Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4636 del 28/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 28/02/2018, (ud. 21/11/2017, dep.28/02/2018),  n. 4636

Fatto

Il Tribunale di Oristano aveva accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 1.1.2001 tra S.M.P. e la A.R.S.T. – Gestione Governativa FDS srl, aveva dichiarato il diritto di S.M.P. al trattamento economico e normativo pari a quello di un lavoratore inquadrato con parametro 139-143 e aveva condannato la ARST FDS al pagamento delle corrispondenti differenze retributive;

che con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Cagliari ha rigettato l’appello proposto dalla A.R.S.T. Gestione FDS srl che aveva censurato la sola statuizione con la quale il giudice di primo grado aveva riconosciuto il diritto della S. ad essere inquadrata nel profilo 139-143;

che la Corte territoriale ha ricostruito il quadro normativo di fonte legale e negoziale collettiva che nel corso del tempo aveva disciplinato il rapporto di lavoro del personale delle ferrovie in regime di concessione, richiamando in particolare la L. n. 858 del 1954, la L. n. 1034 del 1956, art. 1, la L. n. 30 del 1978, art. 3, la L. n 270 nel 1988, gli Accordi del 20 marzo 1991 e del 21.2.1996, l’Accordo del 21.2.1996, l’art. 5 dell’Accordo del 24 aprile 1987, l’Accordo 13 maggio 1987 Allegato A, e l’Accordo Nazionale del 22.11.2000;

che la Corte territoriale ha rilevato che la L. n. 270 del 1988, nel prevedere la delegificazione del rapporto del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto e l’abrogazione delle tabelle nazionali delle qualifiche del personale, aveva rimesso alla sola contrattazione collettiva nazionale e non anche a quella aziendale la disciplina relativa alle qualifiche di detto personale;

che la Corte territoriale ha accertato che le mansioni espletate dalla S., che apparteneva alla categoria dei “guardia stazione”, che nel vecchio ordinamento pubblicistico non era stata oggetto di specifica disciplina, a differenza della categoria dei “guardia barriera” e dei “guardia fermata”, si erano incontestatamente compendiate in compiti di maneggio cassa, di contabilità, di chiusura giornaliera e mensile, di contabilità e cassa autoservizi, di biglietteria locale e nazionale, di abbonamenti, di spedizioni locali e nazionali, di traffico telegrafo per movimenti, di semafori banco manovra, di pulizia e custodia edificio, e di responsabile delle sanzioni correlate al “Divieto di Fumare”;

che la Corte territoriale ha ritenuto che siffatte mansioni corrispondessero a quelle previste dall’Accordo nazionale del 27.11.2000 in relazione al profilo di “operatore di stazione”, parametro retributivo da 139 a 143 (lavoratore che svolge tra l’altro attività amministrative connesse al servizio viaggiatori e merci), e non a quello del profilo dell’ausiliario di stazione (lavoratore con mansioni di supporto alle attività degli Uffici, di Controllo della regolarità degli indirizzi e degli accessi, manovalanza e/o di vigilanza sulla sede e sull’armamento);

che avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.R.S.T. spa, incorporante della A.R.S.T. Gestione FDS, affidato a tre motivi al quale ha resistito con controricorso S.M.P..

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ed errata interpretazione della L. 12 luglio 1988, n. 270, art. 1 dell’art. 1340 c.c., dell’art. 1418 c.c. e del CCNL del 27.11.2000, per avere la Corte territoriale ritenuto che la riserva prevista dalla L. n. 270 del 1988, art. 1 in favore della contrattazione collettiva nazionale riguardi la figura dei “guardia stazione”;

che la ricorrente assume che: tutte le figure dei lavoratori “avventizi” e dunque anche i “guardia stazione” sarebbero stati esclusi dal raggio di operatività della L. n. 270 del 1988 perchè estranei alla categoria degli “autoferrotranvieri” con la conseguenza che essa ricorrente era libera di inquadrare la S., al pari degli altri “avventizi”, in categorie non previste dalla contrattazione collettiva; si era formato un uso aziendale sulla materia degli inquadramenti di siffatto personale; a seguito della L. n. 270 del 1988, art. 1 era stato stipulato l’Accordo aziendale del 20.3.1991 approvato dal Ministro dei Trasporti su concorde parere del Comitato Gestioni Governative che aveva previsto che, a decorrere dal 1.1.1992 gli “assuntori di stazione” assumessero la denominazione di “guardia stazione”; ove pure si fosse ritenuto che la contrattazione aziendale non poteva creare una nuova qualifica, alla violazione della L. n. 270 del 1988, art. 1 poteva conseguire solo la nullità dell’Accordo Aziendale e non anche il riconoscimento del diritto della S. all’inquadramento rivendicato; secondo il sistema di classificazione contenuto nel CCNL del 27.11.2000 il profilo dell'”operatore di stazione” non sarebbe equiparabile a quello di “guardia di stazione”, al quale sono attribuite mansioni per le quali non è prevista alcuna abilitazione e che consistono nello svolgimento di mansioni molto semplici, di mera attesa, limitata alla attività amministrativa connessa alla bigliettazione dei viaggiatori;

che con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto non contestate le mansioni che la S. aveva allegato di avere svolto e assume di averle, invece, contestate sia nel ricorso di primo grado che nell’atto di appello;

con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, errata interpretazione e applicazione del CCNL 27.11.2000 con riguardo ai parametri 139 e 143 dell’Area quarta professionale; assume che la Corte territoriale avrebbe ricostruito in maniera errata il profilo professionale rivendicato dalla S.;

il primo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati;

che la L. n. 270 del 1988, art. 1 ha previsto che “1. A partire dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, la L. 1 febbraio 1978, n. 30, recante le tabelle nazionali delle qualifiche del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto, è abrogata e la disciplina della materia è rimessa alla contrattazione nazionale di categoria. 2. Dalla stessa data le disposizioni contenute nel regolamento allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, ivi comprese le norme di legge modificative, sostitutive ed aggiuntive a tale regolamento, possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria ed i regolamenti d’azienda non possono derogare ai contratti collettivi. 3. Tutti i regolamenti aziendali concernenti la disciplina del personale inidoneo e gli avanzamenti e le promozioni adottati ai sensi della l. 1 febbraio 1978, n. 30, art. 9 ovvero vigenti in forza del citato regolamento allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, le eventuali contrattazioni aziendali e/o individuali adottate nella materia, nonchè le deliberazioni aventi ad oggetto la determinazione degli organici delle aziende di pubblico servizio di trasporto, cessano di avere efficacia al novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”;

che nessun dato letterale consente di ritenere che il legislatore abbia escluso dalla delegificazione i rapporti di lavoro del personale, che come la S., apparteneva alle categorie del personale avventizio disciplinato dal precedente ordinamento pubblicistico;

che è, pertanto, corretta la sentenza impugnata che ha escluso che l’inquadramento della S. potesse essere effettuato sulla scorta di accordi aziendali, ostandovi la L. n. 270 del 1988, art. 1;

che le prospettazioni difensive (primo motivo) nella parte in cui richiamano il susseguirsi delle norme di legge e di contratto collettivo sul personale avventizio e sull’inquadramento delle diverse figure, anche se indubbiamente coinvolgono questioni di diritto (relative all’esatta interpretazione del complesso normativo derivante dalla lunga serie di disposizioni legali e contrattuali collettive che si sono succedute nel tempo), presuppongono però, inevitabilmente una diversa ricostruzione ed un diverso apprezzamento delle questioni di fatto che costituiscono i presupposti materiali anche dell’interpretazione di quella normativa da parte della sentenza e, soprattutto, dell’applicazione che il giudice ne ha fatto rispetto al caso di specie;

che in realtà la ricorrente propone non solo una diversa interpretazione delle norme, ma, innanzi tutto, una diversa ricostruzione dei presupposti di fatto cui quelle norme sono state applicate, sicchè i relativi profili di censura, sul fatto, sono preliminari rispetto alle questioni di diritto, e, proprio perchè concernono il fatto, sono inammissibili in sede di legittimità (Cass. 24735/2008);

che le considerazioni innanzi svolte assorbono le censure (primo motivo) formulate con riguardo all’art. 1418 c.c., in quanto, esclusa la applicabilità dell’accordo aziendale, la Corte territoriale ha del tutto correttamente esaminato le disposizioni contenute nella contrattazione nazionale;

che le censure (terzo motivo) formulate con riferimento alla sussumibilità delle mansioni svolte dalla S. nell’ambito del profilo di “operatore di stazione” parametro 139-143 dell’Accordo Nazionale del 27 novembre 2000 sono infondate;

che la Corte territoriale si è posta il problema dell’inquadramento dei lavoratori, che come la S., avevano rivestito la qualifica di “guardia stazione”, ignota alle tabelle delle qualifiche del personale dei pubblici servizi di trasporto in concessione recate dalla L. 6 agosto 1954, n. 858 e alle tabelle nazionali delle qualifiche del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto recate dalla L. n. 30 del 1978, e l’ha risolto analizzando i compiti svolti dalla S., nei termini indicati nel ricorso introduttivo e che non risultavano oggetto di contestazione, alla luce delle declaratorie dei profili professionali contenuti nella contrattazione collettiva nazionale; essa ha formulato il giudizio di sussunzione tenendo conto di queste ultime e della peculiarità dei compiti effettivamente svolti, dandone conto con motivazione ampia esaustiva e logicamente argomentata.

che la Corte territoriale ha preso in esame i tratti caratteristici propri del profilo di “operatore di stazione” (espletamento di attività amministrative connesse al servizio di viaggiatori e dì merci) evidenziandone le caratteristiche di maggiore complessità rispetto a quelle proprie del profilo dell’ausiliario di stazione” (mansioni di supporto alle attività degli Uffici, di regolarità degli indirizzi e degli accessi, di manovalanza o vigilanza sulla sede e sull’armamento);

che le censure che addebitano alla sentenza erronea interpretazione e falsa applicazione delle disposizioni contenute nell’Accordo Nazionale del 27.11.2000 (terzo motivo) sono inammissibili perchè tale Accordo, incontestatamente riferito a rapporti di diritto privato, non risulta allegato al ricorso e nemmeno ne risulta indicata la specifica sede di produzione processuale;

che va osservato che la parificazione sul piano processuale della denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 a quella delle norme di diritto, comporta che non è necessario indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato, (Cass. 24036/2017, 14449/2017, 5047/2017, 21371/2016, 10060/2016, 18946/2014, 7385/2014 6335/2014);

che siffatta equiparazione non esonera però, nell’ambito dei rapporti di lavoro di diritto privato, la parte ricorrente dall’onere di allegare il contratto collettivo nazionale di lavoro di cui lamenta la erronea interpretazione, in quanto sono conoscibili di ufficio dalla Corte di legittimità soltanto i Contratti Collettivi del pubblico impiego in ragione del peculiare procedimento formativo disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e ss. (Cass. SSUU 23329/2009; Cass. 24036/2017, 27222/2017, 17906/2016); che la mera riproduzione in ricorso di una sola parte della declaratoria delle aree professionali (quella relativa all’area quarta ed al profilo dell’ausiliario area 110) dell’Accordo del 27.11.2000 (pg. 34 del ricorso) al pari della riproduzione di una sola frase estrapolata dalla definizione del profilo 139-43 (pg. 35 del ricorso) non possono ritenersi sufficienti ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;

che, al riguardo, va ribadito il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui la riproduzione parziale della clausola contrattuale che si assume violata è incompatibile con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, e contrasta anche con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 e sgg., e, particolare, con la regola prevista dall’art. 1363.c.c., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (Cass. SSUU 20075/2010; Cass. 28892/2017, 195/2016, 4350/2015, 7891/2011, 27876/2009);

che sono inammissibili le prospettazioni difensive sviluppate (primo motivo) con riguardo alla dedotta esistenza di un uso aziendale perchè la ricorrente non specifica se detta questione (comportante accertamenti di fatto), non trattata nella sentenza impugnata, sia stata sottoposta ed in quale atto processuale alla Corte territoriale (Cass. 20678/2016, 15996/2016, 8266/2016, 7048/2016, 5070/2009);

che il secondo motivo è infondato perchè, diversamente da quanto opina la ricorrente, le contestazioni formulate nei giudizi di merito, come risulta in modo chiaro ed inequivoco dalle premesse che si leggono nelle pagine 14 e 20 del ricorso e dalle argomentazioni esposte a corredo del motivo in esame esposte a pagina 29 del ricorso, furono riferite alla sussumibilità dei compiti che la S. aveva svolto al profilo professionale rivendicato e non anche al fatto che la S. avesse espletato le mansioni indicate nel ricorso introduttivo;

che sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente in applicazione dell’art. 91 c.p.c.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018

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