Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4660 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/02/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9557/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente

contro

SICURPOINT S.r.l., Corso Matteotti 48/B – Castel San Giovanni

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna n. 63/09/12, pronunciata il 19.9.2012 e

depositata il 5.10.2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8.11.2019 dal Consigliere Saieva Giuseppe.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi contro la SICURPOINT S.r.l., per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna n. 63/09/12, pronunciata il 19.9.2012 e depositata il 5.10.2012, concernente l’impugnativa da parte della società anzidetta degli avvisi di accertamento con cui per gli anni 2004, 2005 e 2006, le erano stati attribuiti maggiori redditi ai fini IRES, IRAP ed IVA, oltre interessi e sanzioni, avendo l’Ufficio accertato ricavi non dichiarati e non fatturati pari ad Euro 50.728 nel 2004 e ad Euro 17.874 nel 2005; costi non deducibili pari ad Euro 9.333 nel 2004, Euro 13.000 nel 2005 ed Euro 10.000 nel 2006.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. anzidetta aveva respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e confermato la decisione con cui la C.T.P. di Piacenza aveva accolto il ricorso della contribuente, ritenendo infondate tutte le contestazioni dell’Ufficio finanziario.

3. La società contribuente non si è costituita in giudizio.

4. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del’8.11.2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (vecchio art. 75) (TUIR), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “, assumendo che la C.T.R. aveva erroneamente affermato la deducibilità di determinati costi di sponsorizzazione di associazioni sportive pur trattandosi di spese non adeguatamente documentate e non avendo la società fornito elementi probatori per dimostrare la sussistenza dei requisiti di certezza, inerenza e competenza dei componenti negativi di reddito.

1.2. Con il secondo motivo l’Agenzia deduce “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” avendo la C.T.R. emesso una decisione apodittica fondata su una motivazione apparente.

2. Entrambe le censure, da esaminare congiuntamente per connessione logica, appaiono fondate e meritevoli di accoglimento.

3.1. L’assunto di parte ricorrente secondo cui l’onere della prova delle componenti negative di reddito incombe sul contribuente costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis, Cass. Sez. 5, sent. n. 28671 del 9.11.2018; nonchè, meno recente, n. 20521 del 22/09/2006). Ne deriva, in linea generale, che, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, affinchè un costo possa essere legittimamente incluso fra le componenti negative del reddito d’impresa, è necessario non soltanto che ne sia certa l’esistenza, ma altresì, secondo questa Corte, occorre, che, in caso di corretta contestazione da parte della Amministrazione Finanziaria, ne sia comprovata l’inerenza, e per provare tale ultimo requisito non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, dovendo l’imputabilità del costo anche collegarsi a fatti comunque riferibili al soggetto che tale costo intende dedurre, in ottemperanza ai contenuti prescrittivi di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 75 e 109 ai fini delle imposte sui redditi (vigente ratione temporis) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 ai fini dell’IVA (cfr. Cass. n. 16730/2007, n. 18302/2008 e n. 22790/2009).

3.2. Ora, nel caso di specie non sembra che la società contribuente abbia fornito adeguati elementi di prova idonei a dimostrare la sussistenza dei predetti requisiti, a nulla rilevando che la C.T.R. abbia ritenuto “regolare la tenuta della contabilità”, inapplicabili all’organizzazione della contribuente i parametri desunti da rilevazioni statistiche su altre aziende, nonchè “ritualmente documentati”, “regolarmente contabilizzati”, “inerenti”, “nella libera disponibilità del contribuente e non contestabili” i costi che l’Ufficio aveva ritenuto non deducibili.

3.3. Invero la C.T.R. ritenuto di confermare la sentenza della C.T.P., che aveva considerato deducibili i costi di sponsorizzazione, con una motivazione che si esaurisce in una serie di affermazione apodittiche assolutamente insufficienti, giacchè, non disvelando alcun iter argomentativo, non consentono alcun riscontro dell’esattezza delle conclusioni.

3.4. Questa Corte ha avuto reiteratamente modo di affermare che la sentenza d’appello, anche quando motivata per relationem alla pronuncia di prima grado, non è nulla se in essa siano espresse sia pur in modo sintetico le ragioni della conferma tenendo conto dei motivi di impugnazione proposti (Cass. n. 14786/2016). Con specifico riguardo al processo tributario si è affermato che “è nulla per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione regionale completamente carente dell’illustrazione dei rilievi dell’ufficio e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle” (da ultimo Cass. n. 15884 del 2017; Cass. n. 12283 del 2018).

Alla luce di tali principi, è evidente che la sentenza impugnata risulta corredata da una motivazione apparente, priva di ogni pur minima spiegazione sull’adesione alla sentenza del giudice tributario provinciale e di qualsiasi argomentazione critica sui motivi di impugnazione proposti dall’appellante.

Il ricorso va pertanto accolto, con rinvio degli atti al giudice a quo, in diversa composizione, per il riesame della causa e la liquidazione delle spese di giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia gli atti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Cosi deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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