Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4632 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5074-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

ESSE A SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. FARNESE 7, presso lo studio

dell’avvocato BERLIRI CLAUDIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FILIPPI PIERA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2004 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 15/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato BERLIRI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del primo motivo,

accoglimento del secondo motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria di primo grado di Bologna la società Esse A srl impugnava l’avviso di rettifica e liquidazione che l’ufficio del registro aveva fatto notificare per il recupero della maggiore imposta Invim a seguito della elevazione del valore finale di un terreno e un sovrastante supermercato, venduti con atto registrato nel mese di maggio 1995. Con l’opposizione la contribuente contestava la validità di quell’atto per difetto di motivazione, nonchè la debenza di quanto preteso dall’amministrazione.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva l’infondatezza del ricorso. La Commissione adita lo accoglieva. Avverso la relativa pronuncia l’agenzia interponeva appello principale, e la contribuente proponeva quello incidentale, dinanzi alla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la quale rigettava il primo e accoglieva implicitamente il secondo, osservando che sostanzialmente l’agenzia non aveva fornito adeguata prova del suo assunto.

Contro questa decisione il Ministero e l’agenzia hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, mentre la Esse A ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio; sicchè l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. .8394 del 2004, n. 19072 del 2003).

1) Col primo motivo l’agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c., D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 e D.P.R. n. 643 del 1972, art. 31 oltre che difetto di motivazione ex art 360 c.p.c., n. 5, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che gli elementi di prova forniti, e costituiti dalla stima dell’Ute e dalla valutazione fatta con altro complesso immobiliare similare esistente nel capoluogo regionale, erano sufficienti a suffragare la pretesa erariale.

A parte che il motivo è carente di autosufficienza, giacche la ricorrente non ha specificato il preciso contenuto delle parti dell’atto di appello con cui aveva invocato la riforma della decisione appellata, senza dovere indurre il Collegio ad esaminare nel dettaglio quel gravame, con la conseguenza che la censura, sotto tale profilo è inammissibile, tuttavia va ulteriormente osservato (per quel che possa valere) che gli atti offerti come prova, e cioè la stima Ute e la valutazione di immobile similare, venivano vagliati dal giudice dell’impugnazione, che però non riteneva costituissero prova dell’assunto dell’amministrazione, apparendo piuttosto vaghi e sganciati dal contesto, oggetto di valutazione g ripresa quanto alle spese incrementative. Inoltre va rilevato che con la suindicata doglianza la ricorrente denunzia altresì la mancata valutazione del materiale probatorio acquisito secondo la sua prospettazione difensiva. Ciò non è possibile, posto che in sede di legittimità non è dato prospettare un vaglio alternativo degli elementi acquisiti dal giudice di merito.

Al riguardo la giurisprudenza insegna che la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudico di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (V. anche Cass. Sent. 00322 del 13/01/2003).

Nè potrebbe essere ravvisato il vizio di contraddittoria (o insufficiente) motivazione, che si configura solamente allorquando non e dato desumere l'”iter” logico-argomentativo condotto alla stregua dei canoni ermeneutici seguiti per addivenire alla formazione del giudizio. In proposito non v’è dubbio che il vizio di omessa, o insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (V. pure Cass. Sez. U Sent. 05802 del 11/06/1998).

Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente e logicamente corretto.

2) Col secondo motivo l’agenzia denunzia violazione di legge, e precisamente dell’art. 112 c.p.c., D.P.R. n. 643 del 1972, artt. 11 e 13 e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 17, comma 7, lett. A) poichè la CTR non ha delibato la questione inerente alla non detraibilità delle spese incrementative, trattandosi di pretesi costi relativi a ricerche di mercato affidati ad una società nel periodo addirittura antecedente all’acquisto del terreno da parte della Esse A, e quindi privi del carattere dell’inerenza e pertinenza.

La censura va condivisa, atteso che si tratta di questione differente e non assorbita da quella sopra delibata, e che risulta devoluta al giudice di appello, che tuttavia non la ha esaminata. Peraltro la doglianza esula dal tema strettamente inerente alla sussistenza dei costi relativi all’incremento di valore del complesso commerciale rispetto al prezzo indicato nell’atto di trasferimento, trattandosi semmai di elementi che avrebbero potuto giustificare l’aumento di valore, e quindi la pretesa fiscale.

Ne discende che il ricorso del Ministero va dichiarato inammissibile;

quello dell’agenzia va accolto limitatamente al secondo motivo, mentre invece il primo va rigettato, con conseguente cassazione cella sentenza impugnata per quanto di ragione, e rinvio alla CTR dell’Emilia Romagna, altra sezione, per nuovo esame sul punto, posto che la causa non può essere decisa nel merito, tenuto conto della omessa pronuncia sub 2).

Quanto alle spese di questo giudizio, vanno compensate quelle relative al rapporto tra il Ministero e la contribuente, tenuto conto che il ricorso di questo non ha comportato un aggravio difensivo alla medesima, mentre invece per le altre e quelle dei gradi precedenti, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, e compensa le relative spese con la contribuente; accoglie quello dell’agenzia;

cassa la sentenza impugnata limitatamente al secondo motivo; rigetta il primo, e rinvia, anche per le altre spese, alla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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