Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4646 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 4646 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: BESSO MARCHEIS CHIARA

ORDINANZA

sul ricorso 19135-2013 proposto da:
PIFFARETTI

EUGENIO

PFFCNE54L220933I,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI MONTE VERDE 162, presso lo
studio dell’avvocato GIORGIO MARCELLI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITTORIO
GELPI;
– ricorrente contro

2017

PENDOLA GAETANO;
– intimato –

2395

Da-

avverso la sentenza n. 2340/2012 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 28/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 04/10/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA

Data pubblicazione: 28/02/2018

BESSO MARCHEIS .

R.G. 19135/2013

PREMESSO CHE
Gaetano Pendola, imprenditore edile, assistito dall’avvocato
Eugenio Piffaretti I conveniva in giudizio la committente società Stefi

per l’edificazione di un fabbricato (a fronte di un totale complessivo di
lire 472.742.310). Il Tribunale di Como, ritenuto provato che le opere
erano incomplete e sussistevano vizi per lire 53.093.559, rigettava la
domanda dell’attore, condannandolo poi a pagare lire 12.500.000 a
titolo di penale per il ritardo nella consegna del fabbricato.
Passata in giudicato la sentenza, Pendola conveniva in giudizio il
suo difensore per ottenerne la condanna al risarcimento del danno da
inadempimento al mandato professionale a causa della mancata
impugnazione della sentenza. Il Tribunale di Como, ritenuta
dimostrata la negligenza professionale dell’avvocato che, non avendo
compiutamente informato il proprio assistito della notificazione della
sentenza e delle conseguenze del detto evento, non lo aveva posto in
grado di proporre tempestivamente appello, aveva condannato
Piffaretti a rimborsare l’importo sostenuto per il compenso di un
nuovo avvocato, ma aveva però escluso il nesso di causalità tra la
negligenza dell’avvocato Piffaretti e il danno da mancato
conseguimento del risultato sperato, in quanto non era probabile che
l’appello sarebbe stato accolto.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 28 giugno
2012, in parziale riforma della pronuncia impugnata ha stabilito che vi
era invece un grado di ragionevole probabilità che la sentenza
sarebbe stata riformata in appello rispetto al pagamento del
corrispettivo, pari ad euro 156.857,62, ancora dovuto dalla società
Stefy per le opere realizzate, probabilità di riforma che al contrario

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per ottenerne la condanna a pagare lire 303.718.698 quale residuo

non sussisteva per il capo della sentenza che aveva riconosciuto
esistenti i vizi dell’opera e il ritardo nella consegna dei lavori e ha così
condannato l’avvocato Piffaretti al risarcimento dei danni subiti da
Pendola, danni liquidati in euro 156.857,62, con gli interessi legali
dalla domanda al saldo.

L’intimato Gaetano Pendola non ha svolto difese.

CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in un unico motivo che denuncia, in
relazione all’articolo 360, primo comma n. 5 c.p.c., due profili: “a)
omessa considerazione e b) contraddittoria motivazione in ordine a
fatti decisivi per il giudizio. La Corte d’appello, nel liquidare la somma
dovuta a titolo di risarcimento del danno, ha ritenuto probabile il
riconoscimento, in sede d’appello, della somma richiesta da Pendola
in primo grado senza considerare che il Tribunale di Como aveva dato
atto dell’avvenuto pagamento di una somma di denaro superiore
rispetto a quella allegata da Pendola; inoltre la Corte d’appello, dopo
aver affermato che non sussisteva probabilità di riforma per il capo
della sentenza che aveva riconosciuto esistenti i vizi dell’opera, non
ne ha poi tenuto conto nella determinazione del quantum debeatur.
La prima parte della censura non può essere accolta. Il ricorrente
si limita infatti ad asserire che nella prima sentenza del Tribunale di
Como si dava atto che erano stati dimostrati pagamenti per lire
220.033.612 (nella ricostruzione dei fatti del processo – p. 2 del
ricorso – si dice che il Tribunale di Como aveva “dato atto per inciso”
della circostanza) e che Pendola non aveva mai contestato la
statuizione, senza però fornire elementi precisi al riguardo, così che la
censura appare generica e non sufficientemente determinata.
È invece fondata la seconda parte del motivo. La sentenza
impugnata, infatti, prima afferma che “i dati offerti – circa la riforma

Eugenio Piffaretti ricorre per cassazione.

della parte della sentenza che ha riconosciuto esistenti vizi dell’opera
(per lire 53.093.559) – non sono sufficienti per formulare un giudizio
prognostico positivo”, ma poi, contraddittoriamente, ha riconosciuto
in favore di Pendola un risarcimento del danno pari all’intera somma
da questi domandata, ossia euro 156.857,62, senza sottrarre la

Il provvedimento impugnato va pertanto cassato in relazione alla
parte di motivo accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti
di fatto la causa va decisa nel merito: dalla somma liquidata dalla
Corte d’appello – euro 156.857,62 – va detratto l’importo di euro
27.420,53 (lire 53.093.559), con interessi legali dalla domanda al
saldo.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al secondo profilo del
motivo e, in relazione ad esso, cassa il provvedimento impugnato;
decidendo nel merito, detrae dalla somma liquidata dal giudice
d’appello l’ulteriore importo di euro 27.420,53, con interessi legali
dalla domanda al saldo; condanna l’intimato Gaetano Pendola al
pagamento delle spese del giudizio in favore del ricorrente che liquida
in euro 2.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15°/0)
e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione
seconda civile, in data 4 ottobre 2017.

Il Presidente
Giudiziario
NERI

(Bruno Bianchini)

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

28 FEB. 2018

somma relativa ai vizi dell’opera.

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