Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4632 del 22/02/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4632 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

appalto

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COMMENDATORE Cosimo, COMMENDATORE Teodora Francesca,
COMMENDATORE

Carmela Maria, rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.
Marcello Iaca, elettivamente domiciliati nello studio
dell’Avv. Giovanni Magnano di S. Lio in Roma, via dei
Gracchi, n. 187;

c.F.cmn cs,1 22t4 d
– ricorrenti
contro

IMPRESA DI COSTRUZIONI EDILI F.LLI FANCIULLO s.n.c., in

persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –

Data pubblicazione: 22/02/2013

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, I
Sezione civile, n. 251 del 17 marzo 2006.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza
pubblica del 22 gennaio 2013 dal Consigliere relatore

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo Sgroi, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. – Con atto di citazione notificato il 3 aprile
1999, Cosimo Commendatore, Teodora Commendatore e Carmela Commendatore convennero in giudizio l’Impresa Costruzioni Edili F.11i Fanciullo s.n.c. e proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo in data 18 febbraio
1999, con il quale, su istanza della convenuta, era stato ad essi intimato il pagamento di lire 30.100.000,
quale corrispettivo per lavori edili eseguiti
dall’Impresa.
Dedussero gli attori di nulla dovere, sia perché, a
tenore dell’atto pubblico di vendita ed appalto in data
8 marzo 1994, rep. n. 1844, ai rogiti del notaio Cannizzo da Randazzo, il corrispettivo doveva ritenersi compensato con altro importo, dovuto dalla convenuta

quale

corrispettivo per la contestuale vendita; sia perché i
lavori commessi in appalto erano stati male eseguiti; ed

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Dott. Alberto Giusti;

in via riconvenzionale chiesero la condanna della convenuta al pagamento di lire 800.000.000 a titolo di risarcimento del danno.
L’Impresa convenuta si costituì contestando

Con sentenza pubblicata in data 19 dicembre 2003,
il Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Lentini,
rigettò l’opposizione, rilevando che le richieste di
parte attrice erano rimaste del tutto sfornite di prova,
e condannò gli attori al pagamento delle spese del giudizio in favore della convenuta.
2. – La Corte d’appello di Catania, con sentenza
resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 17
marzo 2006, ha dichiarato la nullità della pronuncia impugnata per violazione del diritto al contraddittorio
(atteso che il primo giudice non aveva fissato i termini
per il deposito delle comparse conclusionali e di replica ed aveva pronunciato la sentenza prima che scadessero
i termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ.); e, decidendo la causa nel merito, ha rigettato l’opposizione e
confermato l’opposto decreto ingiuntivo, dichiarando
compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi del
giudizio.
2.1. – La Corte d’appello ha rilevato: che, nei
confronti degli opponenti, si erano verificate, nel giu-

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l’opposizione e chiedendone il rigetto.

dizio di primo grado, le preclusioni istruttorie, non
avendo il loro difensore partecipato all’udienza fissata
per gli adempimenti di cui all’art. 184 cod. proc. civ.,
e quindi non avendo formulato alcuna richiesta di prova;

siderare nuova, e quindi inammissibile ai sensi
dell’art. 345 cod. proc. civ., non essendo tali documenti indispensabili e non avendo gli appellanti dimostrato
di non averli potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essi non imputabile.
Tanto premesso, e prendendo in considerazione i soli documenti già prodotti in primo grado, la Corte di
Catania ha sottolineato che, in base al rogito Cannizzo,
l’Impresa, pur dopo la compensazione, rimaneva creditrice del residuo importo di lire 63.000.000 (cui dovevano
aggiungersi lire 7.000.000 per ulteriori lavori commessi
in appalto); sicché, essendo stati versati acconti per
lire 39.900.000, l’Impresa era creditrice della residua
somma di lire 30.100.000, per il cui pagamento era stato
richiesto e concesso l’opposto decreto ingiuntivo.
Infine, la Corte ha rilevato che gli opponenti, oltre a non specificare nell’atto di citazione quali fossero i vizi di costruzione lamentati, non avevano fornito né chiesto di fornire alcuna prova per dimostrare

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e che la documentazione prodotta in appello era da con-

l’esistenza dei vizi denunciati con le lettere del 3
febbraio 1997.
La statuizione sulle spese è motivata in relazione
alla sussistenza di giustificati motivi, derivanti dalla

del mutamento dell’orientamento giurisprudenziale in materia di ammissibilità di nuovi documenti in grado di
appello.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello i Commendatore hanno proposto ricorso, con atto notificato il 12 gennaio 2007, sulla base di sei motivi.
L’Impresa non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato in diritto
l. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e nullità della sentenza o del procedimento) i
ricorrenti deducono di avere chiesto al giudice, con
l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, come mezzo
di prova, l’ispezione dello stato dei luoghi, la quale

tuttavia non veniva ammessa né dal giudice di primo grado, né, nonostante la reiterazione della richiesta, dal
giudice dell’appello. E si dolgono che il giudice

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natura e dagli esiti del giudizio ed in considerazione

d’appello non abbia ritenuto indispensabili, senza peraltro darne adeguata motivazione, gli atti del Comune
di Carlentini del 18 febbraio 1999, del 5 marzo 1999,
del 21 aprile 1999 e del 14 luglio 1999, la cui indi-

dell’ispezione giudiziale. Di qui il quesito “se l’art.
345, terzo comma, cod. proc. civ., alla luce dei principi enunciati dalla sentenza n. 8203 del 2005, deve essere interpretato nel senso che il giudice non è abilitato
ad ammettere le prove indispensabili o piuttosto la predetta decisione ha, confermando il suo precedente orientamento, ritenuto ammissibili tutte quelle prove suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a
quella che le prove hanno sulla decisione finale della
controversia, prove che proprio perché indispensabili,
sono capaci, in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta
anche per giungere ad un completo rovesciamento della
decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado”.
1.1. – 11 motivo è infondato.
Occorre premettere che l’art. 345, terzo coma,
cod. proc. civ., come modificato dalla legge 26 novembre

1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi
mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al
giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le par-

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spensabilità dipendeva proprio dalla non ammissione

ti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse
non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro
delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perché dotate di un’influenza causale più incisiva

cisione finale della controversia; indispensabilità da
apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione
di primo grado e al modo in cui essa si è formata, sicché solo ciò che la decisione afferma a commento delle
risultanze istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era
apprezzabile come utile e necessario (Cass., Sez. III, 5
dicembre 2011, n. 26020). Ne consegue che, se la formazione della decisione è avvenuta in una situazione nella
quale lo sviluppo del contraddittorio e delle deduzioni
istruttorie avrebbero consentito alla parte di valersi
del mezzo di prova perché funzionale alle sue ragioni,
deve escludersi che la prova sia indispensabile, se la
decisione si è formata prescindendone, essendo imputabile alla negligenza della parte il non aver introdotto
tale prova (Cass., Sez. III, 31 marzo 2011, n. 7441).
Tanto premesso, nella vicenda che si giudica la
pretesa dei ricorrenti di introdurre in appello i documenti citati nel motivo si colloca del tutto al di fuori

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rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla de-

dell’ambito della indispensabilità così individuato e
del quale la motivazione della sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione.
La Corte d’appello ha infatti rilevato che, in pri-

nata alla richiesta dei mezzi di prova, e che i documenti prodotti soltanto in appello erano già nella disponibilità della parte (la quale neppure ha dedotto di non
averli potuto produrre per una causa ad essa non imputabile); e ha sottolineato che neppure sussiste il requisito dell’indispensabilità, escludendo che questa possa
identificarsi nella mera rilevanza della prova documentale.
2. – Il secondo motivo denuncia “violazione degli
artt. 1667, 1665, ultimo coma, e 1460, cod. civ. e omessa motivazione, circa punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)”.
2.1. – Il motivo è inammissibile perché, risultando
applicabile ratione temporis il disposto dell’ora abrogato art. 366-bis cod. proc. civ., nella specie difettano sia il quesito di diritto (quanto alla denuncia di
violazione e falsa applicazione di legge) sia il momento
di sintesi, omologo del quesito di diritto, che valga a
circoscrivere puntualmente i limiti della censura proposta a norma dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

mo grado, il difensore non partecipò all’udienza desti-

3. – Sotto la rubrica “violazione degli artt. 1665,
ultimo coma, 1667, 1375 e 1460 cod. civ., 633 cod.
proc. civ. con riferimento agli artt. 112, 113 e 156
cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza”, i ri-

ti:

“se l’eccezione di integrale o inesatto adempimento
sollevata da chi intende evitare o ritardare la prestazione dovuta obbliga il giudice di valutare la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti in relazione
alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi,
riguardata con riferimento all’intero equilibrio del
contratto ed alla buona fede e se in mancanza di tale
valutazione la sentenza è nulla”;
– “se il committente che non ha goduto l’immobile perché
dichiarato inabitabile, quindi non ha ricevuto la prestazione, può lo stesso sospendere la sua prestazione,
perché in questo caso non mancherebbe la proporzionalità
tra i due inadempimenti” e “se allorquando il committente

ha

eccepito

l’integrale

inadempimento

dell’appaltatore, questi è onerato di provare il suo esatto adempimento e solo dopo avere assolto a tale onere

potrà ritenersi esigibile il suo credito”;
– “se l’onere probatorio del committente di provare la
mancata corrispondenza dell’opera al progetto stabilito

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correnti pongono, con il terzo motivo, i seguenti quesi-

presuppone che l’appaltatore, il quale agisce in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo, abbia a
sua volta provato oltre all’esistenza del contratto e
del suo specifico contenuto anche le caratteristiche con

– “se il creditore ingiungente, allorquando afferma intervenuta una causa di estinzione delle obbligazioni
contrattuali, può, nel contempo, affermare di essere ancora creditore in base allo stesso rapporto obbligatorio, e se, una volta eccepita l’estinzione, ha o meno
l’onere di provare la sussistenza del credito”;
“se il committente che ha contestato, ai sensi
dell’art. 1667 cod. civ., l’esistenza di vizi e difformità dell’opus, ha, oppure no, così eccepito
l’inesigibilità del pagamento del corrispettivo ai sensi
del secondo coma dell’art. 633 cod. proc. civ. e ultimo
coma dell’art. 1665 cod. civ. e se l’appaltatore, che
abbia conseguito un decreto ingiungente al committente
il pagamento del corrispettivo, dinanzi ad eccezioni del
committente-opponente di difformità e vizi dell’opera,
ex art. 1667 cod. civ., deve oppure no, in conformità al

principio di cui all’art. 1665, ultimo comma, cod. civ.,

fornire la prova che il committente ha accettato

senza

riserve (espressamente o per fatti concludenti) l’opera
e Che i vizi siano riconoscibili”;

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le quali l’opera doveva essere eseguita”;

- “se l’omessa pronuncia sulle predette specifiche domande ed eccezioni integra o meno la violazione degli
artt. 1665, ultimo comma, 1667, 1375, 1460 cod. civ.
nonché degli artt. 112, 113, 156 e ss. cod. proc. civ. e

Il quarto motivo (violazione degli artt. 1362 e
1363 cod. civ.) pone la questione “se nell’interpretare
il contratto il giudice deve oppure no seguire i principi di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ. e se, in caso
affermativo, la volontà contrattualmente espressa dalle
parti sia oppure meno nel senso di cui all’ultimo comma
dell’art. 1665 cod. civ. ovvero di condizionare il pagamento del corrispettivo alla verifica ed accettazione
dell’opera da parte dei committenti”.
Con il quinto motivo (violazione degli artt. 645
cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.) si sostiene che
l’appaltatore-opposto che abbia ottenuto un decreto ingiungente al committente il pagamento del corrispettivo,
dinanzi ad eccezioni del committente-opponente di difformità e vizi dell’opera, deve fornire la prova sia che
il committente ha accettato senza riserve l’opera, siano
che i vizi sono facilmente riconoscibili.
3.1. – I tre motivi – i quali, attesa la stretta
connessione, possono essere esaminati congiuntamente sono inammissibili.

provoca la nullità della sentenza”.

Con congrua motivazione, esente da vizi logici e da
mende giuridiche, la Corte d’appello ha rilevato: che in
base ai documenti utilizzabili risulta, pur dopo effettuata la compensazione, un credito dell’Impresa di lire

che gli opponenti, oltre a non specificare nell’atto di
citazione quali fossero i vizi di costruzione lamentati,
non hanno fornito né chiesto di fornire alcuna prova per
dimostrare l’esistenza dei vizi denunciati con le lettere del 3 febbraio 1997; che la dimostrazione dei fatti
costituenti il fondamento della pretesa non può essere
desunta né dall’ingiunzione del Comune di Carlentini del
2 febbraio 1999 (concernendo la stessa gli adeguamenti
del sistema di approvvigionamento, di smaltimento delle
acque nere e bianche, e cioè carenze diverse dai vizi
denunciati dagli opponenti nelle citate missive), né
dalla revoca temporanea dell’autorizzazione di abitabilità dell’alloggio di Vincenzo Commendatore (riguardando
un soggetto del tutto estraneo al giudizio); che detta
prova neppure può essere fornita attraverso una consulenza tecnica d’ufficio, che può essere disposta non a
fini esplorativi, ma solo per verificare la previa dimostrata situazione lamentata.
Tanto premesso, i quesiti con cui si concludono i
motivi di censura non colgono la ratio decidendi:

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essi,

30.100.000, quello, appunto, azionato in via monitoria;

infatti, danno per presupposto che il credito
dell’appaltatore fosse estinto per compensazione o che
sussistessero i vizi dell’opera realizzata, quando invece la deduzione degli opponenti è rimasta una generica

Di qui, appunto, l’astrattezza delle questioni di diritto sollevate, per di più veicolate da quesiti che non
indicano quale sarebbe il principio di diritto, affermato dalla Corte territoriale, che si vorrebbe vedere disatteso o superato.
Inoltre,

dove

invocano

l’applicazione

dell’ultimo coma dell’art. 1665 cod. civ., i motivi introducono una ragione di non debenza del credito
dell’appaltatore nuova ed ulteriore rispetto a quelle
dedotte con l’atto di opposizione, dove non si è fatta
questione di inesigibilità del pagamento del corrispettivo dell’appalto per mancata accettazione dell’opera da
parte del committente, ma di integrale compensazione del
credito dell’appaltatore con il controcredito di cui al
rogito Cannizzo e di lavori eseguiti “in maniera pedestre e non professionale”.
5. – Con il sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.) ci si duole
che la Corte d’appello abbia compensato per intero le
spese del doppio grado.

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affermazione e non è stata supportata da alcuna prova.

5.1. – La censura è inammissibile per evidente difetto di interesse, non potendo lagnarsi della mancata
regolazione delle spese secondo il principio di soccombenza chi, nella sentenza impugnata, è risultato total-

6. – Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non
avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa
sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cessazione,
il 22 gennaio 2013.

mente soccombente.

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