Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4640 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7916-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

P.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA

FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GLENDI CESARE

FEDERICO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 40/2004 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 17/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il resistente l’Avvocato ALBINI, per delega dell’Avvocato

MANZI, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 2.3.2006 è stato notificato a P.M.C. un ricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 17.1.2005), che ha accolto l’appello della contribuente contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova n. 687/20/2002, che aveva integralmente respinto il ricorso della contribuente avverso avviso di liquidazione.

L’11 aprile 2006 è stato notificato all’Agenzia ricorrente il controricorso della contribuente.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 12.

1.2011, in cui il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con il menzionato avviso liquidazione (notificato il 16.3.1995) l’Ufficio aveva richiesto il pagamento dell’imposta di registro e dell’INVIM relative ad atto di trasferimento della proprietà di un immobile (registrato il 17.10.1989), in precedenza sottoposto a tassa in misura fissa siccome atto ad efficacia sospensivamente condizionata, condizione che si era poi – asseritamene – avverata in data 1.4.1993. Detto avviso era stato impugnato da entrambi i venditori ed in particolare dalla P. avanti alla CTP di Genova che aveva respinto il ricorso. Contro detta decisione aveva proposto due separati appelli la P. (poi riuniti in corso di causa) con cui – in via pregiudiziale – aveva chiesto (ai sensi dell’art. 1306 cod. civ.) l’estensione del giudicato annullatorio adottato dalla medesima CTP (con sentenza n. 745/2000) nei riguardi dell’altro venditore dell’immobile.

Nonostante fosse stata eccepita da parte del costituito Ufficio finanziario la novità della questione proposta in appello ex adverso, la CTR di Genova aveva integralmente accolto l’impugnazione, riformando la pronuncia di primo grado.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che – in coerenza con la espressa istanza di parte appellante- dovesse farsi applicazione della regola di estensione del giudicato già formatosi in relazione all’impugnazione proposta da altro acquirente, solidalmente coobbligato per l’imposta- atteso che la questione già decisa con sentenza passata in giudicato appariva “in rapporto di pregiudizialità – dipendenza indissolubile con l’altra questione sub iudice, rispetto alla quale la soluzione data con la sentenza passata in giudicato si presenta quale necessaria premessa o presupposto logico indefettibile” ed atteso che la predetta sentenza “riguarda lo stesso avviso di liquidazione ed è passata in giudicato” e che “vale quindi nella fattispecie trattata l’estensione del giudicato”.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa nella misura di circa Euro 11.000,00, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Questioni preliminari.

Preliminarmente necessita rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del processo di appello (instaurato dopo il 1 gennaio 2001 – data di inizio dell’operatività delle Agenzie fiscali – dal solo Ufficio locale dell’Agenzia) sicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente grado.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è tonnata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Sempre in via preliminare deve essere esaminata la dedotta eccezione di “acquiescenza tacita” al giudicato che – secondo parte controricorrente – si sarebbe manifestata con la cancellazione dal campione, da parte dell’Ufficio finanziario, di tutte le imposte a carico della P., così sgravandola totalmente e definitivamente (provvedimento di data 8.2.2005 del Capo Area Controllo dell’Agenzia delle Entrate, confermato dalla comunicazione 10.2.2005 del Capo Area Servizi dello stesso ufficio, documenti che la parte controricorrente dichiarava di produrre sub 1 e 2 del fascicolo del controricorso), ciò che non poteva non considerarsi manifestazione di volontà incompatibile con la volontà di impugnare la sentenza qui in esame.

L’eccezione non può qui trovare accoglimento perchè la parte controricorrente non ha munito del necessario supporto di prova -la cui produzione sarebbe stata ammissibile nel presente grado di giudizio, a mente dell’art. 372 c.p.c., che la consente se essa riguarda l’ammissibilità del ricorso – l’assunto secondo cui l’Amministrazione avrebbe compiuto “atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge”. La medesima parte, pur avendo dichiarato nel suo atto difensivo di voler produrre sub 1 e 2 del fascicolo di questo grado di giudizio i documenti di cui si è detto dianzi, non ne ha concretamente effettuato la produzione, siccome appare per tabulas dalla nota di deposito di parte controricorrente di data 28.4.2006, nella quale non risulta il deposito di alcun documento. Impossibile, dunque, accertare quanto dalla parte controricorrente sostenuto, e cioè che il rimborso in favore della contribuente delle somme da quest’ultima pagate abbia integrato gli estremi dello “sgravio totale e definitivo” (piuttosto che semplice adeguamento al contenuto dispositivo della sentenza di secondo grado, in applicazione delle regole dettate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68), e perciò espressione di inequivoca volontà incompatibile con l’intenzione di avvalersi della facoltà di procedere all’impugnazione della sentenza.

6. Il motivo d’impugnazione.

Il primo ed unico motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 57 e art. 1306 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.

La parte ricorrente assume che la questione “di rito” che la Commissione di secondo grado avrebbe dovuto affrontare – invece totalmente elusa dalla Commissione medesima – “riguarda esclusivamente l’ammissibilità della formulazione solo in grado di appello della richiesta di avvalersi del giudicato formatosi nei confronti di un coobbligato solidale ai sensi dell’art. 1306 c.c.”.

L’art. 1306 cod. civ. prevede infatti una mera facoltà per il debitore solidale di opporre al creditore la sentenza pronunciata nei confronti degli altri coobbligati, sicchè la domanda di parte è condizione imprescindibile per l’estensione del giudicato formatosi in un distinto procedimento.

Appunto perchè trattasi di “eccezione in senso stretto”, la stessa non avrebbe potuto essere proposta in appello, per effetto del preciso disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (“non possono proporsi eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”), senza che possa assumere rilevanza il fatto che il giudicato in questione si fosse formato successivamente alla proposizione del ricorso di primo grado. Nella specie di causa la pronuncia adottata in relazione all’altro venditore era passata in giudicato il 3.4.2001, e perciò prima dell’udienza di discussione della causa nel primo grado di giudizio tenutasi il 6.5.2002, sicchè la parte avrebbe potuto e dovuto avvalersene in quella sede.

Sul punto occorre previamente evidenziare che – diversamente da come assume parte controricorrente, che a tale proposito formula una espressa eccezione di inammissibilità del ricorso avversario per difetto di impugnazione di una diversa e autonoma ratio decidendi asseritamente contenuta nella sentenza di secondo grado – la sentenza medesima trova alimento e fondamento proprio e soltanto nell’eccezione formulata dalla parte allora appellante e che qui è presa in esame, come è reso incontrovertibilmente chiaro dal passo finale della motivazione:”vale quindi nella fattispecie trattata l’estensione del giudicato”. Nel predetto passaggio di motivazione la congiunzione “quindi” ha proprio la funzione di stabilire una relazione di collegamento logico (che consente di attribuire all’insieme la valenza di ratio decidendi unica ed esclusiva della sentenza) tra gli argomenti in precedenza formulati e la conclusione raggiunta nei termini di cui dianzi si è detto.

Pur ammissibile, la censura di parte ricorrente si palesa però infondata.

Secondo la parte ricorrente, infatti, l’omessa formulazione nel primo grado di giudizio di una espressa eccezione fondata sulla richiesta di estensione del giudicato (“indiretto”) favorevole al coobbligato solidale precluderebbe – a termini dell’art. 57 sopra richiamato – l’ammissibilità dell’eccezione medesima in grado di appello.

Orbene, non vi è dubbio che alla questione qui in esame debba essere applicata la previsione dell’art. 57, comma 2, poichè non può negarsi che alla questione prospettata dalla parte allora appellante debba attribuirsi la natura di “eccezione”, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte: “In tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7789 del 03/04/2006).

Quanto poi alla tipologia di siffatta eccezione, torna utile ancora una volta la menzione del precedente di questa Corte:”La richiesta di estensione, ai sensi dell’art. 1306 c.c., comma 2, degli effetti del giudicato favorevole ottenuto dal condebitore solidale (nella specie, nel presupposto della sussistenza di un rapporto di solidarietà passiva fra sostituto d’imposta e sostituito), avanzata per la prima volta in sede di legittimità, è inammissibile; nè l’esistenza in tali termini del giudicato è rilevabile d’ufficio, spettando solamente al debitore valutare se la sentenza resa nei confronti del condebitore solidale debba considerarsi a sè favorevole, e decidere, in caso positivo, esercitando un diritto potestativo sostanziale, di avvalersene ai sensi del citato art. 1306 c.c., comma 2″ (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2383 del 03/02/2006). Trattandosi, insomma, di eccezione in senso sostanziale, a nessun altro se non alla parte che ne beneficia in termini processuali può spettare la facoltà di avvalersene, proponendola in giudizio, sicchè -in difetto di detta proposizione- è da escludersi che il giudicante possa avvalersi d’ufficio dei fatti che ne siano a fondamento e che risultino eventualmente documentati o comunque comprovati in causa.

Detta eccezione non assume però nella specie di causa quell’attributo di “novità” che ne avrebbe potuto pregiudicare la proposizione nel secondo grado di giudizio, a norma del menzionato art. 57. E ciò perchè risulta alla Corte (che sul punto ha facoltà, sollecitata dalla specifica indicazione della parte contro ricorrente, di esercitare il potere di verifica degli atti del primo grado del processo. vertendosi in tema di censura fondata su error in procedendo) che la parte contribuente aveva già provveduto nel corso del primo grado del processo – e nelle more della già fissata udienza di trattazione del ricorso – a depositare in giudizio la sentenza n. 745/20/1999 della CTP di Genova, pronunciata in relazione all’impugnazione proposta dal coobbligato solidale delle imposte qui in parola, sintomo indiscutibile dell’intenzione della ricorrente medesima di volersene avvantaggiare. Nella nota di deposito accompagnatoria dell’anzìdetto documento (in ossequio al disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24) la parte allora ricorrente ebbe a specificare le ragioni di detto deposito qualificandolo come “sentenza di accoglimento del ricorso” adottata in relazione al “medesimo atto di vendita” ed avverso il decreto di liquidazione dell’imposta di cui qui si tratta.

Non può esservi dubbio sul fatto che – in tal modo – la parte ricorrente abbia inteso dichiarare (per facta concludentia) di volersi avvalersi del giudicato indiretto risultante dall’anzidetta pronuncia, e perciò del disposto dell’art. 1306 cod. civ., tanto più che nella predetta “nota di deposito” ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni proposte in ricorso, appunto volte ad ottenere l’annullamento dell’avviso di liquidazione. La tempestività del deposito dell’atto, rispetto al termine previsto dall’art. 32 della Legge di rito per il deposito delle memorie illustrative giustifica la conclusione che detta nota di deposito debba considerarsi ufficialmente nota all’altra parte, la quale non può non avere inteso il senso della produzione nell’ottica invocata, e giustifica anche la conclusione in ordine alla tempestività della proposizione dell’eccezione sin dal primo grado di giudizio.

In quell’ottica, infatti, non può non ritenersi sufficiente, ai fini della tempestiva valorizzazione giudiziale del giudicato indiretto formatosi nel corso del procedimento nel quale esso viene invocato, che la sua esistenza sia evidenziata nel primo atto difensivo utile immediatamente successivo alla formazione del giudicato medesimo (indipendentemente da quale sia il grado o la fase del processo al momento del formarsi di siffatto giudicato), ciò che risulta essersi avverato anche nella specie di causa, grazie alla produzione della sentenza pronunciata nel parallelo procedimento, in vista della già fissata udienza di discussione del processo.

Una simile prospettiva esegetica appare a questa Corte perfettamente in linea con l’indirizzo giurisprudenziale recentemente affermatosi secondo cui “In tema di imposta di registro, ai fini della determinazione del valore finale dell’immobile trasferito, l’acquirente può avvalersi, a norma dell’art. 1306 cod. civ., degli effetti favorevoli della sentenza che, resa nei confronti del venditore, ai fini INVIM, abbia annullato o ridotto quell’accertamento, stante l’identità del valore del bene trasferito agli effetti delle due imposte, postulata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6. Per il principio di celerità dei giudizi, la parte interessata è tenuta a dedurre tempestivamente il giudicato formatosi a favore del venditore, che può essere dedotto, quindi, per la prima volta nel giudizio di legittimità solo se si è formato dopo la conclusione del giudizio di merito” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14696 del 04/06/2008; negli stessi termini pure Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19753 del 2010) pronuncia che costituisce il logico sviluppo del principio enunciato in una pronuncia immediatamente antecedente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7334 del 19/03/2008) con cui questa Corte ha rielaborato anche il limite dell’intervenuto previo adempimento, differenziandone l’efficacia a seconda dell’animus che regge l’adempimento stesso.

Nella prima delle decisioni or ora menzionate questa Corte ha evocato le più recenti evoluzioni giurisprudenziali in proposito dei rapporti tra giudicato e processo ed ha stigmatizzato gli effetti di frammentazione a cui davano luogo gli indirizzi giurisprudenziali antecedenti, ispirati ad una rigida autonomia dei plurimi processi afferenti alla medesima situazione di fatto, di certo funzionale alla celerità degli sviluppi processuali ma eccessivamente penalizzante per la retta applicazione dei principi di uguaglianza e di proporzione con la capacità contributiva.

Se dunque la preminente rilevanza di questi ultimi e la consapevolezza che l’esigenza primaria del celere esito dei processi non subirà insostenibile sacrificio, proprio in virtù della regola di tempestività della deduzione dei fatti, non appena essi sopravvengano nel corso del processo, hanno indotto questa Corte a ritenere idoneamente proposta la eccezione di giudicato indiretto a mezzo dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione, non diversamente dovrà dirsi – per evidenti ragioni di razionalità sistematica – a proposito della tempestività della medesima eccezione, se fatta valere con l’atto introduttivo dell’appello e sul presupposto che l’eccezione medesima non fosse altrimenti proponibile (in considerazione degli strumenti approntati dalla legge processuale) nel grado precedente del giudizio, nel quale però il fatto nuovo era stato tempestivamente comprovato ed invocato.

Deve perciò concludersi nel senso che correttamente il giudice di secondo grado ha pronunciato sull’eccezione ivi proposta dalla parte appellante, tanto più alla luce del fatto che detta eccezione risultava già “ex actis” dal materiale acquisito nel corso del primo grado di giudizio.

Non resta quindi che disattendere il ricorso, siccome centrato sull’unica infondata censura fin qui presa in esame.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze e compensa tra le parti le relative spese di lite.

Rigetta il ricorso dell’Agenzia. Condanna la parte ricorrente a rifondere all’intimata le spese di questo grado, liquidate in Euro 1.800,00 oltre Euro 200,00 di spese ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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