Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4631 del 28/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 28/02/2018, (ud. 08/11/2017, dep.28/02/2018),  n. 4631

Fatto

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 1241/2011, in accoglimento del gravame proposto dall’Azienda USL n. (OMISSIS) di Firenze e dall’Università degli Studi di Firenze, ha riformato la sentenza di primo grado e rigettato la domanda proposta da B.B. e D.B.E., dipendenti della predetta Università, ma svolgenti attività assistenziale presso l’Azienda sanitaria, le quali, avendo ottenuto l’inquadramento in posizione D1 (ex 7^ qualifica funzionale) con decorrenza dal 1 gennaio 2004, avevano agito per il riconoscimento del diritto a vedersi corrisposta l’indennità di equiparazione, c.d. indennità De.Ma., rapportata al trattamento dirigenziale del personale sanitario svolgente mansioni e funzioni corrispondenti e ciò sul presupposto della loro equiparazione alla figura del Collaboratore tecnico corrispondente al 9^ livello del personale dipendente del servizio sanitario nazionale, ossia al personale che dal 6.12.1996 era transitato nella dirigenza per effetto dell’autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri a stipulare un C.C.N.L. separato per la Dirigenza sanitaria.

2. Le ricorrenti, laureate in biologia, avevano prospettato, a fondamento della domanda, che erroneamente parte datoriale aveva proceduto all’equiparazione con il pari livello del comparto sanitario sulla base delle fonti negoziali entrate in vigore il 27 gennaio 2005, che equiparavano il 9^ livello alla posizione DS, “collaboratore professionale sanitario esperto”, poichè, pur tenuto conto dell’efficacia retroattiva del CCNL 2005, il comma 6 dell’art. 28 aveva fatto salve “le posizioni giuridiche ed economiche comunque conseguite del personale già in servizio nella AUO alla data di entrata in vigore” del contratto medesimo; la stessa clausola aveva poi previsto che per il personale per il quale non si rinvenisse l’equiparazione nella relativa tabella, fossero fatte salve “le posizioni conseguite per effetto delle corrispondenze con le figure del personale SSN”.

3. Tale tesi non è stata condivisa dalla Corte di appello, che ha evidenziato come parte datoriale avesse dato corso correttamente all’applicazione delle tabelle vigenti alla data del conseguimento della qualifica e che la norma di salvaguardia di cui all’art. 28 CCNL 2005 non potesse trovare applicazione alla fattispecie. Ha evidenziato inoltre che non erano emersi elementi istruttori atti a comprovare l’esercizio di fatto di funzioni dirigenziali, rilevanti ai limitati fini delle conseguenze economiche e difatti la qualifica assegnata alle appellate (categoria D, livello economico D super) richiede funzioni di responsabilità diretta, connotate da compiti comportanti ampia autonomia decisionale, che corrispondono alle funzioni svolte da entrambe le appellate, che, pur completando le attività proprie del biologo di laboratorio, non avevano mai svolto funzioni dirigenziali.

4. Per la cassazione di tale sentenza le lavoratrici propongono ricorso affidato a tre motivi. Resistono con controricorso l’Azienda Usl n. (OMISSIS) di Firenze, la Regione Toscana e l’Università degli Studi di Firenze. Le ricorrenti hanno altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I tre motivi di ricorso denunciano cumulativamente violazione e falsa applicazione di norme contrattuali (artt. 28 CCNL 2005 e art. 51 CCNL 1998/2001, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

1.1. Si deduce che fino all’entrata in vigore del CCNL siglato nel 2005, l’unica tabella equiparativa esistente era quella prevista dalla Convenzione del 1990 tra Università, Regione e Asl, sostanzialmente confermativa dei parametri fissati dal D.M. 9 novembre 1982, ancora vigente nel 2004, epoca dell’inquadramento delle ricorrenti della superiore qualifica. Si sostiene quindi che la figura del Collaboratore di 7^ q.f. trovava corrispondenza, ai sensi dell’allegato D al D.M. 9 novembre 1982 e della predetta Convenzione del 1990, nella figura dell’assistente tecnico laureato di 9^ livello della Sanità e che, per effetto del CCNL 5.12.1996, art. 1, i farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi, già collocati nelle posizioni funzionali di 9^ e 10^ livello, sono transitati nella qualifica di Dirigente del ruolo sanitario; pertanto, alla data del 1° gennaio 2004 la figura professionale posseduta dalle ricorrenti trovava corrispondenza in quella di Dirigente di primo livello del contratto della Dirigenza del comparto Sanità. Si prospetta che tale equiparazione non poteva essere negata alla luce delle previsioni del successivo CCNL comparto Università del 27 gennaio 2005, avente decorrenza retroattiva dal 1 gennaio 2002, poichè il comma 6 dell’art. 28, contenente la nuova tabella di equivalenza tra personale universitario e personale del SSN, aveva fatto salve le posizioni giuridiche ed economiche comunque conseguite dal personale già in servizio nelle AUO alla data di entrata in vigore del medesimo C.C.N.L. e lo stesso valeva per il personale che non trovava collocazione nella medesima tabella; per questo personale, erano state fatte salve le posizioni conseguite per effetto delle corrispondenze con le figure del personale del SSN. Le ricorrenti, in possesso della laurea specialistica di biologo, non potevano essere collocate nella nuova tabella in quanto per la posizione “DS – collaboratore professionale sanitario esperto” non è richiesta una laurea specialistica.

1.2. Si censura altresì la concorrente ratio decidendi con cui la Corte di appello ha affermato che le ricorrenti non svolgevano funzioni dirigenziali, con ciò contraddicendo le risultanze delle deposizioni testimoniali. Il teste, prof. F., aveva difatti riferito che dal settembre 2005 le ricorrenti avevano iniziato a svolgere, oltre alla preparazione e archiviazione dei test di laboratorio, la lettura dei preparati e la firma dei referti, assumendosene la responsabilità.

Anche il teste Dott. T., Direttore sanitario dell’Azienda ASL di Firenze, aveva confermato che le due ricorrenti svolgono, sin dal 2005, compiti di refertazione.

2. Preliminarmente, va rilevato che la Corte di appello si è limitata a confermare la legittimazione passiva dei convenuti negli stessi termini riconosciuti dal Giudice di primo grado, il quale aveva affermato che la domanda aveva ad oggetto unicamente l’accertamento del diritto delle ricorrenti a percepire, a decorrere dal 1.8.2005, l’indennità di perequazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, in misura tale da equiparare il trattamento economico complessivo ad esse spettanti a quello del personale della dirigenza sanitaria non medica e che, mancando una domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive, non sarebbe stata emessa alcuna pronuncia nei confronti delle chiamate in causa ASL (OMISSIS) e Regione Toscana (soggetti coinvolti nel contenzioso come potenziali onerati della prestazione od incaricati del pagamento) verso le quali peraltro la sentenza avrebbe fatto “stato ai fini dell’accertamento del diritto delle ricorrenti a conseguirla”. Nessuna delle parti ha espressamente censurato tale interpretazione fornita dai giudici di merito.

3. Tanto premesso, il ricorso è fondato quanto alla questione di diritto, mentre è inammissibile nella parte che verte sull’accertamento, compiuto dal giudice di appello, circa il difetto di prova in merito all’effettivo svolgimento di mansioni direttamente riconducibili ad una delle qualifiche dirigenziali del comparto sanità.

4. Giova svolgere una premessa di ordine ricostruttivo, emergente anche dai numerosi precedenti giurisprudenziali di questa Corte, chiamata più volte ad affrontare analoghe questioni di diritto (v. in particolare, Sezioni Unite n. 9279 del 2016 e Sezioni Unite n. 8521 del 2012).

4.1. La normativa che regola la materia oggetto della presente controversia può essere ricostruita, in sintesi, come segue. La L. 25 marzo 1971, n. 213, art. 4,stabilì che al personale docente in servizio presso cliniche ed istituti universitari convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, gestiti dalle università, fosse attribuita un’indennità economica tale da equiparare il trattamento economico a quello in godimento del personale ospedaliero di pari funzioni, mansioni ed anzianità (cd. indennità De.Ma.). La L. 15 maggio 1974, n. 200, art. 1, estese tale indennità al personale non medico (cd. indennità piccola De.Ma.). Il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31 (avente ad oggetto lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) stabilì che “al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta un’indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità” (comma 1); venne altresì previsto che il personale universitario assumesse diritti e doveri pari a quelli del personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui alla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 39, e che “tenuto conto degli obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico, nei predetti schemi sarà stabilita in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione della indennità di cui al comma 1” (comma 4). Il D.I. 9 novembre 1982, recante l’approvazione degli schemi tipo di convenzione tra regione e università e tra università e unità sanitaria locale, stabilì, poi, che per il personale universitario non medico la corrispondenza con quello in servizio presso le unità sanitarie locali avvenisse secondo le indicazioni contenute nell’allegata tabella D (art. 7). 4.2. Le disposizioni del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31 hanno conservato la loro vigenza anche successivamente alla privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ed all’entrata in vigore del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Difatti, l’art. 53 del CCNL 1994-1997 per il personale dell’università ha confermato l’applicabilità del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31, “fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50…”. A detto art. 53 venne successivamente aggiunto in data 25/3/1997 un comma 3 per il quale le parti si impegnavano alla ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale del S.S.N., al fine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e l’inserimento delle nuove figure professionali; nelle more, le parti si davano atto che venivano conservate le indennità di cui al D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31.

4.3. E’ solo con il c.c.n.l. 2002-2005 (sottoscritto il 27/1/2005) che viene elaborata una tabella unica in cui il personale universitario in servizio presso le AOU è inquadrato per fasce, sulla base delle categorie professionali ed economiche in atto nel S.S.N. (art. 28 tab. A). Dalla data della sottoscrizione di questo contratto l’indennità di cui all’art. 31 viene corrisposta sulla base delle nuove corrispondenze indicate dalla tabella.

5. Sulla base di queste disposizioni contrattuali, si è ritenuto che l’art. 53 cit. avesse congelato provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto e che tale assetto fosse stato ribadito dal C.C.N.L. 1998-2001, art. 51 e che dunque il D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 avesse continuato ad applicarsi transitoriamente.

5.1. Ad avviso della giurisprudenza di questa Corte, è dunque direttamente all’art. 31 che deve farsi riferimento per determinare i parametri di attribuzione dell’indennità perequativa nei periodi precedenti il CCNL del 2005 ed è alla tabella all. D al Decreto Interministeriale 9 novembre 1982, recante gli schemi tipo di convenzione, che deve farsi ulteriore riferimento per quel che riguarda il criterio di equiparazione.

5.2. Come affermato dalle sentenze delle Sezioni unite n. 8521 del 2012 e n 9279 del 2016, tale equiparazione fra le qualifiche non ha carattere rigido, bensì dinamico e cioè deve essere riferita anche ai mutamenti apportati all’inquadramento del personale, universitario e sanitario, dai contratti collettivi.

6. In sintesi, anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego, il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31, ha conservato la sua efficacia per effetto della contrattazione collettiva sino all’entrata in vigore dell’art. 28 del C.C.N.L. 27/1/2005 per il personale del comparto università (quadriennio 2002-2005). La fonte dell’equiparazione deve essere individuata nella tabella allegata al D.I. 9 novembre 1982, norma che pone in automatica correlazione – ai soli fini economici – le qualifiche universitarie e quelle ospedaliere, prescindendo dal concreto esercizio delle mansioni corrispondenti e dal possesso del titolo di studio necessario per il loro effettivo svolgimento. Il meccanismo di equiparazione delle retribuzioni tra il personale universitario e quello sanitario ha carattere dinamico, tale per cui il mutamento di una delle originarie qualifiche che comporti effetti sulla retribuzione ripercuote automaticamente i suoi effetti anche sull’altra. L’art. 28 del menzionato C.C.N.L. 27/1/2005 dispone, al comma 6, che “Sono fatte salve, con il conseguente inserimento nella colonna A della precedente tabella, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L.” e, al comma 7, che “I benefici economici derivanti dall’applicazione dell’art. 51, comma 4, ultimo capoverso del C.C.N.L. 9 agosto 2000 e il C.C.N.L. 13 maggio 2003, art. 5, comma 3, sono conservati “ad personam”, salvo eventuale successivo riassorbimento”.

7. E’ pacifico che, sulla base della tabella di corrispondenza del personale universitario rispetto a quello delle USL, contenuta nell’allegato D del Decreto Interministeriale 9 novembre 1982 (Approvazione degli schemi tipo di convenzione tra regione e università e tra università e unità sanitaria locale), applicabile fino all’entrata in vigore del CCNL siglato nel 2005, ancora vigente all’epoca dell’inquadramento delle ricorrenti nella superiore qualifica D1, corrispondente all’ex 7^ livello (o posizione funzionale), la figura del Collaboratore di 7^ q.f. trovava corrispondenza nella figura dell’assistente tecnico laureato di 9^ livello della Sanità e che, per effetto del CCNL 5.12.1996, art. 1, i farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi, già collocati nelle posizioni funzionali di 9^ e 10^ livello, sono transitati nella qualifica di Dirigente del ruolo sanitario. Alla data del 1 gennaio 2004 la figura professionale posseduta dalle ricorrenti trovava corrispondenza in quella di Dirigente di primo livello del contratto della Dirigenza del comparto Sanità, per cui nei loro confronti trovava applicazione la clausola di salvezza di cui all’art. 28 del contratto comparto Università del 27 gennaio 2005 (cfr. pure S.U. n. 9279/2016, punti 30 e 31).

8. In ordine al trattamento spettante, occorre tuttavia chiarire che le S.U., con la sentenza n. 9279/2016 citata, hanno avuto modo di precisare che, nell’ambito della indennità di equiparazione non possono essere inclusi automaticamente gli emolumenti che presuppongono o sono collegati all’effettivo conferimento di un incarico direttivo.

8.1. Le S.U., pur riferendosi specificamente alla questione (dedotta in quella sede) della inclusione nell’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (“indennità De.Ma.”) dell’indennità di posizione dei dirigenti del comparto sanità, nell’affermare che tale trattamento può essere riconosciuto soltanto se collegato all’effettivo conferimento di un incarico direttivo, hanno – tra l’altro – osservato che l’art. 31, in precedenza citato, che vincola la corresponsione della c.d. indennità De.Ma. all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, contempla un presupposto che induce ad escludere l’applicazione di un’equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche ad indennità spettanti unicamente in relazione al conferimento di incarichi specifici. In altre parole, l’intento perequativo del trattamento economico del personale universitario rispetto a quello del personale sanitario, che costituisce la ratio legis dell’art. 31 e che viene realizzato con la previsione di una indennità (appunto perequativa) che fa riferimento al trattamento complessivo spettante ai dipendenti del SSN e che si applica in modo sostanzialmente automatico trova un limite logico, oltre che giuridico, in quelle componenti del trattamento economico complessivo del personale sanitario che non dipendono direttamente ed esclusivamente dall’inquadramento contrattuale, ma sono erogate in correlazione al conferimento di incarichi come quello dirigenziale.

9. Questa Corte, nel ribadire tali principi, osserva che le odierne ricorrenti – secondo l’accertamento compiuto dai Giudice di appello – non hanno assunto alcun incarico dirigenziale. Come noto, la ricostruzione della vicenda storica e la sua valutazione in fatto costituisce indagine demandata al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità nei ristretti ambiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo costante principio affermato nella giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013). E’ invece inammissibile un motivo che denunci la difformità della decisione rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).

9.1. Nel caso in esame, il ricorso tende ad ottenere un’interpretazione delle prove testimoniali e delle complessive risultanze istruttorie diversa da quella che ha indotto il convincimento della Corte territoriale, sicchè il motivo in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni espresse dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità, mentre, per altro verso, non è neppure censurata l’interpretazione delle clausole contrattuali recanti le declaratorie di inquadramento, nè l’opera di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta.

10. Va dunque dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui tende ad una rivisitazione del merito della causa in relazione agli accertamenti di fatto ivi contenuti e al difetto di prova dello svolgimento di mansioni riconducibili alla qualifica dirigenziale. E’ invece fondato il ricorso laddove la sentenza impugnata ha affermato che l’equiparazione fra le qualifiche ha carattere rigido e non dinamico, escludendo cioè la rilevanza dei mutamenti apportati all’inquadramento del personale, universitario e sanitario, dai contratti collettivi.

10.1. Il ricorso va dunque accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, alla stregua dei seguenti principi di diritto:

D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31, ha conservato la sua efficacia per effetto della contrattazione collettiva sino all’entrata in vigore del C.C.N.L. 27 gennaio 2005, art. 28 per il personale del comparto università (quadriennio 2002-2005).

Tale norma, che vincola la corresponsione della c.d. indennità De.Ma. all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, non comporta l’applicazione di un’equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche ad indennità spettanti unicamente in relazione al conferimento di incarichi dirigenziali.

I benefici economici derivanti dall’applicazione del C.C.N.L. 9 agosto 2000, art. 51, comma 4, ultimo capoverso e il C.C.N.L. 13 maggio 2003, art. 5, comma 3, sono conservati “ad personam”, salvo eventuale successivo riassorbimento.

11. La Corte accoglie il ricorso nei limiti anzidetti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018

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