Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4645 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 689-2006 proposto da:

G.D. difensore di sè medesimo, elettivamente domiciliato

in ROMA VIA G. VERONESE 103, presso lo studio dell’avvocato GIGLIA

DIEGO (DECEDUTO);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 60/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 18/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale del Lazio dep. il 18/01/2005, confermativa della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva respinto il ricorso del medesimo avverso le cartelle per Irpef e accessori per gli anni 1995 e 1996.

Il contribuente fonda il ricorso su cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore si è costituita al solo fine di partecipare alla discussione orale. La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Essendo il ricorrente, difensore di sè medesimo, deceduto nelle more del processo, come da relata di notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, sì è proceduto alla rinotificazione dell’avviso stesso collettivamente e impersonalmente presso l’ultimo domicilio del defunto. La notifica ha avuto efficacia tanto che uno degli eredi ha dato incarico ad un difensore di visionare gli atti, senza però costituirsi.

La questione è pertanto diversa da quella oggetto della ordinanza n. 25590/10 di questa stessa Sezione che ha ritenuto in analoga ipotesi (ma in cui la notifica nei termini di cui sopra era impossibile) di rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle SS.UU. al fine di verificare l’applicabilità anche al giudizio di cassazione dell’istituto della interruzione. Col primo motivo, il ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis per non essere stata l’emissione della cartella preceduta dall’avviso bonario di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5.

Deduce poi che la commissione avrebbe dovuto ordinare all’Agenzia il deposito dell’originale del mod. 740 detenuto dall’Ufficio.

Il motivo è infondato.

La L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 così statuisce: “Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minore rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma”.

Orbene il ricorrente non deduce quale profilo di incertezza avrebbe imposto all’ufficio di procedere al preventivo invito, il cui accertamento sarebbe stato sicuramente oggetto di una valutazione di fatto, censurabile in cassazione per vizio motivazionale non dedotto in questa sede.

Sotto il secondo profilo deduce una doglianza inammissibile in questa sede, attesi i noti limiti del giudizio d’impugnazione della cartella esattoriale, laddove nel caso in esame si deduce una omessa produzione relativa al giudizio sul merito della pretesa tributaria.

Col secondo motivo si duole il ricorrente della violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 1, 5 e 6, commi 5 e 7 per non essere stato indicato il responsabile del procedimento e l’Organo competente al riesame anche in sede di autotutela.

Il motivo analogamente è privo di autosufficienza, non avendo il ricorrente trascritto il contenuto degli atti. Di poi, nella non previsione di nullità degli atti contrari a tali norme, il ricorrente avrebbe dovuto provare(o almeno dedurre) il concreto pregiudizio che tali violazioni gli avrebbero arrecato(il ricorrente ha correttamente impugnato gli atti e non v’è prova di una fase precontenziosa su cui avrebbe influito la eventuale omissione di indicazione del responsabile).

Col terzo motivo deduce omessa o insufficiente motivazione per avere la CTR motivato con la frase contraddittoria “omesso carente versamento”. Aggiunge che, in ordine all’imponibile, da due sentenze, la n. 624/2/04 della CTP di Roma e n. 15/32/03 della CTR del Lazio, risultava non dovuta alcuna imposta e in ogni caso prima di emettere il ruolo avrebbe dovuto l’ufficio pronunziare sull’istanza di rimborso. Se il primo profilo è puramente “linguistico” e pertanto formale, il secondo rilievo pecca di autosufficienza, non risultando dal ricorso il contenuto delle invocate sentenze e della istanza di rimborso.

Col quarto motivo deduce la nullità della impugnata sentenza per violazione del D.Lgs. n. 56 del 1992, art. 15 per avere partecipato alla deliberazione della sentenza il segretario.

Il motivo è infondato.

Il testo della sentenza, nella intestazione riferisce solo dell’intervento del Presidente, del relatore e del terzo giudice, senza alcun riferimento al segretario, onde si svaluta ogni diverso riferimento da eventuale incongrua modulistica.

Col quinto motivo deduce violazione dell’art. 6 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per non avere l’ufficio garantito la possibilità di difesa e non avere tenuto un comportamento collaborativo col contribuente. Il motivo è inammissibile per la sua genericità. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Non si provvede sulle spese non avendo l’Agenzia effettuato effettiva attività difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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