Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4637 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1991-2019 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato PAOLO FIORILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO PALMIERI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

E.F., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

ADRIANO POLICICCHIO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1546/2018 della CORTE d’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con distinti atti di citazione E.F., evidenziando di essere titolare della quota di (OMISSIS) sul bene sito in agro di (OMISSIS) località Conciliazione, meglio riportato in citazione, lamentava che Em.Fi. ed E.N., con atto del (OMISSIS) per notar F.M. avevano venduto a T.M.R. la piena proprietà del bene.

Lamentava che tale vendita era inefficace in quanto avvenuta senza la partecipazione di esso comproprietario, atteso che i convenuti erano solo titolari di alcune quote.

Aggiungeva che la vendita era comunque avvenuta in violazione del diritto di prelazione di esso coerede e che risultava inveritiera l’affermazione contenuta nell’atto, secondo cui i venditori avevano acquistato la proprietà esclusiva per effetto del possesso ultraventennale.

Concludeva, quindi, affinchè fosse accertata l’inefficacia dell’atto di compravendita in quanto inidoneo a trasferire anche i diritti di sua spettanza; inoltre dichiarava che era intenzionato a riscattare le quote dei venditori, in quanto la vendita era intervenuta in violazione dell’art. 732 c.c., chiedendo altresì dichiararsi la responsabilità del notaio che aveva stipulato l’atto, senza avvedersi dell’effettivo regime proprietario del bene.

Evocati in giudizio gli eredi di Em.Fi., E.G. e R.C., nonchè E.N., il notaio rogante e T.M.R., il Tribunale di Vibo Valentia con la sentenza n. 750/2004 accoglieva il primo capo della domanda, dichiarando la nullità dell’atto di compravendita, rigettando i restanti capi di domanda.

Avverso tale sentenza proponevano appello R.C., E.G. ed E.N., cui resisteva il solo E.F..

La Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza n. 1546 del 7/9/2018, in parziale riforma della sentenza gravata ha dichiarato l’inefficacia dell’atto di vendita nei confronti dell’attore, dichiarando interamente compensate le spese del doppio grado.

Quanto ai motivi di appello che lamentavano anche la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere l’attore chiesto la declaratoria di inefficacia dell’atto, laddove invece il Tribunale lo aveva dichiarato nullo, la Corte di merito, dato atto del passaggio in giudicato del rigetto della domanda risarcitoria spiegata nei confronti del notaio rogante, osservava che non era stata fornita alcuna prova dell’avvenuta usucapione della piena proprietà del bene in capo ai soggetti che risultavano venditori nell’atto impugnato.

Infatti, le richieste istruttorie, sebbene ribadite nell’atto di appello, non erano state poi reiterate in sede di udienza di conclusioni e dovevano quindi ritenersi rinunciate.

Quanto invece alla declaratoria di nullità del contratto, esclusa la violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il Tribunale provveduto a fornire quella che per lui era la corretta qualificazione giuridica dei fatti dedotti, riteneva che effettivamente non fosse possibile addivenire alla conclusione della nullità.

Nel caso di specie, in cui la vendita dell’intero era avvenuta solo da parte di alcuni dei comproprietari, era corretto far richiamo alla disciplina di cui all’art. 1480 c.c. in tema di vendita di cosa parzialmente altrui, con l’effetto che andava dichiarata la sola inefficacia parziale della vendita per quanto riguardava la quota di proprietà di E.F.. Per la cassazione di tale sentenza E.G., anche quale erede di R.C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato su tre motivi.

Resiste con controricorso E.F..

Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza che veda come parte del contratto di compravendita impugnato anche E.N. e T.M.R., non risulta essere stato notificato nei confronti di tutti i soggetti che hanno preso parte alla vendita ed al precedente giudizio di merito.

E’ bensì vero che nella specie si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato.

Senonchè, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dalla Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali, artt. 6 e 13) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).

In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c. per contrasto tra motivazione e dispositivo.

Si rileva che, mentre nella motivazione si dava atto che la domanda dell’attore di invalidità o di inefficacia del contratto di compravendita costituiva un mero presupposto della domanda di riscatto ex art. 732 c.c., in dispositivo si perviene alla declaratoria di inefficacia della stessa vendita, sebbene l’inefficacia non avrebbe permesso di ottenere la tutela sotto forma di riscatto.

Trattasi di un’evidente anomalia della motivazione derivante dall’esistenza di affermazioni inconciliabili che deve essere risolta attribuendo prevalenza alla motivazione.

Il motivo, in disparte l’erroneità del riferimento al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, è inammissibile per difetto di specificità.

Il ricorrente infatti non si avvede che in realtà quella che riporta, alla fine della pag. 10 ed all’inizio della pag. 11 del ricorso, come motivazione della sentenza impugnata non rappresenta il vero contenuto della decisione assunta dalla Corte d’Appello, ma è piuttosto la preliminare esposizione del contenuto dei motivi di gravame, come formulati dalla stessa parte ricorrente in sede di appello.

Il riferimento alla natura servente della domanda di inefficacia della compravendita rispetto alla domanda di retratto successorio non costituisce la ragione in base alla quale la Corte d’Appello ha comunque dichiarato l’inefficacia dell’atto, ma è l’esplicitazione del ragionamento invece seguito da parte appellante al fine di ottenere la riforma della sentenza del Tribunale.

Viceversa, la sentenza gravata, dando atto che uno dei capi di domanda proposti, e che era l’unico a rimanere ancora in piedi dopo la sentenza di primo grado, atteso che l’attore non aveva impugnato la statuizione di rigetto resa sul punto da parte del giudice di prime cure, riguardava proprio la validità ed efficacia dell’atto di vendita, in parziale riforma di quanto deciso in prime cure, ha rilevato che l’atto non era nullo, bensì solo relativamente inefficace e per quanto atteneva alla quota proprietaria spettante all’odierno controricorrente, il che esclude qualsivoglia insanabile contraddittorietà tra motivazione e dispositivo.

Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 100,732,1480 e 2697 c.c., degli artt. 112,115 e 116c.p.c., nonchè dell’art. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Si rileva che, poichè la domanda principale era quella di retratto successorio, non poteva procedersi all’esame della domanda di inefficacia della compravendita, atteso anche il difetto di interesse ad agire dell’appellato.

Inoltre, risulta del tutto improprio il riferimento all’art. 1480 c.c. che è norma che regola gli effetti della vendita per il compratore e non anche per il terzo.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

La censura parte anche in questo caso all’erroneo presupposto che la verifica della validità o meno del contratto di vendita fosse funzionale esclusivamente all’esercizio del retratto successorio, ma risulta frutto di un’erronea lettura del contenuto della sentenza impugnata, la quale, lungi dall’accedere a tale conclusione, aveva in realtà esposto quello che era il ragionamento a sostegno dell’appello.

In senso contrario milita peraltro quanto emerge dallo stesso contenuto della decisione d’appello, laddove nello svolgimento del processo la Corte d’appello riporta in maniera analitica il contenuto delle richieste di cui all’originario atto introduttivo del giudizio, contenuto che denota in maniera inequivoca come la domanda di cui al punto 1) delle conclusioni (cfr. pag. 3 della sentenza d’appello) concernesse proprio la dichiarazione di inefficacia del contratto di compravendita per la mancata prestazione del consenso del titolare di una quota del bene alienato, avendo le altre domande carattere cumulativo rispetto a quella di inefficacia, ma senza che quest’ultima fosse subordinata all’accoglimento delle altre (potendosi anzi ritenere che fosse la domanda di riscatto logicamente condizionata al rigetto della domanda principale di inefficacia).

Atteso il rigetto da parte del Tribunale della domanda ex art. 732 c.c., e non avendo l’attore gravato di appello incidentale tale decisione, ne consegue che rivestono portata puramente speculativa le considerazioni svolte dal ricorrente in merito alla possibilità o meno di applicare nella fattispecie tale norma. Infine, quanto alla correttezza del richiamo da parte del giudice di appello alla previsione di cui all’art. 1480 c.c., è pur vero che detta norma individua i rimedi che l’ordinamento appronta in favore del compratore di bene parzialmente altrui, ma presuppone che la tutela sia ricollegata appunto all’inefficacia, quanto alla quota del comproprietario, dell’atto di disposizione posto in essere da chi solo in parte è titolare del diritto alienato.

Nè la tutela della posizione dell’attore doveva necessariamente estrinsecarsi nell’esercizio dell’azione di revindica, atteso che, non avendo chiesto il controricorrente il rilascio del bene, sussiste l’evidente interesse a far accertare l’inefficacia nei suoi confronti, e per la quota di sua spettanza, dell’atto con il quale gli altri comproprietari abbiano disposto dell’intera proprietà del bene comune.

Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 112,115,116,189 e 350 c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per avere la Corte di merito omesso di valutare gli atti e per non avere ingiustamente ammesso le prove richieste, pur essendo le stesse regolarmente richieste, con motivazione apparente e contraddittoria ed inconcepibile, determinando una sostanziale omissione dell’esame del fatto decisivo dell’usucapione del bene.

Rileva parte ricorrente che la sentenza impugnata ha disatteso la richiesta di accertare l’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà del bene compravenduto da parte dei venditori in quanto “le richieste istruttorie pure ribadite in sede di gravame, non sono state a seguire riproposte in sede di udienza innanzi a questa Corte e pertanto devono ritenersi rinunciate”.

Il motivo lamenta che non vi è stata alcuna rinuncia a tali richieste, che oltre ad essere state ribadite anche in sede di conclusioni dinanzi al Tribunale, erano state reiterate in sede di appello e poi ripetute in sede di conclusioni.

Anche tale motivo deve essere dichiarato inammissibile.

Infatti, in disparte il difetto del requisito di specificità del ricorso laddove, a fronte del contenuto delle conclusioni delle parti come riportate in sentenza (nelle quali non si rinviene la reiterazione delle richieste istruttorie), i ricorrenti hanno fatto semplice rinvio al contenuto del verbale di udienza di precisazione delle conclusioni dinanzi alla Corte d’Appello del 14/2/2018, senza però peritarsi di trascrivere il passaggio nel quale vi sarebbe stata effettivamente la reiterazione della richiesta di ammissione dei mezzi di prova, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 16214/2019) il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (conf. Cass. n. 5654/2017).

Orbene, avuto riguardo alla circostanza che nella fattispecie il bene che si pretende di avere usucapito era in comunione tra vari coeredi, e ribadito il principio secondo cui il coerede che dopo la morte del “de cuius” sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso, ma che a tal fine, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, non essendo, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione “iuris tantum” che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse degli altri (cfr. ex multis Cass. n. 10734/2018; Cass. n. 9100/2018), deve escludersi che le prove di cui si lamenta la mancata ammissione avessero carattere di decisività nel senso sopra esplicitato.

Infatti, la lettura dei capi di prova, come riportati alle pagg. 8 e 9 del ricorso denota quanto al capo a) una genericità circa l’affermazione di un possesso esclusivo, riferendo di attività di coltivazione che appaiono compatibili con la permanenza del compossesso animo in capo agli altri coeredi, come del pari non denota il connotato dell’esclusività la condotta di cui al capo c) ben potendo la recinzione del fondo rispondere ad esigenze di protezione del bene anche nell’interesse degli altri comunisti (del tutto irrilevante è poi il capo b) che riferisce solo del subentro dell’altro convenuto E.N. nel possesso del bene dopo la morte del suo dante causa).

Pertanto, stante l’inidoneità dei mezzi di prova a sorreggere la richiesta di usucapione, tale motivo deve essere disatteso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA