Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4668 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/02/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 21/02/2020), n.4668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18073/2012 R.G. proposto da:

B.R. rappresentato e difeso giusta delega in atti dall’avv.

Raffaele Lebotti (PEC raffaelelebotti.legalmail.it) con domicilio

eletto in Roma presso e nello studio dell’avv. Fabrizio Cuppone,

C.so d’Italia n. 19;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Basilicata n. 15/2/12 depositata il 22/02/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

10/12/2019 dal Consigliere Roberto Succio;

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale lucana ha respinto l’appello del contribuente, confermando quindi la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato legittimo l’avviso di accertamento impugnato, per IVA, IRPEF ed IRAP 1999;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione il contribuente con atto affidato a tre motivi; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e per violazione dell’art. 2729 c.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimo il ricorso da parte dell’Ufficio all’accertamento analitico-indutttivo, utilizzando – per dar prova della pretesa di maggiori imposte – presunzioni sfornite dei requisiti prescritti di gravità, precisione e concordanza;

– esse derivano, secondo tal prospettazione, dalle risultanze del PVC della GdF nel quale si fa riferimento al “valore del bene” (autovetture) cedute ai clienti del contribuente sottoposto a controllo; tal importo secondo il ricorrente è stato assunto come corrispettivo della cessione, quindi ricavo non completamente dichiarato, mentre tale non era;

– il motivo è infondato;

– invero, la CTR ha fatto riferimento sia nella parte espositiva sia nella parte motiva non al “valore” (suscettibile di apprezzamento quantitativo sicuramente non scevro da discrezionalità estimativa) ma al “prezzo” quale indicatore numerico preciso dedotto nei contratti di finanziamento acquisiti agli atti della verifica;

– ciò si evince sia a pag. 2, riga n. 13 (“…dai contratti di finanziamento stipulati dagli acquirenti dei veicoli era risultato che il prezzo di vendita era superiore a quello contabilizzato”) sia a pag. 3 riga n. 12 (..il prezzo di vendita annotato e quindi ricavato era inferiore a quello risultante dalla somma tra l’acconto ricevuto e l’importo finanziato”);

– indipendentemente quindi dai profili relativi all’apprezzamento e valutazione del materiale probatorio, che in quanto costituenti censure di merito non sono qui ammissibili in sede di giudizio di Legittimità, è chiaro come la CTR abbia ritenuto in fatto debitamente provato che il prezzo finanziato fosse quello effettivamente versato; risultando esso maggiore del dichiarato, ha concluso per la legittimità del recupero a tassazione della differenza non dichiarata;

– tale operazione di inferenza del fatto ignoto dal fatto noto risulta, in diritto, legittima;

– va preliminarmente osservato come che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17952 del 24/07/2013) in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile e quello condotto con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che l’amministrazione finanziaria può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.;

– nel presente caso, l’Ufficio ha posto a base del proprio accertamento, come fatto certo, risultanze extracontabili (i contratti di finanziamento indicanti gli importi concessi ai clienti per l’acquisto dei veicoli e materialmente versati a titolo di saldo del prezzo al venditore degli stessi) che completano il quadro probatorio quanto alla ricostruzione dell’effettiva capacità contributiva del soggetto sottoposto a controllo;

– tali elementi, nel loro complesso, risultano adeguatamente probanti poichè in diritto questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 24/09/2014) che l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata;

– il secondo motivo di ricorso si incentra sulla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 55 e 56, e sull’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale violazione anche dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto impugnato ancorchè in esso l’Erario non abbia indicato le ragioni in forza delle quali si è proceduto con accertamento fondato sul metodo “induttivo”;

– il motivo è in primo luogo inammissibile;

– a fronte della questione posta, riguardante la motivazione dell’atto impugnato quanto all’utilizzo di uno o dell’altro metodo di accertamento, era onere del ricorrente trascrivere detto avviso di accertamento – nel rispetto del canone dell’autosufficienza dei motivi di ricorso – onde consentire alla Corte di valutarla e risolverla; di qui una prima ragione di inammissibilità;

– inoltre, dalla lettura della sentenza impugnata la questione non risulta posta in primo grado; parte ricorrente sul punto trascrive il contenuto dell’atto di appello ma non trascrive (nè indica il locus processuale ove l’atto relativo è prodotto) il ricorso di primo grado di fronte alla CTP nella parte in cui si eccepiva tal profilo; irrilevanti essendo le generiche (ndr. Testo originale non comprensibile) di pag. 2, 2° cpv, del ricorso;

– conseguentemente, questa Corte non è messa in condizione di valutare la tempestività dell’eccezione posta; ne deriva ulteriore profilo di inammissibilità del motivo;

– in ultimo, il motivo è comunque infondato;

– la CTR ha invero ritenuto legittimo l’avviso di accertamento che risulta in concreto di tipo non induttivo c.d. “puro” ma di tipo analitico-induttivo; non si prescinde cioè completamente dalle scritture contabili, ma si integrano le risultanze delle stesse per mezzo dell’utilizzo di prove presuntive a fronte della deduzione delle quali il contribuente può sia dimostrare l’illogicità della presunzione, sia dar prova contraria alle sue risultanze;

– e nel presente caso la CTR (operando correttamente quanto al diritto) ha in fatto ritenuto logica la presunzione e non fornita la prova contraria;

– il terzo motivo di gravame denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR motivato in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto generiche le contestazioni svolte dal contribuente, senza esaminare i documenti prodotti all’udienza dell’11 luglio 2007 di fronte alla CTP e riprodotti in appello;

– il motivo è sia inammissibile, sia infondato;

– in primo luogo esso deduce il vizio di motivazione fondandolo in concreto su circostanze irrilevanti; inoltre esso è diretto a sollecitare questa Corte a un riesame del meritus causae, non consentito;

– secondariamente, la CTR ha in motivazione chiarito, sia pure sinteticamente, le ragioni in forza delle quali è giunta al proprio convincimento (che risiedono sia nella genericità delle contestazioni del contribuente – ultima pag. quartultima riga – a fronte della analiticità delle riprese elevate in riferimento ai singoli contratti di finanziamento, sia nel rimando al valore del bene, la cui diversità rispetto al prezzo pagato è risultato elemento non provato);

– conclusivamente, il ricorso è rigettato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 5.600,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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