Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4633 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2017, (ud. 30/11/2016, dep.22/02/2017),  n. 4633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22931-2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI, 123, presso lo studio dell’avvocato MARIA CUOZZO,

rappresentato e difeso dagli avvocati BRUNO FORTE, MASSIMO EMILIANO

FICHERA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 237/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 05/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;

udito l’Avvocato Forte.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso presso la Corte d’appello di Perugia il ricorrente M.M. chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio esecutivo instaurato con pignoramento del 2001, di cui era stato parte prima la propria dante causa Congress s.p.a. fino al febbraio 2009 e poi il M. da tale data e fino al 2013, allorchè la procedura venne dichiara estinta. Con Decreto n. 84 del 2014 il consigliere delegato della Corte d’Appello di Perugia accoglieva la domanda limitatamente al periodo febbraio 2009 – settembre 2013, in cui il M. era stato parte, liquidando l’indennizzo di Euro 1.000,000, mentre negava la pretesa per il periodo precedente.

All’esito della proposta opposizione, la Corte d’Appello di Perugia, con decreto del 5 febbraio 2015, n. 237/2015, confermava il provvedimento opposto.

Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso articolato in cinque motivi, mentre il Ministero della Giustizia si è difeso con controricorso.

Il primo motivo di ricorso deduce omesso esame di fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al contenuto dell’atto di cessione del 12 dicembre 2005, con cui la Congress cedeva al M. ogni suo credito. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, e degli artt. 99, 100, 105 e 111 c.p.c., invocando l’insegnamento di Cass. sez. un. n. 585/2014. Il terzo motivo censura la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 34 e 41 CEDU e l’omesso esame di fatto decisivo, assumendo che il M. fosse divenuto parte del processo sin dall’atto di cessione del credito nel dicembre 2005, e non solo dal momento della sua costituzione in giudizio nel febbraio 2009. Il quarto motivo lamenta genericamente l’illegittimità del decreto impugnato, senza indicare alcuno dei tassativi motivi di cui all’art. 360 c.p.c., richiamando le stesse considerazioni del terzo motivo. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, e degli artt. 13 e 41 CEDU, nonchè omesso esame di fatto decisivo, avendo il giudizio avuto una durata complessiva di dodici anni, sicchè la stessa era comunque già non ragionevole la quando vi intervenne il M. nel 2009.

I cinque motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

La Corte d’Appello di Perugia ha spiegato che la cessione del credito oggetto della procedura esecutiva non potesse intendersi come cessione altresì del credito per l’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, in difetto di “espressa menzione”. Ritenuta, invero, la natura personale dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, in quanto spettante al soggetto che di esso sia stato parte, ne consegue che il relativo credito è suscettibile soltanto di apposito e specifico atto di cessione ai sensi dell’art. 1260 c.c.. E’ noto peraltro come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, esclude la sindacabilità in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Sicchè l’interpretazione dell’oggetto dell’atto di cessione del credito del 12 dicembre 2015 concluso fra la società Congress ed il liquidatore M.M., traducendosi in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, nè l’omesso esame di una diversa interpretazione del documento può integrare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo allorchè la risultanza istruttoria sia stata comunque presa in considerazione dal giudice (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

D’altro canto, il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, specificamente richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, solo con riferimento alle cause “proprie” e, quindi, esclusivamente in favore delle “parti” della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche di soggetti che siano ad essa rimasti estranei. Così, nel caso di cessione del credito in pendenza di processo esecutivo, ove il cessionario eserciti la facoltà di intervenire in giudizio, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., comma 3, manifestando la volontà di subentrare in luogo del cedente, ai fini della domanda di equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, ciascuno di costoro non potrà che riferire la pretesa indennitaria per violazione del termine ragionevole del processo alla diversa durata della rispettiva presenza nel procedimento esecutivo presupposto, non essendogli consentito di avvalersi dell’altrui diritto all’indennizzo, sommando i periodi di rispettiva competenza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1200 del 22/01/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8515 del 12/04/2006; in ipotesi di cessione del credito successiva all’insinuazione tardiva al passivo fallimentare, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3654 del 13/02/2009).

Il ricorso va quindi rigettato e le spese del giudizio di cassazione vanno regolate secondo soccombenza nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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