Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4638 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2063-2019 proposto da:

PREFETTURA DI COMO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.D., G.E., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE ROBERTO ARDIGO’ 30, presso lo studio dell’avvocato FRANCSCO

MOCERI, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1017/2018 del TRIBUNALE di COMO, depositata il

04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.D. e G.E. proponevano opposizione avverso le ordinanze ingiunzione nn. 3978 e 3998 del 2016, con le quali era stata applicata la sanzione pecuniaria per la violazione della L. n. 386 del 1990, art. 1, per avere emesso assegni bancari senza autorizzazione del trattario.

Si contestava che il primo, quale amministratore della Euwork S.r.l., e la seconda, quale cofirmataria, in virtù di potere attribuitole dal CDA della medesima società, avessero emesso degli assegni in assenza di autorizzazione del trattario alla data della presentazione all’incasso.

Infatti, in data anteriore rispetto a quella apposta sui titoli, la società aveva sfiduciato il P., revocando anche il potere di firma alla G., sicchè allorquando i titoli erano stati messi all’incasso, entrambi gli opponenti erano privi della necessaria autorizzazione.

A fondamento dell’opposizione si deduceva che gli assegni erano stati emessi in una data in cui i ricorrenti erano autorizzati, atteso che si trattava di assegni postdatati, e che la loro emissione era avvenuta a scopo di garanzia ovvero per costituire una promessa di pagamento.

Si aggiungeva che il patto di garanzia era affetto da nullità per contrasto con norme imperative, e che il successivo mutamento della compagine sociale costituiva una causa non imputabile agli opponenti.

Il giudice di pace di Como con le sentenze nn. 905 e 906 del 2016 rigettava l’opposizione ed il Tribunale di Como, riuniti i due giudizi di appello, con la sentenza n. 1017 del 4/7/2018, accoglieva le opposizioni.

La decisione di secondo grado riteneva che fosse carente in capo agli opponenti l’elemento soggettivo, che comunque è necessario ricorra anche in caso di illeciti amministrativi.

Gli assegni erano stati consegnati al creditore della società in data 15 febbraio 2015, allorchè gli appellanti erano ancora legali rappresentanti della società, essendo stato previsto che gli stessi non sarebbero stati posti all’incasso prima della data ivi indicata come di emissione, e chiaramente successiva a quella di consegna.

A tale data, gli opponenti non potevano sapere che successivamente avrebbero perduto la rappresentanza della società, con il conseguente venir meno del potere di firma sul conto corrente bancario, nè avrebbero potuto immaginare che il creditore avrebbe posto i titoli all’incasso, rifiutando la sostituzione con altri assegni.

In presenza di tali imprevedibili circostanze, doveva escludersi la colpevolezza degli appellanti, dovendosi quindi accogliere l’opposizione con la compensazione delle spese del doppio grado.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Prefettura di Como sulla base di tre motivi.

P.D. e G.E. hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto il Tribunale avrebbe accolto l’appello sul presupposto della carenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma nella condotta degli opponenti, sebbene non costituisse un valido motivo di opposizione avanzato sin dal primo grado.

Ne deriva che, dovendo la cognizione del giudice dell’opposizione ad ordinanza ingiunzione correlarsi alla tempestiva indicazione dei motivi da parte dell’opponente, la decisione ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il motivo è infondato.

Infatti, come si ricava dalla lettura dello stesso ricorso, nella parte relativa all’esposizione dei fatti di causa, l’originaria opposizione, volta a contestare l’insussistenza dell’illecito si fondava anche sull’affermazione secondo cui “il successivo mutamento della compagine sociale era dovuto a causa non imputabile agli opponenti”.

Risulta, quindi, dalla stessa riepilogazione dei fatti di causa svolta dalla ricorrente che era stata invocata la non imputabilità della condotta sanzionata, e quindi l’assenza del dolo o della colpa dei ricorrenti, per il sopravvenire di una situazione loro non imputabile e connotata da imprevedibilità, assumendosi che ciò andava identificato con il successivo mutamento della compagine sociale, e cioè proprio la vicenda che, ad avviso del Tribunale, ha escluso la ricorrenza dell’elemento soggettivo dell’illecito in capo agli appellanti.

Il secondo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, posto che la previsione, a differenza di quanto opinato dal giudice di appello, pone una presunzione di colpa a carico del sanzionato sul quale incombe l’onere di offrire la prova contraria.

La sentenza impugnata ha invece escluso la ricorrenza dell’elemento soggettivo sul presupposto che non vi fossero elementi sufficienti per affermare la presenza del dolo o della colpa, disattendendo la costante interpretazione della norma offerta dal giudice di legittimità.

Il terzo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 386 del 1990, art. 1 e della L. n. 689 del 1981, art. 3, laddove il giudice di merito ha escluso la sussistenza dell’elemento psicologico, in contrasto con l’orientamento secondo cui eventuali accordi privati in merito alla postdatazione dell’assegno non possono avere incidenza sulla configurazione dell’illecito nel caso in cui, al momento dell’incasso, colui che ha sottoscritto l’assegno abbia perso l’autorizzazione ad emetterlo.

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

Ed, infatti, ribadito il principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 9546/2018) in materia di illecito amministrativo il giudizio di colpevolezza è ricollegato a parametri normativi estranei al dato puramente piscologico (cui invece risulta ancorata la valutazione del Tribunale) essendo limitata l’indagine al riscontro dell’elemento oggettivo dell’illecito ed all’accertamento della “suità” della condotta inosservante sicchè, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (conf. ex plurimis Cass. S.U. n. 20390/2009; Cass. n. 1529/2018), l’affermazione del giudice di appello secondo cui l’eventuale perdita del potere di rappresentanza della società titolare del rapporto di conto corrente sul quale erano stati tratti gli assegni, costituiva fatto del tutto imprevedibile idoneo ad escludere l’elemento soggettivo dell’illecito, si scontra con la giurisprudenza di questa Corte che ha appunto affermato che (Cass. n. 14322/2007) colui che emette un assegno bancario privo della data di emissione, valevole come promessa di pagamento, con l’intesa che il prenditore possa utilizzare il documento come titolo di credito in epoca successiva, apponendovi data e luogo di emissione, si assume la responsabilità (quanto meno a titolo di dolo eventuale) della eventuale attribuzione al medesimo documento delle caratteristiche dell’assegno bancario, e pertanto può rispondere dell’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 386 del 1990, art. 1 (come sostituito dal D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 28) se, al momento dell’utilizzazione del titolo, non vi sia l’autorizzazione ad emetterlo.

Conforta tale principio anche la giurisprudenza penale, maturata allorquando la fattispecie assumeva ancora rilevanza penale, e presupponeva la dimostrazione dell’effettiva ricorrenza del dolo o della colpa, essendosi affermato che (Cass. pen. 5333 del 1999), in presenza di un titolo privo dell’indicazione della data, pur potendo valere solo come promessa di pagamento, e non potendo essere considerato un assegno nè ai fini della decorrenza del termine di presentazione per l’incasso nè ai fini dell’applicabilità delle sanzioni penali, qualora sia emesso con l’intesa che il prenditore lo utilizzerà successivamente come assegno, apponendovi data e luogo di emissione, l’emittente si assume la responsabilità anche penale, quanto meno a titolo di dolo eventuale, della successiva attribuzione al titolo delle caratteristiche dell’assegno bancario. Sicchè risponde dei delitti previsti rispettivamente dalla L. n. 386 del 1990, artt. 1 e 2, se al momento dell’utilizzazione del documento come assegno mancheranno l’autorizzazione del trattario o i necessari fondi di provvista. E in tal caso non sarà rilevante la prova della data dell’effettiva consegna del documento al prenditore, perchè, salvo eventi eccezionali, l’emittente dell’assegno privo di data accetta il rischio che, al momento del riempimento del documento e della sua utilizzazione come assegno, il titolo risulti privo di provvista o di autorizzazione (conf. Cass. pen. 7988 del 1998).

Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tali principi e che pertanto la sentenza impugnata in accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale debba essere cassata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Como in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio, atteso che la cassazione della sentenza determina evidentemente l’assorbimento del motivo di ricorso incidentale con il quale le originarie parti opponenti si dolgono della compensazione delle spese di lite, a fronte dell’accoglimento dell’opposizione.

P.Q.M.

Accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, e rigettato il primo motivo del ricorso principale ed assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Como, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

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