Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4637 del 28/02/2018

Civile Ord. Sez. L Num. 4637 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 21804-2014 proposto da:
AA,

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
2017

Data pubblicazione: 28/02/2018

– controricorrente

avverso la sentenza n. 291/2014 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 13/03/2014 R.G.N. 600/2012.

77′

RG 21804\14

Che la Corte d’appello di Firenze , con sentenza depositata il 13.3.13, respinse
il gravame proposto da AA avverso la sentenza del locale Tribunale
che dichiarò la legittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati con
Poste Italiane s.p.a. dal 10.7 al 31.8.07, e dal 21.2 al 31.3.08, ai sensi dell’art.
2, comma 1 bis, del d.lgs. n.368\01, aggiunto dal’art.1, comma 558, della L. n.
266\05 (“Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando
l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle
poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed
ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e
nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale, riferito
al 1° gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni
sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di
assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma”).
Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il AA, affidato a tre
motivi, poi illustrati con memoria; resiste la società Poste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
I motivi tutti presentano profili di inammissibilità in quanto si limitano ad
enunciare una serie di principi estrapolati da talune sentenze CGUE e nazionali,
senza alcun concreto riferimento al caso di specie, per poi concludere per
l’erroneità della sentenza impugnata senza indicare ove ed in qual modo essa
sarebbe in contrasto coi suddetti principi. Per il resto questa Corte osserva che:
1.-Con i primi due motivi il ricorrente denuncia la violazione della clausola 4 e
8.1 dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva comunitaria n. 99\70 CE, la
violazione dei principi di non discriminazione e di uguaglianza comunitari,
lamentando in sostanza che l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368\01
contrasta col diritto europeo ed in particolare con gli artt. 39 e 49 T.U.E. e con
la direttiva comunitaria 1999\70\CE. Lamenta inoltre che l’art. 2, comma 1 bis,
non poteva essere interpretato prescindendo da quanto disposto dall’art. 1 del
d.lgs n. 368\01, e dunque non poteva ritenersi un’ipotesi di assunzione a
termine acausale, prescindendo dai principi di cui all’art. 1 e dal diritto
comunitario (europeo), anche alla luce dell’art.5, comma 4 bis, d.lgs n. 368\01
(circa il limite massimo di 36 mesi)
1.1.- I motivi, esaminabili congiuntamente stante la loro connessione, sono
infondati, avendo questa Corte più volte affermato che la norma in questione
(comma 1 bis dell’art. 2 d.lgs. n. 368\2001) è stata ritenuta legittima dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n. 214/2009, e che questa Corte, inoltre,
ha già evidenziato che tale disposizione non contrasta con l’ordinamento
comunitario (cfr. da ultimo Cass. 23.9.2014 n. 19998), in quanto, peraltro,
come rilevato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C-20/10, Vino), è
giustificata dalla direttiva 1997/67/CE, in tema di sviluppo del mercato interno
dei servizi postali, non venendo in sostanza in rilievo la direttiva 1999/70/CE,
in tema di lavoro a tempo determinato, neppure con riferimento al principio di
non discriminazione, che è affermato per le disparità di trattamento fra
lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma non
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RILEVATO

anche per le disparità di trattamento fra differenti categorie di lavoratori a
tempo determinato (Cass. 11.7.2012 n. 11659). La sentenza impugnata risulta
dunque corretta alla luce dei principi affermati da questa Corte in materia, e
cioè che l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, aggiunto dall’art. 1,
comma 558, della legge n. 266 del 2005, ha introdotto, per le imprese operanti
nel settore postale, un’ipotesi di valida apposizione del termine autonoma
rispetto a quelle stabilite dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 2001,
richiedendo esclusivamente il rispetto dei limiti temporali, delle percentuali
(sull’organico aziendale) e di comunicazione alle organizzazioni sindacali
provinciali e non anche l’indicazione delle ragioni giustificative dell’apposizione
del termine, dovendosi escludere che tale previsione sia irragionevole – come
positivamente valutato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 214 del
2009 – o contrasti con il divieto di regresso contenuto nell’art. 8 dell’Accordo
quadro allegato alla direttiva 99/70/CE, trattandosi di disposizione speciale,
introdotta accanto ad altra analoga previsione speciale, con la quale il
legislatore si è limitato ad operare una tipizzazione della ricorrenza di esigenze
oggettive, secondo una valutazione di tipicità sociale. Ne consegue che per i
relativi contratti di lavoro non opera l’onere di indicare sotto il profilo formale,
e di rispettare sul piano sostanziale una causale, oggettiva e di natura
temporanea, giustificatrice dell’apposizione di un termine al rapporto (Cass.
sez.un. n. 11374\16, Cass. 26.7.2012 n. 13221, Cass. 2.7.2015 n. 13609,
Cass. n. n.2324\16).
Le sezioni unite di questa Corte (SU n. 11374\16; cfr. già:
Cass. ord.
n.26673\16; Cass. n. 19998\14) hanno peraltro ben chiarito che la successione
di più contratti a termine ex art. 2, comma 1 bis, è legittima anche in base
alla Dir UE (la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato
nel rispetto della disciplina di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, e successive
integrazioni (tra cui anche il comma 1 bis art.2), applicabile “ratione temporis”,
dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la
clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella Direttiva n.1999/70/CE, atteso
che l’ordinamento italiano e, in ispecie, l’art. 5 del d.lgs. n. 368 cit., come
integrato dall’art. 1, commi 40 e 43, della I. n. 247 del 2007, impone di
considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai
periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della
durata massima (36 mesi), la cui violazione comporta la trasformazione a
tempo indeterminato del rapporto.
Il ricorrente lamenta anche il mancato rispetto del cd. contingentamento, ma
anche qui senza specificare dove ed in qual modo la sentenza impugnata
avrebbe errato, pur accennando alla questione del computo per full Urne
equivalent, su cui v. in fra.
2.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’inapplicabilità al caso di specie
del ridetto art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368\01, evidenziando
l’inapplicabilità della norma se non agli addetti al servizio postale in senso
stretto, senza neppure specificare le mansioni cui venne adibito.
Il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato (cfr. in
particolare Cass. n. 13609\15) che in tema di contratto di lavoro a tempo
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determinato, l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, fa
riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene
l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non
anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della
disposizione, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento
del cd. “servizio universale” postale, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 22
luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il
riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a
tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente
fissate dal legislatore. Non risulta dunque condivisibile la tesi secondo cui la
legittimità delle assunzioni de quibus andava verificata con esclusivo
riferimento al personale addetto al servizio postale propriamente detto,
dovendosi rammentare che, anche in applicazione del criterio ermeneutico di
cui all’art. 12, comma 1, delle preleggi, “il predetto comma 1 bis fa esclusivo
riferimento alla tipologia dell’impresa presso cui avviene l’assunzione (“imprese
concessionarie di servizi nei settori delle poste”) e nient’affatto alla tipologia
delle mansioni a cui sia destinato il lavoratore assunto. Ciò trova conferma nel
raffronto con la disposizione di cui al precedente comma 1 dell’art. 2 d.lgs n.
368\01, relativa alle aziende di trasporto aereo e a quelle esercenti i servizi
aeroportuali, in relazione alle quali è stato invece previsto che l’assunzione a
termine è consentita all’ulteriore condizione che “abbia luogo per lo
svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai
passeggeri e merci’, valorizzando quindi specificamente, a differenza di quanto
stabilito dal comma 1 bis, la tipologia delle mansioni del lavoratore assunto.
Che la ragione giustificatrice della norma (nonché il fondamento della sua
legittimità costituzionale) risieda nella tipologia della impresa datrice di lavoro,
a prescindere da qualsivoglia incidenza delle mansioni in concreto affidate al
lavoratore a termine, è stato del resto riconosciuto anche dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 214/2009, laddove, nel dichiarare non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 bis, d.lgs.
n. 368/01, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, 101, 102 e 104
della Costituzione, ha evidenziato come non sia irragionevole che alle “imprese
tenute per legge all’adempimento” dell’onere di assicurare lo svolgimento dei
servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione
degli invii postali, nonché la realizzazione e l’esercizio della rete postale
pubblica (i quali “costituiscono attività di preminente interesse generale”, ai
sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di
attuazione della direttiva 1997/67/CE, la quale, a sua volta, impone all’Italia di
assicurare lo svolgimento del c.d. “servizio universale”) sia riconosciuta una
certa flessibilità nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati
inderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo
determinato”.
Deve quindi affermarsi che (esclusa la rilevanza tra impresa ed azienda
proposta dal ricorrente, ove gli addetti ad attività diverse farebbero parte di
diversa azienda, non potendosi ritenere azienda diversa i vari settori in cui
l’impresa Poste è articolata, trattandosi della medesima realtà produttiva,
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riguardata sotto il profilo soggettivo -impresa\imprenditore (art. 2082 c.c.)- e
quello oggettivo – complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa,
art. 2555 c.c.) il legislatore del 2006 ha inteso riferirsi a tutta l’impresa (o
azienda), senza distinguere tra le varie e plurime mansioni dei dipendenti.
Anche la doglianza secondo cui il calcolo della percentuale del 15%
dell’organico andrebbe considerata non ‘a testa’, ovvero computando ogni
dipendente della società in modo eguale, ma distinguendo i lavoratori in base
all’orario di lavoro effettivamente svolto dai vari dipendenti a tempo
indeterminato (cioè conteggiando i lavoratori part Urne in proporzione all’orario
effettuato), anche alla luce dell’art.6 del d.lgs. n. 61\00, è infondata.
Ed invero la lettera della legge (art. 2, comma 1 bis in esame) non distingue
tra lavoratori part Urne e full time, né fa alcun riferimento all’art. 6
dell’invocato d.lgs. n. 61\00, ciò che del resto renderebbe il calcolo della
percentuale di assunti a termine particolarmente gravosa ed in contrasto con i
fini di agevolazione dello svolgimento del servizio postale, che costituisce
“attività di preminente interesse generale”, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del
decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva
1997/67/CE, la quale, a sua volta, impone all’Italia di assicurare lo svolgimento
del c.d. “servizio universale”, con conseguente flessibilità nel ricorso (entro
limiti quantitativi fissati) allo strumento del contratto a tempo determinato. Il
motivo difetta peraltro di autosufficienza, non avendo il ricorrente dedotto,
prima ancora di aver indicato le prove fornite al riguardo, se e quanti lavoratori
stabili ma part time fossero alle dipendenze di Poste al 1°gennaio dell’anno di
riferimento e computati indistintamente.
Del resto questa Corte, sia pur con riferimento all’analogo contingentamento
previsto dall’art. 8, comma 3, del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 per i
dipendenti dell’Ente Poste Italiane, escluse la rilevanza del criterio del cd. `full
time equivalent’, Cass. n. 3031\14.
4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con regolamentazione delle spese
secondo soccombenza e come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, pari ad €.200,00 per esborsi ed €.3.500,00 per
compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L.
24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso art.13.
Roma, così deciso nella Adunanza camerale del 28 novembre 2017

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