Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4638 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5331-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA LARGO TRIONFALE

7, presso lo studio dell’avvocato SCIALLA MARIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SARTIANI GABRIELLA, giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 43/2004 della COMM. TRIB. REG. di

FIRENZE, depositata il 21/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 4.2.2006 è stato notificato a S.G. un ricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 21.12.2004), che ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Grosseto n, 43/02/2004, che aveva accolto il ricorso della medesima contribuente avverso iscrizione a ruolo e cartella esattoriale di pagamento emessa a seguito di avviso di liquidazione INVIM a titolo principale (quest’ultimo notificato il 23.06.1999), che era rimasto non evaso entro il fissato termine di giorni 60.

Il 14 marzo 2006 è stato notificato al Ministero ed all’Agenzia ricorrenti il controricorso della contribuente.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 12.1.2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con il menzionato avviso di liquidazione l’Ufficio aveva preteso il pagamento dell’INVIM a titolo principale, in applicazione del D.L. 2 marzo 1989, n. 69, art. 24 dovuta in relazione all’acquisto di un immobile sito in Scansano, a seguito di accertamento dell’avvenuta usucapione dello stesso a mezzo di sentenza n. 172/94, registrata il 17.7.1995, del Tribunale di Grosseto. Avverso detto avviso la parte contribuente, che aveva omesso di assolvere al debito tributario entro il termine assegnato di giorni 60, aveva proposto opposizione giudiziale e l’Ufficio preso atto dell’omesso pagamento-aveva poi iscritto a ruolo l’imposta donde la successiva emissione di cartella esattoriale per il pagamento sia dell’imposta che della sanzione per l’omesso pagamento, oltre agli interessi di mora.

Impugnando detta cartella esattoriale avanti alla Commissione Provinciale di Grosseto, la contribuente aveva eccepito l’illegittimità dell’atto ed era risultata vittoriosa sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, tanto che nel primo grado l’avviso di liquidazione era stato integralmente annullato, provvedimento poi confermato da parte del giudice di secondo grado.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che – sulla premessa della pendenza del ricorso contro l’avviso di liquidazione dell’imposta INVIM di cui si è detto – sarebbe spettato all’ente impositore di “richiedere l’imposta principale”, non anche interessi e sanzioni che “in mancanza di una decisione favorevole della controversia, non erano legittimi”.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico (ma complesso) motivo d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa nella misura di circa Euro 12.529,01, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Questione preliminare.

Preliminarmente necessita rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del processo di appello (instaurato dopo il 1 gennaio 2001 – data di inizio dell’operatività delle Agenzie fiscali – dal solo Ufficio locale dell’Agenzia) sicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente grado.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

6. Il motivo d’impugnazione.

Il primo ed unico motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3.

Insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

La parte ricorrente assume che la motivazione della sentenza appare palesemente contraddittoria perchè il giudice di appello – nella motivazione – ha considerato legittima l’avvenuta iscrizione a ruolo dell’imposta principale, per quanto nel dispositivo risulti – inopinatamente – respinto “in toto” l’appello, e perciò implicitamente confermato l’integrale annullamento della cartella di pagamento, come disposto dal giudice di primo grado.

Lo specifico argomento condiviso dal giudice di secondo grado – secondo cui l’iscrizione a ruolo non avrebbe potuto prevedere anche le sanzioni e gli interessi – non avrebbe dovuto quindi condurre, in nessun caso, all’annullamento dell’intera cartella, ma semmai al solo annullamento parziale in relazione alle somme concernenti appunto sanzioni ed interessi.

La ricorrente assume poi che con il predetto argomento la Commissione Regionale aveva anche violato il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2 che correla una sanzione del 30% all’omesso pagamento da parte del contribuente dell’imposta legittimamente pretesa dall’Amministrazione. L’omissione era consistita nel mancato adempimento entro il termine fissato dall’avviso di liquidazione, termine che avrebbe dovuto essere rispettato indipendentemente dalla proposizione del ricorso avverso detto avviso di liquidazione.

I predetti profili di censura, che possono essere esaminati congiuntamente, per la loro coordinazione logica, sono fondati.

Il giudice di secondo grado ha infatti argomentato – sostanzialmente – sulla scorta della ritenuta carenza dell’efficacia esecutiva in capo al titolo azionato dall’Amministrazione (e cioè avviso di liquidazione INVIM a titolo principale) a fronte del quale ha supposto che l’impugnazione giudiziale determinasse l’effetto del venir meno della sanzione e degli interessi connessi con l’omissione di pagamento.

Senonchè, il presupposto per l’esercizio della potestà di iscrizione a ruolo donde si origina la cartella di pagamento è – nella presente fattispecie – desumibile dalla disciplina dettata dal combinato disposto del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 2 e del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 56 del T.U. (ai fini INVIM richiamato dal predetto D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 31).

Secondo la prima delle anzidette norme, “l’imposta si applica all’atto dell’alienazione a titolo oneroso o dell’acquisto a titolo gratuito, anche per causa di morte, o per usucapione del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento sull’immobile”.

Secondo la seconda delle anzidette norme, poi, “Il ricorso del contribuente non sospende la riscossione, a meno che si tratti:

a) di imposta complementare per il maggior valore accertato. In tal caso la maggior imposta deve essere pagata per un terzo entro il termine di cui all’art. 55, per due terzi dell’imposta liquidata sul valore risultante dalla decisione della commissione tributaria di primo grado e per il resto dopo la decisione della commissione di secondo grado, in ogni caso al netto delle somme già riscosse; la direzione regionale delle entrate, se ricorrono gravi motivi, può sospendere la riscossione fino alla decisione della commissione tributaria di primo grado. Se l’imposta riscuotibile in base alla decisione della commissione tributaria è inferiore a quella già riscossa, il contribuente ha diritto al rimborso della differenza entro sessanta giorni dalla notifica della decisione, che deve essere eseguita anche su richiesta del contribuente;

b) di imposte suppletive, che sono riscosse per intero dopo la decisione della commissione tributaria centrale o della corte d’appello o dell’ultima decisione non impugnata”.

Non versandosi in alcuna delle due fattispecie elencate alle lettere a) e b) nella norma sopra trascritta, appunto perchè trattasi di imposta a titolo principale (e perciò indipendentemente dall’avvenuta impugnazione del provvedimento impositivo e nonostante la non definitività dello stesso provvedimento), l’Ufficio ha correttamente iscritto a ruolo non solo l’imposta principale ma anche la sanzione correlata con l’omesso tempestivo pagamento.

In termini si è già pronunciata questa Corte Suprema, sia pure in situazione di fatto non esattamente coincidente con quella di causa, con sentenza di cui conviene trascrivere la massima:

“In tema di imposta di registro, la maggiore imposta liquidata dall’ufficio in caso di trasferimento di immobile non ancora iscritto in catasto, con richiesta di applicazione del criterio di valutazione automatica sulla base della rendita catastale da attribuire al bene (del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12 convertito nella L. 13 maggio 1988, n. 154, in relazione al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52), ha natura di imposta principale (e non complementare), ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 42 dovendosi intendere per imposta “applicata al momento della registrazione” anche quella per la quale in detto momento esista la mera individuazione concreta dei presupposti per la successiva quantificazione del tributo. Ne consegue che non si applicano i criteri di riscossione fissati, in caso di pendenza di giudizio, nell’art, 56, comma 1, lett. a), dello stesso D.P.R., in virtù del generale principio per cui “il ricorso del contribuente non sospende la riscossione”, enunciato nella premessa del primo comma medesimo” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13523 del 23/06/2005).

Del tutto correttamente, quindi, l’Amministrazione ha iscritto a ruolo le imposte rimaste inevase e le conseguenti sanzioni, anche alla luce della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2 che correla una sanzione del 30% all’omesso pagamento da parte del contribuente dell’imposta legittimamente pretesa (come nella specie di causa). Detta norma, diversamente da quanto assume la parte controricorrente prevede – al comma 2 – che: “Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”, e perciò senza che dalla norma stessa (e dalla fonte normativa, intitolata, in termini generali, alle “sanzioni tributarie non penali in materia … di riscossione dei tributi”) si possa trarre alcuna limitazione in termini di materie, come postula la parte controricorrente.

La pronuncia del giudice di secondo grado – che peraltro ha fatto incongruamente derivare dalle erronee considerazioni di cui si è detto l’integrale nullità del provvedimento, sia pure avendo premesso la correttezza della pretesa afferente il pagamento dell’imposta – deve essere dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto integrale del ricorso avverso l’iscrizione a ruolo e l’avviso di liquidazione dell’imposta e relativi accessori.

La regolazione delle spese di lite resta improntata al criterio della soccombenza, anche per i gradi di merito.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze e compensa tra le parti le relative spese di lite.

Accoglie il ricorso dell’Agenzia e – decidendo nel merito – rigetta integralmente il ricorso della parte contribuente avverso l’iscrizione a ruolo e l’avviso di liquidazione dell’imposta e relativi accessori. Condanna la parte intimata a rifondere alla Agenzia ricorrente le spese di lite, liquidate per questo grado in Euro 1.500,00 oltre spese generali se dovute ed accessori di legge, e per i gradi di merito in Euro 1.000,00 nel complesso di diritti ed onorari, per ciascuno dei due gradi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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