Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4648 del 26/02/2010

Cassazione civile sez. un., 26/02/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 26/02/2010), n.4648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II

33, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, in

persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 235/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

uditi gli avvocati Sergio GALLEANO, Marina RUSSO dell’Avvocatura

Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso,

A.G.O..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe indicata del 12 marzo 2008 la Corte d’appello di Firenze dichiarava il difetto di giurisdizione dell’AGO in relazione alla domanda proposta da P.S.M., dipendente del Ministero della Salute nella posizione b2) per ottenere l’inquadramento nella superore categoria c1); il dipendente aveva partecipato alle procedure di riqualificazione svolte dal Ministero negli anni 2001 e 2002, ai sensi dell’art. 15 del CCNL del 1999, concorrendo per la posizione c1); all’esito delle procedure concorsuali e del superamento dell’esame finale, il P. era stato inquadrato nella posizione inferiore b3), avendo l’Amministrazione ritenuto che l’inquadramento in c1) avrebbe violato i principi individuati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 194 del 2002; il P. aveva contestato l’esistenza di tale violazione ed aveva chiesto che fosse giudizialmente accertato il suo diritto alla qualifica c1). Nel contraddittorio con il Ministero della Salute, il quale si opponeva alla domanda eccependo, tra l’altro, il difetto di giurisdizione dell’AGO, il Tribunale di Pisa, disattesa tale eccezione, accoglieva la domanda. La Corte d’appello di Firenze invece negava la giurisdizione AGO sul rilievo che, secondo i principi ormai consolidati in sede di legittimità, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo sia in relazione ai concorsi per soli candidati esterni, sia per i concorsi misti, aperti gli interni ed agli esterni, sia per i concorsi interni che comportino i passaggio da un’area funzionale ad un’altra. Nella specie, si verteva in tema di procedura concorsuale per titoli, corso formativo ed esame finale riservato al personale interno inquadrato nell’area b) posizione economica b2) disposto ai sensi dell’art. 15 del CCNL del 1999, che prevedeva il passaggio all’area c), posizione economica c1). Il concorso era stato superato dal P., tuttavia, prima della approvazione e della pubblicazione della graduatoria finale, a seguito dei pareri emessi dalle autorità competenti, il Ministero della Salute ravvisò la necessità di “adottare tutti i provvedimenti necessari ad adeguare le procedure di riqualificazione del personale ai principi inderogabili fissati dalla Corte Costituzionale enunciati dalla sentenza n. 194 del 2002”. Indi, con decreto del direttore generale del 19 novembre 2002, venne approvata la graduatoria di merito del corso concorso, precisandosi però che la medesima graduatoria sarebbe stata utilizzata per il solo accesso alla posizione economica b3) immediatamente superiore a quella di appartenenza e con un secondo decreto in pari data il personale utilmente collocatosi in graduatoria, veniva inquadrato nella posizione economica b3) dal primo dicembre 2002. Il Ministero dunque, in via di autotutela, aveva deciso di non annullare la procedura di riqualificazione, ma di “riconvertirla” per non incorrere in possibili vizi di incostituzionalità. Soggiungeva la Corte territoriale che, come l’AGO non può spiegare alcun sindacato sulle procedure concorsuali, così non può sindacare gli atti di autotutela che ne hanno oggetto, per cui non si poteva, attraverso l’istituto della disapplicazione, incidere sull’unica graduatoria ormai ultimata ed approvata dall’Amministrazione, perchè diversamente resterebbe elusa la riserva di giurisdizione amministrativa in materia concorsuale.

Avverso detta sentenza il P. propone ricorso, illustrato da memoria, concernente la giurisdizione.

Resiste con controricorso il Ministero del Lavoro, della Salute e della Politiche Sociali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sostiene il ricorrente che la giurisdizione compete al giudice ordinario, perchè la graduatoria finale del concorso per l’accesso alla posizione c1) degli appartenenti alla posizione economica b2) era stata approvata con il decreto direttoriale del 19 novembre 2002, mentre, solo dopo, con il medesimo decreto era stato deciso di utilizzare tale graduatoria, non più per l’accesso alla posizione c1, ma per l’accesso alla posizione c3), di talchè la approvazione della graduatoria aveva esaurito la fase concorsuale, la quale determina la giurisdizione del giudice amministrativo. Detta graduatoria, peraltro, in causa non veniva in alcun modo contestata, al contrario la domanda era fondata proprio sulla effettività e validità dell’esito del concorso. La decisione successiva di utilizzare diversamente la graduatoria costituirebbe invece un tipico atto del datore di lavoro amministrazione, come tale sottoposto al sindacato dell’AGO, dovendosi escludere, in questa fase, ogni potere di autotutela, sussistendo solo un potere organizzativo imprenditoriale, il quale era stato limitato dall’accordo collettivo che imponeva l’inquadramento in c1) di coloro che avevano superato il concorso a seguito della firma del CCNL. Il ricorso non merita accoglimento, dovendosi confermare la giurisdizione del giudice amministrativo.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza consolidata (da ultimo Cass. Sez. un. 23327 del 4 novembre 2009) il bando indica il contratto di lavoro che l’amministrazione intende concludere (in modo conforme alla delibera di indizione), nonchè il tipo e le modalità della procedura, partecipando agli interessati l’intento di addivenire alle assunzioni. Pertanto, al bando va riconosciuta una natura giuridica duplice: di provvedimento amministrativo nella parte cui concreta un atto del procedimento di evidenza pubblica del quale regola il successivo svolgimento; ma anche di atto negoziale negli aspetti sostanziali, in quanto concreta proposta al pubblico, condizionata negli effetti all’espletamento del procedimento concorsuale e all’approvazione della graduatoria. Di conseguenza, anche l’approvazione della graduatoria presenta questa duplicità di natura giuridica: provvedimento terminale del procedimento concorsuale e atto negoziale di individuazione del futuro contraente.

1. Il ricorrente invero formula delle argomentazioni del tutto condivisibili in via generale, essendo stato più volte affermato (tra le tante Cass. Sez. U, Sentenza n. 10459 del 23/04/2008) che, in regime di impiego pubblico privatizzato, le relative controversie seguono, quanto al riparto di giurisdizione, le regole previste dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, essendo, quindi, attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte quelle inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro e il conferimento di incarichi dirigenziali, giacchè la riserva, in via residuale, alla giurisdizione amministrativa, contenuta nel quarto comma del citato art. 63, concerne esclusivamente le procedure concorsuali, strumentali alla costituzione del rapporto con la P.A., che si sviluppano fino all’approvazione della graduatoria dei vincitori e degli eventuali idonei, ma non riguardano la fase successiva a detta approvazione.” La procedura concorsuale, infatti, termina con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, spettando allora alla giurisdizione ordinaria il sindacato, da esplicare con la gamma dei poteri cognitori del giudice civile, sui comportamenti successivi, riconducibili alla fase di esecuzione, in senso lato, dell’atto amministrativo presupposto (cfr. Cass. sez. un., n. 20126 del 2005).

2. Se è dunque vero, in via generale, che l’approvazione della graduatoria segna il limite temporale oltre il quale sussiste la giurisdizione AGO, nella fattispecie in esame, a ben vedere, non vi è mai stata l’approvazione della graduatoria per il concorso che era stato indetto, e su cui il ricorrente fonda il suo diritto all’inquadramento in c1), perchè, con il decreto del direttore generale del 19 novembre 2002, l’ordine dei concorrenti formatosi all’esito delle prove, venne utilizzato, non già per il passaggio alla categoria ci, in conformità al bando, ma per il passaggio alla inferiore cat. b3), ossia con riguardo ad una selezione diversa da quella fissata nel bando, che era poi l’unica rimasta possibile a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2000.

Ne consegue che non è mai sorto il “diritto” al passaggio in c1), perchè questo poteva maturare solo a seguito della approvazione della graduatoria corrispondente, che, invece, non vi è stata mai.

Invero, nel decreto del 19 novembre 2002, non si possono scindere, come pretende il ricorrente, due statuizioni, da collocare in sequenza: in primo luogo l’approvazione della graduatoria per il concorso c1), e, poi, la sua utilizzazione per il concorso cat. b3), perchè l’unica volontà ivi espressa era si la conferma del piazzamento dei concorrenti, che veniva però finalizzato esclusivamente al passaggio alla superiore posizione economica nella medesima categoria b). L’approvazione della graduatoria, costituiva pertanto provvedimento terminale di un procedimento concorsuale diverso da quello che era stato bandito, sicchè la approvazione medesima non poteva fondare il diritto alla assunzione nella categoria originariamente promessa.

3. L’iniziativa fu necessitata a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 12 marzo 2002, con cui fu dichiarata la illegittimità costituzionale della legge che prevedeva la copertura del 70% dei posti disponibili nelle dotazioni organiche di una certa amministrazione per i livelli dal quinto al nono, mediante apposite procedure di riqualificazione riservate al personale appartenente alle qualifiche funzionali inferiori. Le procedure di riqualificazione furono ritenute incompatibili con i principi costituzionali, in quanto: anzichè prevedere un concorso pubblico con riserva di posti, si era adottata la scelta del concorso “interno” riservato ai dipendenti della amministrazione, per di più con una percentuale dei posti disponibili particolarmente elevata, nonchè incongrua e sfornita di giustificazioni; risultava ancora attribuita al criterio dell’anzianità, anche in mancanza del titolo di studio, una funzione “del tutto abnorme”che avrebbe consentito una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso la qualifica superiore.

Si trattava allora di regolare la sorte di quei concorsi che precedentemente erano stati indetti e che si erano svolti, il cui bando si poneva però in contrasto con i principi suddetti.

E’ stato quindi posto in essere, con il decreto direttoriale citato, un atto di autotutela, per adeguarsi alla sentenza della citata sentenza della Corte Costituzionale, sopravvenuta dopo la emanazione del bando. Non si ritenne, peraltro, di mettere nel nulla le operazioni di valutazione dei partecipanti ad un concorso in contrasto con i principi costituzionali, ma si preferì utilizzare comunque la graduatoria per una selezione diversa. Il bando originario fu comunque, sostanzialmente, revocato, facendo applicazione della L. 7 agosto 1990 n. 241, art. 21 quinquies, comma 1, che recita “1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

4. Invero, nella fattispecie esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 8951 del 16 aprile 2007, poichè dopo la “regolare” approvazione della graduatoria, l’amministrazione non aveva provveduto all’assunzione, senza emanare alcun provvedimento espresso, si è ritenuto che non fosse pregiudicato il diritto soggettivo all’assunzione, non potendo darsi una “implicita” revoca degli atti successivi all’approvazione della graduatoria, in quanto in tal caso il potere autoritativo di revoca sarebbe mancante dei requisiti di forma previsti dalla legge.

Ciò conduce a rimarcare in via generale (e quindi a prescindere dalla fattispecie in esame in cui manca in radice la approvazione della graduatoria) che quando, dopo l’approvazione, non segue l’assunzione del soggetto utilmente collocato, va distinto il caso in cui ciò avvenga nel silenzio dell’amministrazione, dal caso in cui vi sia invece un provvedimento espresso. Si è infatti affermato che quando non sia soltanto viziata, ma manchi del tutto la forma prevista dalla legge per il provvedimento, non è riconoscibile in concreto l’esercizio di potere autoritativo, giacchè, nel quadro istituzionale e normativo disegnato dalla Costituzione repubblicana, la forte affermazione del principio di legalità dell’azione amministrativa conduce a considerare il potere pubblico esclusivamente in termini di esercizio tipico e formale. In particolare, è stato osservato che il mero comportamento materiale o l’emanazione di atti diversi implica mancanza del procedimento amministrativo previsto per l’esercizio di quel potere procedimento definito significativamente, in dottrina, come forma della funzione amministrativa – e, quindi, dell’indispensabile comparazione tra interesse pubblico e interesse privato, imposta dall’art. 97 Cost., mediante il precetto dell’imparzialità, che solo nello svolgersi del procedimento può realizzarsi. Si è concluso, in quel caso, nel senso che alla volontà di annullare o revocare il bando, in assenza di un contrarius actus, non è consentito attribuire efficacia alcuna, risultando l’autotutela esercitata in carenza di potere e con atti, sotto il profilo sostanziale, affetti da nullità per difetto dell’elemento essenziale della forma. Nella fattispecie in esame, in ogni caso, vi è stato invece un “contrarius actus”, costituito, come detto, dal decreto direttoriale del 19 novembre 2002, la cui legittimità deve essere verificata dal giudice amministrativo.

In conclusione il ricorso va rigettato e riconfermata la giurisdizione del giudice amministrativo. La novità e la complessità delle questioni consiglia la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, conferma la giurisdizione del giudice amministrativo e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010

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