Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4636 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4636 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 11172-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

CAVIRO SCARL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIGRE’
37,

presso

lo

studio

dell’avvocato CAFFARELLI

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente
agli avvocati DAMIANI FRANCESCO, VINCENZI ANTONIO

Data pubblicazione: 26/02/2014

giusta delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 4/2007 della COMM.TRIB.REG. di
BOLOGNA, depositata il 28/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/01/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI che ha
chiesto l’accoglimento;
uditi per il controricorrente gli Avvocati DAMIANI e
VINCENZI che hanno chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.

,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.L’Agenzia delle Entrate di Faenza notificava alla Caviro s.c.a r.1., società esercente l’attività di
distillazione, un avviso di rettifica relativo alla ripresa a tassazione di IVA per l’anno 1998 in
relazione al consistente quantitativo di alcool indebitamente ceduto in regime di non imponibilità
alla s.r.l. D’Angelo Commerciale — società riconducibile a tale Polini Giovanni- con destinazione
Portogallo.
accompagnamento(DAA) previsti dall’art.6 d.lgs.n.504195 ed il quarto esemplare di tali documenti
fosse stato successivamente restituito alla fornitrice con l’attestazione della dogana portoghese circa
la regolare consegna al destinatario, i successivi accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza
avevano acclarato che la merce non era in effetti mai giunta al destinatario portoghese-ditta Manuel
Vieira- per la quale avevano agito tali Joaquin Oliviera e Pedro Serra- e che la relativa
documentazione attestante l’appuramento era in realtà falsa.
3.La società contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Ravenna che dichiarava
l’illegittimità dell’avviso, escludendo la responsabilità della contribuente.
4. L’Ufficio ha proposto appello innanzi alla CTR dell’Emilia Romagna che, con sentenza n.
4/XIX/07, depositata il 28.2.2007, ha confermato la decisione impugnata.
4.11 giudici di appello, rilevato che la dedotta ultra petizione in cui sarebbe incorso il giudice di
primo grado era infondata. Se, infatti, era vero che i primi giudici avrebbero fatto meglio a
sospendere il giudizio, gli stessi avevano comunque ritenuto di avere materiale sufficiente per
decidere il giudizio.
4.2 n problema era poi superato dall’intervenuta produzione della sentenza penale che aveva
totalmente scagionato la contribuente. Ragion per cui l’ufficio avrebbe potuto provare ad ottenere il
dovuto dagli autori dell’illecito, ancorché fosse evidente che i beni in esenzione non erano rimasti
all’interno del territorio nazionale.
4.3 Aggiungevano che alla luce della normativa vigente la sentenza assolutoria nei confronti dei
dirigenti della contribuente coinvolti era da ritenere di fatto definitiva.
5. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, ai quali ha
resistito la società contribuente con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6.Con il primo motivo l’agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione della’ art.112 CPC e
18 d.lgs.n.546/92, in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c.
6.1 Deduce che la CTR avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di ultra petizione formulata come
motivo di appello, in quanto il giudice di primo grado, a fronte di una richiesta di sospensione del
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2. Benché la società fornitrice avesse regolarmente emesso i documenti amministrativi di

giudizio in attesa della defmizione del procedimento penale relativo ai fatti di frode formulata dalla
contribuente alla stregua dell’art.4 d.lgs.n.504/95, aveva escluso la responsabilità della fornitrice la
quale, per converso, non aveva contestato nel merito i fatti posti a base della rettifica. Secondo la
ricorrente la CTP avrebbe potuto al più accogliere il ricorso per violazione del ricordato art.4, ma
non annullare la pretesa ritenendo, come invece aveva fatto, che la Caviro non aveva responsabilità
per i fatti di frode.
avere affatto circoscritto il tema del decidere all’illegittimità dell’atto impugnato ed alla
sospensione del procedimento amministrativo, avendo per contro posto in discussione i presupposti
in fatto ed in diritto della pretesa fiscale relativa all’IVA.
8.La censura è infondata.
8.1 Dalla lettura del ricorso e del controricorso e dalla stessa sentenza impugnata non pare
emergere, ad onta di quanto affermato dall’Agenzia ricorrente, che la società Caviro ebbe a limitare
la propria richiesta alla sospensione del procedimento fiscale che aveva condotto alla ripresa a
tassazione di IVA in relazione alla sussistenza dei presupposti di cui all’art.4 d.lgs.n.504195 ed alla
mancata definizione del procedimento penale, all’epoca in corso, sui fatti di contrabbando.
8.2 E’ vero semmai che la società contribuente, per come dà atto la stessa ricorrente a pag.4 del
ricorso, aveva affermato di essere parte lesa nel procedimento penale pendente innanzi al tribunale
di Ravenna ed aveva richiamato “integralmente” l’art.4 cit.
8.3 Tale disposizione, per vero, oltre a prevedere l’ipotesi di sospensione del procedimento di
riscossione dei diritti di accisa in caso di pendenza di procedimento penale fino alla definizione
dello stesso con sentenza irrevocabile ai sensi dell’art.648 c.p.p. e con decreto di archiviazione,
aggiunge poi che “Ove non risulti il coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo o siano
individuati gli effettivi responsabili o i medesimi siano ignoti, è concesso l’abbuono dell’imposta a
favore del soggetto passivo e si procede all’eventuale recupero nei confronti dell’effettivo
responsabile”.
8.4 Ora la parte ricorrente, a pag.6 del ricorso, ha riportato il passo della sentenza resa dai giudici di
primo grado dal quale dovrebbe desumersi il prospettato vizio di ultrapetizione- “….Le
considerazioni di cui sopra portano ad escludere una responsabilità della Caviro e
conseguentemente la non debenza della imposta IVA richiesta dall’Ufficio delle entrate con
l’impugnato avviso di rettifica all’assenza di presupposti per configurare una cessione
intracomtmitaria”.-

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7.La società contribuente, nel controricorso, ha chiesto il rigetto del motivo, evidenziando di non

8.5 Ma è evidente che, per un verso, la censura è priva del carattere di autosufficienza se si
considera che la stessa tralascia di riportare i passi della motivazione della sentenza di primo grado
che condussero il giudicante ad escludere la responsabilità della Caviro.
8.6 Per altro verso, l’avere, da parte della contribuente, posto in discussione la propria
responsabilità per la pretesa fiscale deducendo di essere parte lesa nel procedimento penale a carico
dei possibili autori della frode non consente di affermare, sulla base degli elementi offerti dalla
i rilievi sul punto esposti dalla società contribuente nel controricorso.
9.Con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.4
d.lgs.n.504195 e dell’art.41 c.1 d.1.331/93 conv. nella 1.n.427193, in relazione all’art.360 comma 1
n.3 c.p.c. Lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie l’art.4 ult.cit.
che, per contro, riguardava la materia delle accise e non quella del recupero ai fini IVA. Quando
infatti era stato notificato l’avviso di rettifica l’art.4 cit. non contemplava le ipotesi di cessioni
intracomunitarie per le quali, invece, l’art.41 cit. si era limitato a prevedere il richiamo agli artt.6 e 8
del d.lgs.n.504195 e non dell’art.5- corrispondente all’art.4 d.lgs.n.504/95-. L’innovazione disposta
dall’art.1 1.n.472194, che aveva esteso l’efficacia della disposizione sulla sospensione della
procedura di riscossione anche all’imposta IVA non aveva, infatti, efficacia retroattiva.
10. La società contribuente ha dedotto l’inammissibilità della censura. Ed infatti, non solo
l’Agenzia aveva omesso di riproporre la questione relativa alla rilevanza dell’art.4 d.lgs.n.504/95 in
sede di appello ma la stessa aveva posto a base dell’impugnazione, quale presupposto logico delle
censure, proprio l’applicazione dell’art.4 cit.; la censura prospettata, inoltre, non poteva essere
proposta per la prima volta in Cassazione ed era comunque incongrua, non avendo la CTR
specificamente richiamato tale disposizione per rigettare l’appello proposto dall’Ufficio. Risultava,
invece, che la CTR aveva posto a base della decisione l’art.41 della 1.n.427/93, che esclude
l’imponibilità ai fini IVA per i casi in cui la scomparsa dei beni si verificava nel territorio di altro
Stato membro. Nel caso di specie, la sentenza penale aveva infatti accertato che la merce non era
rimasta in territorio nazionale.
10.1 La censura era da ritenere comunque infondata, in quanto il riferimento agli artt.6 e 8
contenuto nell’art.41 e l’assenza del richiamo all’art.4 d.lgs.n.504195 non impedivano di
considerare la pertinenza di detta disposizione anche ai fini IVA, rilevando ai fini di tale tributo la
medesima documentazione prevista dal legislatore per il riconoscimento del diritto all’abbuono per
le accise. E poiché la sentenza penale richiamata dalla CTR aveva accertato che la merce era
pervenuta in un diverso paese comunitario, uscendo dal territorio nazionale, non poteva ritenersi
che la cessione fosse da considerare puramente interna.
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ricorrente, che il primo giudice abbia travalicato i limiti della domanda. Puntuali appaiono pertanto

11. Il motivo è inammissibile.
11.1 Ed invero, la questione relativa alla rilevanza dell’art.4 d.lgs.n.504/95 nel procedimento
relativo all’IVA ripresa a tassazione per asserita mancata ricorrenza dei presupposti per inquadrare
le cessioni all’interno di quelle regolate dall’art.41 c.1 d.l.n.333/93, conv. nella 1.n.427/93, che non
contemplava, nella versione ratione temporis vigente- un esplicito riferimento all’art.4
d.lgs.n.504/95 concernente le accise, era stata effettivamente prospettata nel corso del giudizio di
11.2 E tuttavia, tale questione non è stata riproposta dall’Agenzia in fase di appello, allorché
l’Ufficio incentrò le proprie doglianze non sull’applicabilità dell’art.4 alle ipotesi di cessioni
intracomunitarie rilevanti ai fini VIA, quanto piuttosto sull’assenza dei presupposti fattuali per
riconoscere l’esenzione dell’IVA in relazione a quanto previsto dal ricordato art.4.
11.3 In buona sostanza, l’Agenzia aveva puntualmente contestato, in fase di gravame, la
responsabilità del fornitore in relazione alla responsabilità di tipo oggettivo sullo stesso ricadente
che a suo dire, sulla base dei documenti agli atti, non poteva dirsi esclusa con riguardo alla
Caviro. Tale prospettazione difensiva esposta dall’Agenzia, pertanto, presupponeva essa stessa la
sussumibilità della fattispecie concreta nell’ambito dell’art.4 d.lgs.n.504/95 ancorchè dovesse
ritenersi, secondo l’Agenzia, che non vi fossero i presupposti per esonerare la fornitrice dal
pagamento dell’IVA.
11.4 Di ciò sembra esservi conferma nello stesso inciso, riportato a pag.12 del ricorso per
Cassazione dell’Agenzia, ove la stessa ha sostenuto che la sentenza di accoglimento del ricorso era
da considerare illegittima “non solo perché pronunciata in assenza di prove, ma anche perché il
giudice si è spinto oltre quanto richiesto, a buon diritto, dalla parte, la sospensione del processo
tributario in attesa della definizione del procedimento penale”.
11.5 Ciò che dimostra come la stessa Agenzia ritenesse applicabile, almeno rispetto alla
sospensione del procedimento amministrativo, l’art.4 ult.cit. Ne consegue l’inammissibilità della
censura che non è stata per l’appunto riproposta in fase di appello.
12. Occorre a questo punto passare all’esame dei motivi tre e sei e sette, essendo le censure fra loro
strettamente connesse.
12.1 Con il terzo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.4
d.lgs.n.504/95 e dell’art.41 c.1 d.l.n.331/93 conv. nella 1.n.427193, in relazione all’art.360 comma 1
n.3 c.p.c.
12.2 La CTR, ritenendo che la sentenza penale aveva scagionato totalmente la società contribuente
per i fatti di contrabbando, avrebbe falsamente applicato alla fattispecie l’art.4 cit. il quale, nella
parte in cui disponeva l’abbuono dell’accisa per i casi di dispersione o distruzione anche attribuibili
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primo grado dall’Ufficio per come risulta a pag.8 del ricorso per Cassazione.

a terzi, non riguardava le ipotesi di rapina, furto e sottrazione della merce, estranei al perimetro
normativo della disposizione per come aveva avuto modo di chiarire la giurisprudenza di questa
Corte.
12.3 La società contribuente ha eccepito l’inammissibilità della censura che, originariamente
esposta dall’Agenzia nella memoria di primo grado, era stata abbandonata nel ricorso in appello.
12.4 In ogni caso, anche a non volere considerare che la C’TR si era fondata, per escludere la
della 1.n.342/2000, contemplava fra le ipotesi dell’abbuono d’imposta anche l’eventuale sottrazione
o irregolarità di circolazione dei beni.
13.Con il sesto motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.4° c.9, 41 c.1
d.l.n.331/93 conv.nella 1.n.427/93, 53 dpr n.633/72, 28 quater, parte A, lett.A) della sesta direttiva
IVA n.77/388/CEE introdotto dalla dir.91/680/CEE, 2697 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3
c.p.c. Lamenta, in via subordinata rispetto alle censure esposte nei precedenti motivi, che anche a
volere attribuire valore vincolante alla sentenza penale di proscioglimento, il giudice di appello era
in incorso nella violazione delle disposizioni nazionali in tema di cessioni intracomunitarie di
attuazione dell’art.28 quater della dir.91/680/CEE che, nell’interpretazione fornita dalla Corte di
Giustizia riconosceva l’esenzione dall’IVA per le cessioni solo in presenza della prova- a carico del
fornitore- che il bene fosse stato spedito o trasportato in altro Stato membro, lasciando il territorio
dello Stato membro di cessione. E poiché nel caso di specie non vi era alcuna prova che la cessione
intracomunitaria si fosse regolarmente perfezionata, non avendo la Caviro fornito la dimostrazione
che la merce era giunta in territorio portoghese, l’operazione andava qualificata come interna e,
dunque, soggetta ad IVA.
13.1 Aveva poi errato la Ctr nel ritenere che la società fornitrice non dovesse rispondere per l’IVA
non versata per effetto degli illeciti commessi da terzi, essendo a carico del cedente il rischio della
perdita del diritto di esenzione anche per effetto di condotte di terzi.

pretesa fiscale, sull’art.41 1.n.427/93, l’art.4 cit., letto insieme alle modifiche apportate dall’art.59

13.2 La Caviro era dunque onerata di provare non solo la propria estraneità alla frode, ma anche di
avere adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fme di assicurarsi che la cessione
intraconumitaria effettuata Ykon la conducesse a partecipare ad una frode. Ma di tutto questo non vi
era traccia nella sentenza penale di proscioglimento, essendo per contro esistenti documenti,
evidenziati dall’Ufficio in sede di appello, che non escludevano la responsabilità -eggettilta della2›
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società fornitrice.
13.3 Detta società,infatti, aveva contrattato per miliardi di lire con il Polini, responsabile della
società cessionaria, senza verificare che lo stesso fosse persona affidabile, tanto più che il Direttore
delle Dogane di Bologna, nel settembre 1998, aveva messo in allena la fornitrice.
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13.4 Inoltre, detta società fornitrice aveva ciecamente creduto che le merci fossero giunte in
Portogallo presso il destinatario finale -Manuel Vieira- senza preventivamente accertare che
l’Oliveira rappresentasse veramente detta società.
14. La società, nel controricorso, osservava che il particolare regime previsto in tema di sospensione
delle accise era fondato sul meccanismo dell’ appuramento della merce che, nel caso di specie, si era
realizzato risultando dall’esemplare del documento DDA tornato nella disponibilità del fornitore,
del 21.2.2008-aveva evidenziato, in un caso omologo, che al fornitore in possesso di certificazione
falsa non poteva

essere imputato il mancato introito tributario causato da comportamenti

fraudolenti di terzi sui quali lo stesso non aveva influenza. Ciò evidenziava l’erroneità della tesi
dell’Ufficio che aveva apertamente ipotizzato una responsabilità oggettiva del fornitore.
14.1 E poiché la sentenza penale aveva escluso categoricamente il coinvolgimento della Caviro
nella frode, nessun addebito poteva essere rivolto ad essa società.
14.2 Nè alla stessa poteva richiedersi un onere di cautela per evitare il contrabbando in danno
dell’erario, non potendo la medesima verificare l’avvenuta manomissione del documento, in
assenza di un falso grossolano. Proprio per la riconosciuta falsità a posteriori della documentazione
attestante l’appuramento della merce, la Caviro non poteva in alcun modo rendersi conto di avere
favorito un’articolata organizza ione criminale, capace di contraffare una quantità rilevante di
documentazione. Peraltro, gli accertamenti svolti in sede penale avevano consentito di acclarare che
la merce era giunta, sia pure irregolarmente, in Spagna. Ragion per cui doveva applicarsi l’art.20
della dir.CEE 92/12/CEE che, in caso di trasferimenti irregolari, consente ai soggetti interessati al
pagamento dell’accisa di provare che le merci erano state affidate a vettori spagnoli per il trasporto
ed immesse in consumo fuori dal territorio nazionale.Tanto era sufficiente per considerare compiuta
la cessione intracomunitaria.
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15. Con il settimo motivo l’Agenzia deduce il vizio di insufficiente motivazione su punti decisivi,
in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che rispetto al fatto che la Caviro avesse o
meno adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi di non essere parte di una frode, la CTR si
era limitata a richiamare la sentenza penale assolutoria, senza esaminare gli elementi fattuali esposti
nel precedente motivo che avrebbero, per contro, potuto sostenere una censura di grave leggerezza
professionale della fornitrice nell’instaurazione e gestione del rapporto contrattuale col Polini.
15.1 Rispetto al settimo motivo, la censura, secondo la società contribuente, era manifestamente
infondato, non potendosi individuare alcuna colpa a carico della stessa per le attività illecite
compiute da terzi.
16. Ora, muovendo l’analisi dal terzo motivo, la censura, ammissibile in rito, è fondata.
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nel quale era attestata la certificazione di uscita. La Corte di giustizia —sentenza in causa C-271106

16.1 Ed invero, giova premettere che l’Agenzia, in sede di appello, aveva contestato i presupposti
per affermare il diritto della società contribuente all’esonero dal pagamento dell’IVA, in tal modo
ponendo in discussione la ricorrenza dei presupposti contemplati dall’art.4 d.lgs.n.504/95.La
specifica censura relativa alla violazione dell’art.4 d.lgs.n.504/95 formulata in atto di appello non
poteva, dunque, che riguardare la sussistenza o meno dei presupposti per giustificare l’esonero dal
pagamento dell’IVA che tale disposizione contemplava specificamente per le accise e che
fornitrice.
16.2 Nel merito, la censura è fondata.
16.3 La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere la disposizione appena ricordata di
stretta interpretazione in quanto “agevolativa”, non trovando la stessa applicazione nei casi diversi
dalla perdita e dispersione.
16.4 Si è di recente ribadito, sul punto, che l’art. 4 d.lgs. n. 504/95 si riferisce, con l’espressione
“perdita” – come si evince dall’art. 22-ter, co. 1, del d.l. n. 693/80, convertito nella 1. 22 dicembre
1980, n. 891, norma interpretativa delle previgenti disposizioni raccolte nel predetto testo unico —
alla “dispersione” e non alla “sottrazione”, nella quale ultima vanno compresi tanto il furto che la
rapina. Nella successiva previsione dell’art. 22-ter, co. 1, del succitato testo unico, introdotta dall’art.
59, co. 1 della 1.n. 342/00 – applicabile ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, a
sensi del comma 3 della stessa disposizione (Cass.S.U. 28536/08), e pertanto anche al presente secondo la quale “i fatti imputabili a terzi o allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa grave sono
equiparati al caso fortuito o alla forza maggiore”, la “forza maggiore” normativamente rilevante ai
fini della concessione dell’abbuono d’imposta è, pertanto, solo quella che ha determinato
“dispersione” e non “sottrazione” del prodotto assoggettato ad imposta in regime sospensivo,
ancorché la rapina – delitto attuato mediante l’uso di violenza o minaccia irresistibili – potrebbe, in
astratto, atteggiarsi come un’ipotesi di forza maggiore.
16.5 Ed invero, esclusivamente con la dispersione o la distruzione viene impedita l’immissione del
prodotto nel consumo, che sola giustifica l’esenzione da imposta, laddove la sottrazione determina
soltanto il venir meno della disponibilità del prodotto stesso da parte del soggetto per effetto dello
spossessamento, ma non impedisce che esso, sebbene sottratto, entri ugualmente nel circuito
commerciale. La disciplina sopravvenuta, dettata dall’art. 59 della 1.n. 342/00, dunque, se ha
ampliato i profili soggettivi delle esimenti in esame, ha lasciato però immutati i detti profili
oggettivi, essendo ispirata alla medesima “ratio legis”, alla luce della quale nella ipotesi di
sottrazione non viene impedito che il prodotto venga egualmente immesso nel mercato (cfr. Cass.
12428/07). Ne discende che il soggetto obbligato, per potere ottenere l’abbuono dell’imposta, ai
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l’Amministrazione riteneva non decisiva in relazione alla prospettata responsabilità oggettiva della

sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 504/95, in riferimento alla perdita o alla distruzione di prodotti in
sospensione d’imposta in conseguenza di un reato commesso da terzi, non può limitarsi, anche nel
testo modificato dall’art. 59 della 1. n. 342/00, a dimostrare che l’evento è stato determinato da un
fatto umano ascrivibile a terzi, ma è tenuto a provare di non aver concorso con dolo o di non aver
cooperato con colpa al suo verificarsi; ipotesi quest’ultima che si verifica quando, senza il
comportamento gravemente colposo dell’obbligato, il reato non si sarebbe verificato o si sarebbe
28536/2008;Cass.n.11220 e 11221/2011-.
16.6 Le disposizioni di cui all’art.4,del resto, costituiscono trasposizione della dir.92/12/CEE art.14- a cui tenore “… 11 depositarlo autorizzato beneficia di un abbuono d’imposta per le perdite
verificatesi durante il regime sospensivo, imputabili a casi fortuiti o di forza maggiore e accertate
dalle autorità di ciascuno Stato membro. Egli beneficia, inoltre, in regime sospensivo, di un
abbuono d’imposta per le perdite inerenti alla natura dei prodotti avvenute durante il processo di
fabbricazione e di lavorazione, il magazzinaggio e il trasporto. Ogni Stato membro fissa le
condizioni alle quali tali abbuoni sono concessi. Gli abbuoni d’imposta si applicano anche agli
operatori di cui all’articolo 16 relativamente al trasporto in regime di sospensione dei diritti di
accisa. Le perdite di cui al paragrafo 1 verificatesi durante il trasporto intracomunitario di
prodotti in regime di sospensione dei diritti di accisa devono essere accertate in base alle norme
dello Stato membro di destinazione. Fatto salvo l’articolo 20, in caso di ammanchi diversi dalle
perdite previste al paragrafo 1, nonché in caso di perdite per le quali gli abbuoni d’imposta di cui
al paragrafo 1 non sono concessi, le accise sono riscosse in base alle aliquote vigenti nello Stato
membro in questione al momento in cui le perdite, debitamente accertate dalle autorità competenti,
si sono verificate o, se del caso, al momento della constatazione degli ammanchi.”
16.7 Proprio un’interpretazione della disciplina interna conforme alla disciplina che ad essa si è
ispirata impone di escludere dall’ambito operativo dell’art.4 le ipotesi di contrabbando legate a
condotte frodatorie anche se poste in essere da terzi. D’altra parte, i principi testè ricordati sono
stati pienamente confortati dalla giurisprudenza UE, alla cui stregua si ritiene che la sottrazione, ad
opera di terzi, anche senza colpa del debitore, di merce soggetta a dazio doganale non estingue la
relativa obbligazione, lo sgravio costituendo eccezione al regime delle esportazioni e delle
importazioni, per cui le disposizioni che lo prevedono vanno interpretate stricto sensu (Corte di
Giustizia, sent. 5.10.1982 C-186/82 e Tribunale di 1^ grado sent. 12.2.2004 T-282/01). Principi
successivamente confermati da Corte giust. 18.12.2007 causa C-314/06 e, ancora più di recente,
con riferimento all’ipotesi di furto di merce da deposito doganale Corte giust.11 luglio 2013 causa
C-273/12-.
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verificato in modo diverso-cfr.Cass.n.9279/2013; Cass. n. 12428/2007,Cass. e S.U. n.

16.8 In questa direzione si è del resto collocata la giurisprudenza di questa Corte che, a partire da
Cass.5769/1981, ha avuto costantemente modo di affermare che il furto non determina,
generalmente, il venir meno dell’obbligazione doganale-Cass.n.4759/89;Cassn.2943/84; Cass. n.
1940/1989; Cass.n.11077/1992, Cass.n.5140/1992-, sia prima della pubblicazione della sentenza
della Corte di giustizia da ultimo ricordata-Cass. n.20762 e 20763/2013 in tema di dazi doganaliche in epoca successiva- Cass.28377, 28828 e 28825/2013- allorché si è avuto modo di ribadire che
ascrivibile a terzi, ma occorre provare (oltre alla circostanza di non aver concorso con dolo o di non
aver cooperato con colpa al suo verificarsi, ipotesi quest’ultima che si verifica quando, senza il
comportamento gravemente colposo dell’obbligato, il reato non si sarebbe verificato o si sarebbe
verificato in modo diverso) anche la perdita definitiva o distruzione irrimediabile della merce che
non coincide con la prova del furto della merce che ne determina unicamente la dispersione.” In
definitiva, deve concludersi che il presupposto per l’esenzione dal pagamento dell’imposta e del
venir meno dell’obbligazione tributaria è e rimane in ogni caso la sottrazione della merce dal
circuito commerciale, circostanza che non risulta affatto provata in caso di furto della merce ad
opera di terzi, fatto che non implica in alcun modo che il prodotto sottratto non venga immesso sul
mercato, e quindi sussiste solo in caso di perdita o distruzione- Cass. n.28377/13
cit. ,Cass. n.25990/13- .
16.9 Le conclusioni alle quali il collegio è pervenuto non sembrano essere poste in discussione da
altri precedenti di questa Sezione.
16.10 Ed invero, Cass.nn.24912 e 24913/13, decise all’udienza del 19 marzo 2013, appaiono
antecedenti alla sentenza resa dalla Corte di Giustizia in data 11 luglio 2013, della quale si ì detto
sopra, la quale ha confermato l’indirizzo, invero, granita, espressa dal giudice eurounitario in tema
di responsabilità del titolare di deposito fiscale al quale questo Collegio è tenuto a dare continuità.
16.11 Ora, è evidente che nel caso concreto, nel quale si è avuta una cessione di merce
intracomunitaria destinata a soggetto comunitario residente in altro Paese membro, non poteva
ipotizzarsi una perdita o distruzione della merce che, pur non essendo pervenuta presso il soggetto
indicato nei documenti di accompagnamento amministrativo- ditta Oliveira portoghese- era
comunque uscita dal territorio nazionale, pur non risultando con precisione la sua destinazione
effettiva. Ciò escludeva di potere ritenere applicabile il regime di esonero previsto dall’art.4 cit.,
alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra riassunti.
16.12 A tali canoni interpretativi non si è conformata la decisione impugnata, ragion per cui la
doglianza è fondata.

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“…Non è quindi sufficiente dimostrare che l’evento è stato determinato da un fatto umano

17.Parimenti fondati appaiono il sesto ed il settimo motivo — per il quale deve ritenersi specificato
in modo adeguato il fatto controverso e decisivo per il giudizio-.
17.1 Ora, il tema d’indagine che la CTR era stata chiamata a verificare riguardava
l’assoggettamento ad IVA delle plurime operazioni di cessioni di alcool, posto che l’art.41
d.l.n.331/93 — conv.nella 1.n.427/93- sopra ricordato, in tanto consente il regime sospensivo per
l’IVA quanto alla merce soggetta ad accisa, in quanto siano rispettate le previsioni di cui agli artt.6
al trasferimento della merce in altro paese comunitario secondo la documentazione amministrativa
di accompagnamento- che trova specifica menzione nella dir.CFR n.12 in tema di accise del 1992.
17.2 Giova premettere che questa Corte, in ordine al tema dei presupposti richiesti alla società
contribuente per fruire del beneficio della non imponibilità delle operazioni intracomunitarie, ha
chiarito che l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo
trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che
emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario (D.L. n. 331 del 1993, art. 50,
comma 1), dichiarando che l’operazione non è imponibile (D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 2);
ciò proprio in ragione del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., secondo il quale l’onere di
provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime
impositivo è a carico di chi invoca la deroga-cfr., da ultimo, Cass. n. 13457/2012 e, in precedenza,
Cass. n.20575/11, Cass. n.3603/09 e Cass. n.21956/10-.
17.3 Si è pure precisato il carattere indefettibile del trasferimento in altro Paese interno all’UE per
usufruire della non imponibilità, avendo già questa Corte sottolineato che l’elemento della
movimentazione fisica dei beni oggetto di cessione nel territorio dello Stato membro del cessionario
deve costituire elemento strutturale della fattispecie normativa, cosicché la sua mancanza impedisce
il riconoscimento dello stesso carattere “intracomunitario” della operazione-Cass.13457/2012, cit.-.
17.4 Quanto al tema delle modalità con le quali il cedente possa offrire la prova che i beni ceduti
siano entrati nel territorio delle Stato membro a cui appartiene il cessionario, al quale la società
contribuente si è richiamata sostenendo l’erroneità della decisione nella parte in cui aveva ritenuto
necessaria, oltre alla prova della consegna della merce al vettore, quella dell’uscita della merce dal
territorio dello Stato membro di cessione, giova rammentare che secondo la giurisprudenza resa
dalla Corte di Giustizia spetta al fornitore di beni provare che sono soddisfatte le condizioni di
applicazione dell’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, cit., della sesta direttiva,
comprese quelle imposte dagli Stati membri per assicurare una corretta e semplice applicazione
delle esenzioni e prevenire ogni possibile frode, evasione fiscale o abuso (v., segnatamente, Corte
giust. 7 dicembre 2010, R, punto 46), poi chiarendo che l’articolo 22, paragrafo 8, della stessa
10

e 8 dello stesso d.l.n.331/93 e, in definitiva se sono stati rispettati i presupposti ivi sanciti in ordine

direttiva, nella versione risultante dall’articolo 28 nonies di quest’ultima, riconosce agli Stati
membri la facoltà di adottare provvedimenti diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e
ad evitare le frodi, purché, in particolare, non eccedano quanto è necessario per conseguire siffatti
obiettivi (v., in tal senso, Corte Giust. 27 settembre 2007, Collée, punto 26, e R, cit., punto 45).
17.5 Tali principi sono stati pienamente ribaditi, anche di recente, da Corte Giust. 27 settembre
2012, causa C 587/10, Vogtkindische Straigen , Tief und Rohrleitungsbau GmbH Rodewisch, ove

produrre la prova che l’acquirente è un soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato
membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni di cui trattasi,
purché i principi generali del diritto e, in particolare, il requisito di proporzionalità, siano rispettati.
17.6 Quanto al contenuto di siffatto onere, al quale pure la società contribuente ha fatto riferimento,
appare ancora una volta utile ricordare come questa Corte, evocando le più recenti risoluzioni
emanate dall’Agenzia delle Entrate (Risoluzione 28 novembre 2007, n. 345/E, Risoluzione 15
dicembre 2008, n. 477/E), ha chiarito che mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto
a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi
siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario – deve invece affermarsi il dovere del
predetto di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una
transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale
professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte- Cass.n.13457/2012-, dovendo questi
procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non
lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato-cfr.,
da ultimo, Cass.n.1670/2013-.
17.7 Resta tuttavia assodato che incombe sul cedente l’onere di provare i presupposti richiesti dal
cennato art.41 cit.
17.8 Ancora recentemente, l’Agenzia delle Entrate, proprio su impulso di un cedente che aveva
consegnato la merce ad un traportatore, è tornata ad occuparsi della questione- Ris.25 marzo 2013
n.19/E- precisando che i documenti utili al fine di ritenere provata il trasferimento fuori dal paese
in cui si trova il cedente devono comprovare “… che vi è stata la c.d. movimentazione fisica della
merce, che deve aver raggiunto un altro Stato membro…” , aggiungendo che gli stessi “…sono
idonei a fornire prova della cessione intracomunitaria se conservati congiuntamente alle fatture di
vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette
cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat (cfr.
Ris. n. 345 del 2007)”.

11

si è nuovamente riconosciuto che gli Stati membri hanno la facoltà di esigere dai fornitori di beni di

17.9 Tale indirizzo si pone in linea di continuità con la Risoluzione n.n.3451E del 28 novembre
2007, ove sì era chiarito che il documento di trasporto CMR può costituire prova idonea
semprechè dallo stesso risulti “… l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un
soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario.”
17.10 Ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte che il
cedente deve tenere (o astenersi dal tenere), perché lo si possa giudicare in buona fede
beni ceduti nello Stato membro di destinazione attiene a valutazioni riservate al giudice di merito
in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda- Cass. 8132/11ma comunque soggette al controllo di logicità e di adeguatezza- in altri termini di correttezza- che
la Corte è deputata a svolgere sulla motivazione dell’accertamento di fatto.
17.11 In più va sottolineato che rispetto alla vicenda concreta assumeva particolare valore la
verifica degli accorgimenti che, in concreto, il fornitore avrebbe dovuto adottare per evitare la
diretta responsabilità per il mancato regolare appuramento della merce e la conseguente
sottoponibilità dell’operazione alle regole fiscali in tema di operazioni interne.
17.12 Infatti, fra le parti è pacifico che la documentazione attestante l’arrivo della merce in
Portogallo presso la ditta indicata dall’acquirente della contribuente era risultata falsa.
17.13 Sul punto occorreva, allora, che il giudice di merito, piuttosto che fermarsi al dato
rappresentato dal proscioglimento operato nei confronti del responsabile della società fornitrice,
approfondisse l’indagine alla stregua di tutte le emergenze fattuali esistenti nel procedimento- fra le
quali anche quelle relative alle modalità del trasporto individuate dalle parti, sulle quali non risulta
svolta alcuna ponderazione che è impedita a questa Corte risolvendosi in un accertamento di fattoivi comprese quelle compendiate negli elementi addotti dall’Agenzia che sono stati, per contro,
totalmente tralasciati.
17.14 Se, infatti, non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede
e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che
l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (v., sentenze Teleos
e a., cit., punto 65, nonché Mahagében e Dàvid, cit., punto 54), nel caso che l’acquirente — come
sembra essere accaduto nel caso di specie- nel procedimento principale abbia posto in essere
un’evasione, è giustificato, secondo la Corte di Giustizia, subordinare a un requisito di buona fede
il diritto del venditore all’esenzione dall’IVA.
17.15 Ed infatti, secondo il giudice comunitario- che si è espresso sulla portata interpretativa
dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 — che non ha modificato l’art.28 quater
ult.cit.- il beneficio del diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria può essere negato al
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nell’esecuzione di una cessione intracomunitaria non conclusasi con l’effettivo trasferimento dei

venditore, purché sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che quest’ultimo non ha adempiuto
gli obblighi ad esso incombenti in materia di prova o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che
l’operazione da esso effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e non ha
adottato le misure cui poteva ragionevolmente ricorrere per evitare la propria partecipazione a detta
evasione-cfr.,da ultimo, Corte giust.6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona Kft-.
17.16 Orbene, nel caso di specie la decisione assunta dal giudice di appello non è scevra dai profili
motivazionale.
17.17 Ed infatti, la CTR, per escludere la legittimità della pretesa fiscale che aveva considerato
l’assoggettabilità ad IVA delle operazioni in ragione della falsità della documentazioni di
accompagnamento, si è limitata ad affermare che la sentenza penale aveva scagionato la società
contribuente-recte, i dirigenti della contribuente-, poi aggiungendo che l’Ufficio avrebbe potuto
esperire le azioni necessarie nei confronti degli autori dell’illecito- ed in più rappresentando che
dalla sentenza penale pareva acclarato che i beni fossero usciti dal territorio nazionale-.
17.18 La decisione risulta, in definitiva, non adeguatamente motivata, essendo mancata l’indagine
che il giudice di appello avrebbe in concreto dovuto compiere, volta a verificare se sulla base degli
elementi addotti dalle parti e dalla sentenza stessa erano sussistenti elementi capaci di dimostrare
che la condotta del fornitore si fosse informata ai principi di buona fede che pure questa Corte ha
evocato proprio in tema di onere della prova a carico del fornitore- Cass. n. 13457/2012 — tenendo
in particolare considerazione l’entità del commercio di merce operata dal fornitore con un unico
fornitore e del comportamento mantenuto dallo stesso fornitore prima e dopo la comunicazione da
parte dell’amministrazione finanziaria —nota Direttore Dogane Bologna- dell’esistenza di precedenti
penali specifici a carico del soggetto —Polini- che aveva curato la vendita del prodotto con
destinazione portoghese anche rispetto all’effettività delle verifiche effettuate presso il destinatario
finale delle merce in Portogallo.
17.19 Le doglianze di cui ai motivi tre, sei e sette appaiono, pertanto, meritevoli di accoglimento.
18. Con il quarto motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.4 c.1
d.lgs.n.504/95 593,608, 648 c.p.p., 136 Cost., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
18.1 Lamenta che, anche a volere ritenere applicabile alla fattispecie l’art.4 ult.cit., tale disposizione
prevedeva che la sentenza penale assolutoria fosse divenuta irrevocabile ai sensi dell’art.648 c.p.p.
Evenienza, quest’ultima, non ricorrente nel caso concreto, in quanto anche a volere ritenere
applicabili le modifiche in tema di appellabilità delle sentenza di proscioglimento introdotte
dall’art.1 1.n.46/2006, le stesse non escludevano la ricorribilità in cassazione ai sensi dell’art.608
c.p.p. da parte del P.M.
13

di illegittimità prospettati dall’Agenzia ricorrente ed appare carente dal punto di vista

18.2 Senza peraltro considerare che il ricordato regime di inappellabilità era stato dichiarato
incostituzionale con sentenza della Corte costituzionale n.26 depositata il 6.2.2007, depositata in
epoca precedente al deposito della sentenza di appello impugnata.
19.La società contribuente ha dedotto l’infondatezza della censura avendo il giudice di appello
correttamente operato secondo la disciplina vigente all’epoca della decisione della controversia ed
in ogni caso valutando l’assenza di responsabilità della società per i fatti accaduti.
20.111 giudice di appello, infatti, ha tenuto a base delle proprie argomentazioni la definitività della
sentenza assolutoria resa dal Tribunale di Ravenna ancorchè la stessa non fosse passata in cosa
giudicata, come riconosce la stessa parte contribuente che, nella memoria ex art.378 c.p.c., ha essa
stessa dichiarato che la sentenza di prime cure era stata oggetto di appello e, successivamente, di
ricorso per Cassazione, per essere definitivamente confermata con la sentenza di questa Corte
n.25228/2007-cfr.pag.3 memoria-.
20.2 Ciò non avrebbe potuto fare in quanto, anche a volere ritenere- erroneamente, peraltroapplicabile l’art.4 d.lgs.n.504/95, la sentenza assolutoria resa dal Tribunale di Ravenna, per effetto
della declaratoria di incostituzionalità della 1.n.46/2006 acclarata da Corte cost.n.26, decisa il 24
gennaio 2007 e depositata il 6 febbraio 2007, in epoca anteriore alla pubblicazione della sentenza di
appello qui esaminata, pubblicata il 28 febbraio 2007, non aveva assunto alcuna “definitività”di
fatto”.
21. Con il quinto motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.4
d.lgs.n.504/95, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.Lamenta che l’art.4 cit. anche a volerlo
ritenere applicabile alla fattispecie, si riferiva esclusivamente alla procedura di riscossione dei diritti
di accisa e non, dunque, alla fase precedente di accertamento della debenza del tributo.
22. La società rilevava che il giudice di appello non aveva fondato la propria decisione sull’art.4
ult.cit., non potendosi in ogni caso ritenere che detta disposizione, ove applicata dalla CTR, potesse
interpretarsi in senso riduttivo, escludendo i procedimenti di accertamento dell’imposta e
contemplando esclusivamente la fase di riscossione.
23.Tale censura è inammissibile in quanto nuova.
23.1 La questione relativa al perimetro di operatività dell’art.4 d.lgs.n.504/95 e cioè se lo stesso
riguardasse, quanto alla necessità di sospendere il procedimento fiscale in pendenza di
procedimento penale, la sola fase di riscossione o anche per quella di accertamento non era stato
formulata nel corso del giudizio di appello e non può, per l’effetto essere prospettata per la prima
volta in cassazione.

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20. Tale doglianza è parimenti fondata.

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24. Sulla base delle considerazioni esposte, ampiamente idonee a confutare le diverse prospettazioni difensive esposte dalla controricorrente anche in memoria, meritano di essere accolti i motivi 3,4, 6
e 7.
25. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altra sezione della CTR dell’Emilia
Romagna, la quale provvederà ad applicare i principi sopra esposti.

La Corte
Accoglie il 3″,4^ 6^ e 7^ motivo, rigettando gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna, la quale
provvederà ad applicare i principi sopra esposti, la quale pure provvederà alla liquidazione delle
spese del giudizio di legittimità.
Così deciso il 13 gennaio 2014 nella camera di consiglio della 5″ sezione civile in Roma.

a

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