell’art. 309 c.p.c., avendo rilevato come quest’ultimo avesse ritualmente dato atto della mancata presenza delle parti all’udienza fissata per la trattazione della causa (successivamente ad analoga diserzione delle stesse alla pregressa udienza di trattazione), senza violazione di alcuna predeterminazione oraria stabilita per la relativa celebrazione;

al riguardo, è appena il caso di rilevare come – al di là del rilievo concernente la mancata produzione in questa sede (rilevante ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6) della documentazione relativa ai contenuti del Protocollo invocato dalla società ricorrente (con la conseguente impossibilità di verificarne, in questa sede, l’eventuale violazione da parte del giudice di primo grado) – gli accordi contenuti in detto Protocollo devono ritenersi del tutto inidonei ad assumere alcuna efficacia o incidenza normativa sulla conformazione dei poteri di direzione e conduzione dell’udienza da parte del giudice istruttore, trattandosi di materia evidentemente riservata alla disciplina delle norme di diritto (d’indole legislativa e, qualora richiamata, regolamentare), e dovendo limitarsi, il valore di tali accordi protocollari, all’eventuale razionalizzazione (alla stregua di mere best practises) dei rapporti dei diversi attori coinvolti da detti accordi nel quadro di un determinato e circoscritto contesto professionale;

e’ appena il caso di rilevare, sotto altro profilo, l’assoluta irrilevanza della dedotta sussistenza, in capo alla società odierna ricorrente (allora appellante), di un ‘evidente interessé alla prosecuzione della lite, trattandosi di circostanza del tutto estrinseca e priva di incidenza ai fini dell’integrazione dei presupposti processuali per la pronuncia del provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, ai sensi dell’art. 309 c.p.c.;

con il secondo motivo, la ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione degli artt. 91 e 96 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale illegittimamente condannato la società appellante al rimborso delle spese di lite sulla base dei criteri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, e non già, più opportunamente, di quelli minimi, avuto riguardo alle circostanze concrete proprie della lite in esame, e per aver condannato la società appellante al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., comma 1, in assenza dei presupposti sul punto previsti dalla legge;

il motivo e’, da un lato, inammissibile, dall’altro, manifestamente infondato;

dev’essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità della censura avanzata dall’odierna società ricorrente avverso la liquidazione delle spese operate dal giudice a quo nel rispetto dei limiti posti dalle tabelle previste dal D.M. n. 55 del 2014;

al riguardo, osserva il Collegio come giudice a quo abbia testualmente giustificato la liquidazione adottata secondo i parametri medi dello scaglione corrispondente al valore della causa in considerazione “della media difficoltà delle questioni trattate”, fornendo, in tal modo, piena contezza del modo di esercizio della discrezionalità sul punto esercitata, in conformità al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito (Sez. 3, Ordinanza n. 6110 del 04/03/2021, Rv. 660606 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 4782 del 24/02/2020, Rv. 657030 – 01);

sotto altro profilo, dev’essere attestata la manifesta infondatezza della censura avanzata dalla società ricorrente avverso la subita condanna al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 1, avendo il giudice a quo sul punto correttamente sottolineato, nel pieno rispetto della norma da ultimo indicata, come la decisione della società appellante “di impugnare un provvedimento pronunciato nel pieno rispetto dei presupposti normativi, ponendo alla base del gravame inconsistenti e pretestuose interpretazioni di regole protocollari, la cui ratio e’, al contrario, quella di garantire il buon andamento e l’efficienza del servizio ‘giustizia, integra una condotta valutabile in termini di responsabilità aggravata”;

si tratta di una motivazione pienamente adeguata sul piano logico-giuridico a dar conto della pronunciata condanna della società ricorrente al risarcimento dei danni ai sensi del citato art. 96, del tutto idonea a sottrarsi alle censure dalla stessa società ricorrente avanzate in questa sede di legittimità;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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