Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4666 del 23/02/2017

Cassazione civile, sez. lav., 23/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.23/02/2017),  n. 4666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15717/2011 proposto da:

M.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA F. CIVININI 12, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CASSIANO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORETTA

BARLETTA, giusta delega in atti;

A.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

F. CIVININI 12, presso lo studio dell’Avvocato MASSIMO CASSIANO, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LORETTA BARLETTA,

CARLO VOCE, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ALESSANDDRO RICCIO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN,

GIUSEPPINA GIANNICO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 452/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/04/2011 R.G.N. 1482/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato LA SPINA GIOVANNI per l’Avvocato VOCE CARLO e

l’Avvocato CASSIANO MASSIMO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Arezzo del 28.12.2007 i signori M.A. e A.M. (ed altri) agivano nei confronti dell’INPS per l’accertamento del proprio diritto alla rivalutazione della contribuzione ai sensi della L. n. 297 del 1992, art. 13, comma 8, per essere stati esposti all’amianto per un periodo di lavoro ultradecennale.

Il giudice del lavoro, con sentenza del 24.9.2009 (nr. 433/2009), accoglieva la domanda.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 24.3.2011 (nr. 452/2011), in parziale accoglimento dell’appello dell’INPS, accoglieva parzialmente la domanda, condannando l’INPS a rivalutare il rispettivo trattamento pensionistico applicando il coefficiente di 1,25 in relazione all’accertato periodo di esposizione ad amianto.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.A. e A.M., articolando quattro motivi.

Ha resistito l’INPS con controricorso.

Il ricorso è stato assegnato alla 6^ sezione civile, alla quale i ricorrenti hanno depositato note difensive.

Alla udienza del 14.11.2013 la Corte ha rinviato la causa alla pubblica udienza, ritenuta la assenza dei presupposti per la trattazione in Camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione ed erronea applicazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, nonchè difetto assoluto di motivazione.

Hanno esposto di avere eccepito con la memoria di costituzione in appello la improcedibilità dell’appello, per non essere stato rispettato il termine di cui all’art. 435 c.p.c., per la notifica all’appellato dell’atto di appello e del pedissequo decreto di fissazione della udienza.

Il decreto era stato emesso tempestivamente (il 24-26.11.2009) ma le copie autentiche risultavano richieste soltanto nove mesi dopo; inoltre la notifica non risultava avvenuta neppure nei dieci giorni dalla data di rilascio delle copie.

La Corte di merito aveva rigettato la eccezione facendo mero rinvio a propri precedenti conformi.

Il motivo è infondato.

In punto di violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, deve in questa sede ribadirsi la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la violazione del termine di dieci giorni – decorrenti dalla comunicazione (Corte Cost. sent. 15/1977) del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di trattazione – per la notifica dell’atto di appello non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perchè non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale nè su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art. 435 c.p.c., commi 3 e 4, deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione (Cass. 28.09.2016, n. 19176, 29.2.2016 n. 3959, 16.10.2013 n. 23426 31.5.2012 n. 8685).

Nè ha pregio la censura mossa sotto il profilo del vizio di motivazione.

Il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia e dei quali la Corte non possa conoscere direttamente (come avviene, al contrario, per le vicende processuali che si traducono in errori di rito), non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, atteso che, in relazione ad una questione la cui soluzione dipende esclusivamente dall’interpretazione di atti normativi la cognizione del giudice di legittimità investe direttamente le disposizioni, senza il “filtro” rappresentato dalla motivazione della sentenza impugnata.

Come si argomenta agevolmente dal disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, ancorchè difetti la motivazione o questa sia comunque inadeguata, illogica o contraddittoria, la Corte di cassazione ha il potere di sostituirla, integrarla o emendarla (vedi, per tutte, Cass. 4593/2000, 19/2002; Cass., sez. un., 261/2003).

La sentenza impugnata ha correttamente deciso la questione di diritto sottoposta al suo esame, per quanto sopra esposto.

Il secondo ed il terzo motivo possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi.

2. Con il secondo motivo le parti ricorrenti hanno denunziato violazione o erronea applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, D.L. n. 269 del 2003, art. 47, della L. n. 269 del 2003, art. 3, comma 132, anche in relazione al D.M. 27 ottobre 2004.

La censura investe la statuizione di inapplicabilità della disciplina previgente al disposto del D.L. n. 269 del 2003, art. 47.

I ricorrenti, richiamata la successione delle normative che hanno disciplinato la materia, hanno dedotto che la esposizione ultradecennale ad amianto perfezionatasi in data anteriore al 2.10.2003 – come accertata nella fattispecie di causa a mezzo ctu – determinava la maturazione dei benefici dalla L. n. 257 del 1992, a prescindere dal momento di presentazione della domanda all’INAIL.

Hanno censurato la sentenza impugnata per avere escluso la applicabilità della previgente disciplina sostenendo che essa era riservata a coloro che avevano maturato al 2.10.2003 il diritto a pensione anche in ragione della rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto mentre i due lavoratori non avrebbero comunque raggiunto i requisiti per il pensionamento.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno denunziato, in via subordinata, la illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, D.L. n. 269 del 2003, art. 47 e della L. n. 269 del 2003, art. 3, comma 132, anche in relazione al D.M. 27 febbraio 2004 ed al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47.

Hanno dedotto che le norme richiamate in rubrica, ove interpretate nel senso accolto dalla Corte di merito, sarebbero state illegittime per violazione dell’art. 3 Cost., per la ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori che avevano presentato domanda all’INAIL anteriormente al 2.10.2003 e coloro che, pur trovandosi nelle stesse condizioni sostanziali, avevano presentato domanda soltanto successivamente ma comunque nel previsto termine di decadenza del 15.6.2005.

I motivi sono infondati.

Questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. nr 9096/2014; Cass. nr. 8649/2012; Cass. n. 15679/2006, Cass. n. 15008/2005, Cass. n. 21862/2004, Cass. n. 21257/2004) ha ripetutamente affermato che la L. L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132, che con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, comma 1, ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano maturato “il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8” ovvero abbiano avanzato domanda di riconoscimento all’Inail od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data – va interpretato nel senso che:

a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione;

b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva.

Le questioni sollevate sono state già risolte nelle richiamate pronunzie, cui in questa sede va data continuità, che hanno chiarito che la locuzione della L. n. 350 del 2003 – che dispone la salvezza della previgente disciplina nei confronti di coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avevano maturato “il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8” – deve intendersi come del tutto equivalente alla espressione lessicale già impiegata dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 6 bis (che prevede la applicazione delle precedenti disposizioni per i lavoratori che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge “il diritto al trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8”).

Deve ritenersi, cioè, la sinonimia tra le due locuzioni – “diritto al trattamento pensionistico” e “diritto al conseguimento dei benefici previdenziali” – rispettivamente impiegate dal D.L. n. 269 del 2003 (art. 47) e dalla L. n. 350 del 2003 (art. 3, comma 132).

Si rileva sotto il profilo letterale che se il legislatore avesse inteso garantire l’applicabilità delle previgenti disposizioni alla mera ricorrenza della esposizione ultradecennale ad amianto ex lege n. 257 del 1992, alla data del 2.10.2003 sarebbe stata del tutto superflua la ulteriore previsione della salvezza della previgente disciplina in favore di “coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data (del 2 ottobre 2003)”, categorie a fortiori rientranti nella generale salvezza disposta dalla norma, ove in tali sensi interpretata.

Inoltre dalla interpretazione proposta dai ricorrenti deriverebbe la sostanziale inapplicabilità del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 1, ai lavoratori adibiti ad attività assoggettate all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali dell’Inail, in palese contrasto con il carattere generale di tale disposizione, che non distingue affatto tra lavoratori addetti o non addetti ad attività assoggettate alla suddetta assicurazione obbligatoria.

Nient’affatto decisivo risulta poi quanto disposto dal D.M. 27 ottobre 2004, art. 1, comma 2; tale decreto, atto di normazione secondaria, pur se emanato in attuazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, ha recepito, senza nulla aggiungere, la locuzione di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 (“diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 e successive modificazioni”), cosicchè la soluzione della questione all’esame riposa unicamente sull’individuazione della portata effettiva della normazione primaria.

Quanto ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati in relazione alla normativa così interpretata, si rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 376 del 2008, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto della L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132 e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, censurati in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui escludono dall’applicazione della disciplina di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 coloro che prima del 2 ottobre 2003 non abbiano presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei benefici previsti dall’art. 13, comma 8, suddetto.

Il giudice delle leggi ha osservato che non si può condividere l’assunto secondo cui il fatto di aver subordinato l’attribuzione dell’originario regime, più favorevole, alla presentazione di una domanda amministrativa, effettuata in un periodo in cui essa non era obbligatoriamente prevista, costituisca la retroattiva – e quindi irragionevole – imposizione di un onere.

Il legislatore ha, infatti, dettato la disciplina transitoria inerente al passaggio da un regime ad un altro e, considerando che ciò comportava un trattamento meno favorevole, ha voluto far salve alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela, introducendo disposizioni derogatorie, tra le quali quella relativa a chi avesse precedentemente presentato domanda amministrativa per ottenere il beneficio. Il giudice delle leggi ha riconosciuto al legislatore “ampia discrezionalità, salvo il limite della palese irragionevolezza, nella fissazione delle norme di carattere transitorio dettate per agevolare il passaggio da un regime ad un altro, tanto più ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio comportante scelte connesse all’individuazione delle categorie dei beneficiari delle prestazioni di carattere previdenziale”.

4. Con il quarto motivo il ricorrente MARIO AMANZI ha dedotto-ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Ha esposto che agli atti del fascicolo di primo grado (doc. 3 lett. g) risultava la domanda presentata all’INAIL in data 10 dicembre 1996, domanda allegata a quella poi proposta nel 2005, come per gli altri lavoratori (signori G.M., Q., P.) per i quali era stata confermata la sentenza di primo grado.

Ha dedotto l’omesso esame del documento da parte del giudice dell’appello.

Il motivo è fondato.

Preliminarmente deve darsi atto che nella fattispecie non ricorre un errore revocatorio, diversamente da quanto opposto dall’INPS nel controricorso.

L’errore di fatto che legittima la revocazione delle sentenze, consistendo in una falsa percezione della realtà, deve sostanziarsi in una affermazione – positiva o negativa – di un fatto in contrasto con le evidenze di causa.

Deriva da quanto precede che qualora il giudice abbia ignorato un fatto, omettendo di esaminarne la prova, può configurarsi un vizio di motivazione e non il vizio revocatorio (Cassazione civile sez. 2, 23/10/2014 n. 22584; sez. 2, 19/04/2013 n. 9637).

Nella fattispecie di causa la Corte di merito ha ignorato il fatto dell’ eventuale avvio da parte dell’ A. del procedimento amministrativo entro la data del 2.10.2003, non rendendo alcuna pronunzia sul punto.

Sussiste il vizio di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio.

La Corte territoriale, infatti, non ha esaminato il documento prodotto in primo grado da A.M. (doc. 3 g), allegato alla domanda presentata all’INAIL nel maggio 2005, consistente nella copia della domanda di certificazione della esposizione ad amianto presentata all’INAIL attraverso il patronato INCA-CGIL.

Tale documento è potenzialmente decisivo del giudizio, per quanto sopra osservato circa la salvezza della disciplina ex lege n. 257 del 1992, in favore di coloro che avevano presentato domanda amministrativa entro la data del 2.10.2003.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in accoglimento del quarto motivo e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte di Appello di Firenze in diversa composizione, affinchè provveda ad un nuovo esame della posizione di A.M. ed all’accertamento di fatto omesso.

Il ricorso deve essere respinto in ordine alla posizione di M.A., con condanna del soccombente al pagamento delle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso di M.A.. Condanna M.A. al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per spese ed Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Accoglie il quarto motivo di ricorso di A.M.. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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