Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4634 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1570-2019 proposto da:

B.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PACELLI

14, presso lo studio dell’avvocato FRATTINI GIAN MARIA, e

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNONE MICHELE giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DI RIPOSO E CURA ANZIANI, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 123, presso lo studio

dell’avvocato SAVINO GIANLUCA, e rappresentato e difeso

dall’avvocato LEONELLI IRENE giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4042/2018 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma con la sentenza n. 11757 del 28 maggio 2015 accoglieva la domanda proposta da B.N., quale rappresentante del raggruppamento temporaneo di professionisti costituito il 19 maggio 2006, contro l’Istituto Nazionale di riposo e cura per anziani – INRCA, avente ad oggetto compensi professionali, condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 31.644,26, di Euro 36.497,21, nonchè di Euro 12.989,26 oltre interessi come previsti in dispositivo, con il favore altresì delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 575,00 per spese vive.

A seguito di ricorso del Bo., il Tribunale con ordinanza del 28/12/2017 disponeva la correzione dell’errore materiale della sentenza, limitatamente alla liquidazione delle spese di lite, rideterminandole in Euro 9.380,00, assumendo che, per un mero refuso, era stato liquidato un importo notevolmente inferiore al valore medio derivante dall’applicazione dello scaglione di riferimento.

L’INRCA ha proposto appello avverso la sentenza nella parte oggetto della correzione con atto notificato il 25 gennaio 2018 deducendo che era inappropriato il rimedio della correzione dell’errore materiale, esulando quello denunciato dagli errori suscettibili di rimedio con il procedimento di cui all’art. 287 c.p.c., con la conseguente violazione del giudicato.

Nella resistenza dell’appellato, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4042 del 13 giugno 2018 ha accolto l’appello, ritenendo inammissibile la correzione come disposta dal Tribunale, atteso che non si era provveduto ad emendare un mero errore o una mera omissione materiale immediatamente percepibile agli atti, ma si era operata una nuova liquidazione delle spese di lite.

La circostanza che la liquidazione originaria fosse stata compiuta al di sotto dei valori medi di parametro, quali dettati dal D.M. n. 55 del 2014, non evidenziava un errore materiale, atteso che non sussisteva alcun vincolo di inderogabilità legale dei minimi tariffari, come del pari era erroneo il riferimento alla violazione del calcolo delle spese vive, in quanto il contributo unificato alla data di introduzione del giudizio in primo grado, tenuto conto del valore della controversia, era di Euro 550,00, inferiore alla somma di Euro 570,00 liquidata dalla sentenza prima della correzione.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.N. sulla base di cinque motivi.

L’INRCA ha resistito con controricorso.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’ente intimato in ragione della circostanza che la notifica avrebbe riguardato la sola prima pagina del ricorso.

Infatti, giova a tal fine richiamare l’insegnamento delle Sezioni Unite che con la sentenza n. 18121/2016 hanno affermato che la mancanza nella copia notificata del ricorso per cassazione, il cui originale risulti tempestivamente depositato, di una o più pagine non comporta l’inammissibilità del ricorso, ma costituisce vizio della notifica sanabile, con efficacia “ex tunc”, mediante nuova notifica di una copia integrale, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di cassazione, ovvero per effetto della costituzione dell’intimato, salva la possibile concessione a quest’ultimo di un termine per integrare le sue difese.

L’avvenuta costituzione dell’intimato ha peraltro sanato il vizio denunciato, senza che peraltro all’atto della presentazione del controricorso sia stato espressamente chiesto un termine per poter integrare le proprie difese, una volta avuta contezza dell’effettiva consistenza dell’atto di impugnazione della controparte.

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c., nella parte in cui la Corte distrettuale ha reputato ammissibile l’appello avverso la parte corretta della sentenza del Tribunale.

Il secondo motivo denuncia l’error in iudicando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove i giudici di appello hanno sostenuto che il Tribunale con la procedura ex art. 287 c.p.c. non si fosse limitato ad emendare un errore materiale, ma avesse posto rimedio ad un vero e proprio errore di giudizio.

In tal senso si richiama l’orientamento giurisprudenziale che riconosce l’esperibilità del rimedio di correzione dell’errore materiale anche nel caso in cui il giudice ometta di liquidare le spese di lite, dal che dovrebbe trarsi l’ammissibilità del rimedio anche laddove ci si dolga dell’erronea liquidazione.

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

In punto di liquidazione delle spese di lite, questa Corte ha ormai riconosciuto l’esperibilità del procedimento di correzione dell’errore materiale, non solo nel caso di omessa distrazione in favore del difensore che ne abbia fatto richiesta (trattandosi di provvedimento che costituisce una mera presa d’atto della dichiarazione del difensore senza implicare alcuna attività di giudizio da parte dell’organo giudicante), ma altresì nel caso in cui sia mancata la liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente (così Cass. S.U. n. 16415/2018; Cass. n. 29029/2018).

Tuttavia, con la sola eccezione dell’Ipotesi in cui l’errore cada sulla liquidazione delle spese vive, per il quale si ammette del pari il ricorso alla procedura di cui all’art. 287 c.p.c. (cfr. Cass. n. 2891/1999; Cass. n. 21012/2010), errore che deve ritenersi non più interessato dal presente ricorso – non avendo parte ricorrente contestato l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui era erronea l’affermazione del Tribunale nell’ordinanza di correzione secondo cui sarebbe stata liquidata una somma a titolo di spese vive inferiore al contributo dovuto – laddove l’errore investa la concreta liquidazione dei compensi, con la violazione dei minimi ovvero dei massimi tariffari, nel caso in cui la legge consenta di oscillare fra gli stessi, ovvero ci si limiti semplicemente a denunciare l’eccessiva ristrettezza ovvero la non conformità della liquidazione all’effettivo valore della controversia, viene evidentemente in discussione un errore di giudizio, che è emendabile non già con il procedimento di cui all’art. 287 c.p.c., ma con i rimedi che l’ordinamento appresta per gli errori di giudizio (cfr. in tal senso ex multis Cass. n. 15373/2000).

Ed, infatti, sin da epoca remota si è affermato che (cfr. Cass. n. 635/1961) l’errore materiale, ai fini della correzione della sentenza secondo la procedura prevista dall’art. 287 c.p.c., deve consistere in un elemento estrinseco alla ratio decidendi e risultare manifesto dal semplice confronto della parte errata con le considerazioni di fatto e di diritto contenute nella motivazione, sicchè esula da tale ipotesi l’errore di calcolo dipendente dall’errata applicazione d’una norma di legge protettiva di tariffe professionali, concettuale e sostanziale, e che può essere riparata soltanto con i mezzi ordinari di impugnazione nei casi in cui questi sono ammessi (nella specie: era stata rettificata la liquidazione degli onorari mediante la procedura di correzione), come confermato dalla pacifica ammissibilità delle impugnazioni ordinarie con le quali si contesti per l’appunto la correttezza della liquidazione delle spese di lite, dapprima in relazione al sistema dei diritti e degli onorari, quali imposti dal sistema tariffario previgente, e poi in relazione al sistema dei compensi per fase, quale introdotto a far data dal DM. n. 140/2012.

Va quindi ribadito che laddove l’errore denunciato investa sia la corretta determinazione del valore della controversia sia la rispondenza della liquidazione ai valori tariffari (nel caso di specie quello medio, ritenuto come tendenzialmente vincolante per il giudice), lo stesso si configura come errore di giudizio per il quale, una volta intervenuto il passaggio in giudicato con l’emissione della sentenza di questa Corte, non vi è possibilità di porre rimedio con il procedimento di correzione.

Il terzo motivo di ricorso lamenta l’error in iudicando quanto all’inammissibilità dell’appello proposto avverso l’ordinanza di correzione, attesa la pacifica giurisprudenza che nega l’autonoma impugnabilità della stessa, ed essendo preclusa l’impugnabilità della sentenza in quanto ormai passata in cosa giudicata.

Anche tale motivo è infondato.

Va al riguardo precisato che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, l’appello è stato correttamente indirizzato nei confronti della sentenza del Tribunale, sebbene in relazione alla sola parte interessata dall’ordinanza di correzione dell’errore materiale, non potendosi al riguardo invocare il decorso del termine per impugnare, atteso il disposto di cui allart. 288 c.p.cu.c., che permette l’impugnazione delle sentenze relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione.

La correttezza della scelta processuale compiuta dall’INRCA si palesa poi alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha reiteratamente affermato che (Cass. n. 12841/2008) il rimedio dell’impugnazione delle sentenze relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, previsto dall’art. 288 c.p.c., comma 4, è preordinato esclusivamente al controllo di legittimità dell’uso del potere di correzione sotto il profilo della intangibilità del contenuto concettuale del provvedimento corretto, ma non può essere esperito per censurare vizi che non attengono alle parti corrette di una sentenza, ma all’ordinanza di correzione.

Infatti, l’art. 288 c.p.c., nel disporre che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, appresta uno specifico mezzo di impugnazione, che esclude l’impugnabilità per altra via del provvedimento a lume del disposto dell’art. 177 c.p.c., comma 3, n. 3, a tenore del quale non sono modificabili nè revocabili le ordinanze per le quali la legge prevede uno speciale mezzo di reclamo. Resta quindi impugnabile con lo specifico mezzo di volta in volta previsto, solo la sentenza corretta, proprio al fine di verificare se, mercè il surrettizio ricorso al procedimento in esame, sia stato in realtà violato il giudicato ormai formatosi nel caso in cui la correzione sia stata utilizzata per incidere, inammissibilmente, su errori di giudizio (conf. Cass. n. 16205/2013).

Correttamente quindi la Corte d’Appello ha accolto il gravame proposto dall’appellante, rilevando che effettivamente vi era stato un uso non conforme a legge del procedimento di cui all’art. 287 c.p.c., sicchè non poteva consentirsi attraverso lo stesso una modifica del contenuto della sentenza in una parte coperta ormai dal giudicato (conf. Cass. n. 20309/2019).

Il quarto motivo di ricorso denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’error in iudicando quanto alla vincolatività dei parametri tariffari.

Secondo il ricorrente la Corte d’Appello nell’affermare che vi sarebbe discrezionalità del giudice nell’applicare i parametri per la liquidazione dei compensi avrebbe confuso tra discrezionalità ed arbitrarietà.

Infatti, se è vero che i parametri sono dei criteri di orientamento dai quali il giudice può discostarsene solo con congrua motivazione, nella fattispecie la liquidazione originaria del Tribunale si discostava di oltre 2/3 rispetto agli onorari tabellari, denotando come fosse palesemente contra legem, ed in carenza di qualsivoglia motivazione.

Il motivo deve reputarsi infondato alla luce delle considerazioni svolte in occasione della disamina dei primi due motivi di ricorso, con i quali si è ribadito che l’errore di cui è stata chiesta la correzione non rientrava tra quelli emendabili con il procedimento di cui all’art. 287 c.p.c..

Inoltre, le stesse considerazioni svolte nel corpo del motivo, con il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte confermano viepiù che il discostarsi, anche in maniera immotivata, da quelli che costituiscono i parametri tendenzialmente vincolanti per la liquidazione delle spese di lite si connota come errore di giudizio, che va quindi denunciato con gli ordinari mezzi di impugnazione.

Il quinto motivo di ricorso denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, non avendo la Corte d’Appello adeguatamente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto inammissibile il ricorso al procedimento di correzione ex art. 287 c.p.c. per porre rimedio all’erronea liquidazione delle spese.

Il motivo è inammissibile attesa l’inapplicabilità, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata, della vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA