Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4645 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2017, (ud. 24/01/2017, dep.22/02/2017),  n. 4645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 149-2016 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA DI UDINE (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 284, presso lo

studio dell’avvocato CARLO MALINCONICO CASTRIOTA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FABIO BALDUCCI ROMANO;

– ricorrente –

contro

M.A., MA.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 496/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE

depositata il 11/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. SCODITTI

ENRICO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

M.L. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Udine l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Udine “(OMISSIS)” (AOU) chiedendo il risarcimento del danno per essere stato sottoposto ad intervento chirurgico per il quale aveva subito un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Espose la parte attrice di avere subito intervento di sostituzione valvolare mitro – aortica e di rivascolarizzazione miocardica mediante 2 by-pass anticoronarici, cui era conseguita una plegia sinistra con evidenza alla tac cerebrale fino al venir meno della capacità di sopperire in autonomia alle proprie esigenze, e che prima dell’intervento non aveva ricevuto un’informazione adeguata sui rischi dello stesso. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. Nel corso del processo l’attore decedeva e si costituivano i figli A. ed An.. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando la convenuta al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali, quantificati rispettivamente in Euro 132.900,00 ed Euro 42.254,16, oltre accessori. Avverso detta sentenza propose appello l’AOU. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. Con sentenza di data 11 agosto 2015 la Corte d’appello di Trieste rigettò l’appello. Affermò la corte territoriale, in relazione ai distinti motivi di appello, quanto segue: il capitolo di prova testimoniale relativo a P.D. era irrilevante non riguardando la completezza delle informazioni fornite al M.; il capitolo di prova relativo ai testi m. e L. era generico in quanto non si comprendeva nè chi fosse la persona che avrebbe fornito l’informazione (non scritta) nè il suo contenuto (il capitolo non indicava quali fossero i rischi effettivamente prospettati al paziente); mai l’appellante aveva prospettato l’indispensabilità dell’intervento, al cospetto di paziente che comunque poteva condurre una vita attiva sia pure con limitazioni, sicchè il M., se fosse stato al corrente dell’altissima percentuale di rischio neurologico (fino al 60%), non avrebbe prestato il suo consenso all’intervento. Ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi l’AOU. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. è stata eccepita l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. E). L’eccezione è manifestamente infondata come affermato da Cass. 10 gennaio 2017, n. 395. E’ stato in particolare affermato che in tema di procedimento per cassazione, il principio di pubblicità dell’udienza non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali”; tale deroga è consentita in ragione della conformazione complessiva del procedimento, là dove, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in prima o seconda istanza, una tale esigenza non si manifesti comunque più necessaria per la struttura e funzione dell’ulteriore istanza, il cui rito sia volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non “di fatto”, tramite una trattazione rapida dell’affare, non rivestente peculiare complessità.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 245 c.p.c., artt. 2697 e 2727 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta la ricorrente che erroneamente era stata negata l’ammissione della testimonianza di P.D., trattandosi di prova che avrebbe consentito di ritenere insussistente il nesso di causalità tra presunta violazione dell’obbligo informativo ed esecuzione dell’intervento, poichè si sarebbe dimostrato che il paziente, anche ove compiutamente informato, si sarebbe comunque sottoposto all’intervento.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 244 ss. c.p.c. e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente, quanto all’affermata genericità dei capitoli relativi alle testimonianze dei dottori m. e L., che il documento “consenso informato all’intervento operatorio” indicava il nome del medico che aveva fornito l’informativa al paziente ( m.) ed il nome del direttore della SOC Chirurgia Cardiotoracica ( L.), e che i due testi avrebbero potuto riferire il contenuto dell’informativa fornita al M. relativamente al rischio di complicanze neurologiche.

Il primo ed il secondo motivo sono inammissibili. La valutazione in ordine alla conformità dei capitoli di prova testimoniale ai requisiti di specificità previsti dall’art. 244 c.p.c. spetta istituzionalmente al giudice di merito (Cass. n. 10371 del 1995) ed è sindacabile in cassazione per vizio di motivazione alle condizioni previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. L’apprezzamento da parte della corte territoriale dei capitoli di prova in termini di irrilevanza e genericità è stata censurata non sotto il profilo del vizio motivazionale, ma dal punto di vista della violazione di legge.

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che l’AOU aveva dedotto una serie di elementi indiziari (il referto a firma della Dott.ssa P. ed il documento “consenso informato all’intervento operatorio”) da cui si desumeva l’autonoma scelta del M. di sottoporsi all’intervento chirurgico e che dalla CTU non era emersa la praticabilità di alcuna terapia alternativa. Aggiunge che la CTU aveva fatto riferimento ad un “significativo rischio tromboembolico”, mentre la Corte aveva erroneamente valorizzato un altro passaggio della relazione in cui si dava conto della sussistenza di un rischio fino al 60%, e che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto che il M. potesse condurre una vita attiva, laddove la patologia non era compatibile con attività fisiche. Adduce infine che erroneo era l’assunto della Corte secondo cui nella comparsa di risposta dell’OUA vi sarebbe stata l’indicazione dell’alternativa terapeutica perchè al contrario si affermava che l’attore avrebbe dovuto dimostrare la scelta di una modalità terapeutica alternativa e che il consenso informato dava conto quale alternativa di un altro intervento (angioplastica coronarica in anestesia locale).

Il motivo è inammissibile. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione, ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto, costituiscono un apprezzamento di fatto, che, adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità; diversamente, per l’esistenza della base della presunzione (che coinvolge la stessa presunzione) l’esistenza dei fatti noti (con i loro caratteri, che si riflettono sul percorso) attraverso i quali il giudice di merito deduce l’esistenza del fatto ignoto, essendo parte integrante della stessa struttura normativa della presunzione, è sindacabile in sede di legittimità (fra le tante Cass. n. 4168 del 2001, n. 3321 del 2004, n. 11906 del 2003, n. 2632 del 2014, n. 17535 del 2008). La censura è stata proposta sotto il profilo della violazione di legge, sicchè ciò che la parte deve denunciare è la mancanza dei requisiti legali di gravità, precisione e concordanza del ragionamento presuntivo. Con il motivo di ricorso non si denuncia però l’erronea sussunzione dei fatti assunti a base della presunzione nella fattispecie di cui all’art. 2729 c.c., ma la scelta degli elementi posti a base dell’inferenza presuntiva ed il giudizio di congruenza probatoria degli stessi effettuato dal giudice di merito.

Non si deve provvedere circa le spese del giudizio di cassazione, in mancanza di partecipazione al giudizio della controparte. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 – quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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