Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4624 del 26/02/2014
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4624 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lege
– ricorrente contro
Fionda Antonia
– intimata –
avverso la sentenza n. 277/39/2007 della
Commissione Tributaria regionale del Lazio, Sezione
Staccata di Latina, depositata il
12/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza dell’11/12/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per
cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti
di
Fionda
Antonia
(che
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non
resiste
con
Data pubblicazione: 26/02/2014
controricorso),
avverso
la
sentenza
Commissione Tributaria Regionale del Lazio,
della
Sez.
Staccata di Latina, n. 277/39/2007, depositata in
data 12/06/2007, con la quale, in una controversia
avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di
accertamento, relativo alla rettifica, mediante
l’applicazione dei parametri presuntivi di cui
all’art.3 commi 181 e 183 1.549/1995, del reddito
di vendita al dettaglio di carburanti per
autotrazione, ai fini IRPEF, IVA, Contributo
straordinario per l’Europa e Contributo SSN, per
l’anno d’imposta 1996, è stata confermata la
decisione n. 103/05/2004 della Commissione
Tributaria Provinciale di Frosinone, che aveva
accolto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto
che non poteva condividersi la metodologia di
accertamento adottata dall’Ufficio, in difetto di
“riferimento alla reale situazione della
contribuente”, limitandosi i parametri applicati ad
“individuare la contribuente in una categoria
professionale”,
senza consentire l’individuazione
del “reale reddito” della stessa.
Considerato in diritto.
1.
L’Agenzia
ricorrente
lamenta,
ai
sensi
dell’art.360 n. 3 c.p.c.: 1) con il primo motivo,
la violazione e/o falsa applicazione dell’art.3
comma 181 1.549/1995, in combinato disposto con gli
artt.2728 e 2697 c.c., non avendo i giudici
tributari riconosciuto, nell’ambito di un
accertamento del tipo analitico-induttivo, ex
art.39 comma l lett.d) DPR 600/1973, il valore di
presunzione legale ai parametri presuntivi ex legge
549/1995, richiedendo che l’Ufficio offrisse
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d’impresa della contribuente, esercente l’attività
ulteriori elementi a sostegno, pur in assenza, a
contraddittorio correttamente instaurato, di prova
contraria proveniente dalla contribuente; 2) con il
secondo motivo, la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 3 comma 184 stessa legge,
avendo i giudici errato nell’evidenziare la
“alla reale situazione
mancanza di riferimenti
della contribuente”,
laddove i parametri sono
“tenendo conto delle specifiche caratteristiche
dell’attività esercitata”;
3) con il terzo motivo,
la violazione e/o falsa applicazione dei principi
che regolano l’onere della prova, ai sensi
dell’art.2697 c.c., in presenza del meccanismo
presuntivo di cui alla 1.549/1995.
La ricorrente invoca inoltre vizi di omessa
motivazione, sia, con il quarto motivo, quale error
in procedendo,
ai sensi dell’art.360 n. 4 c.p.c.,
in relazione all’art.132 c.p.c., sia, con il quinto
motivo, quale vizio motivazionale, ai sensi
dell’art.360 n. 5 c.p.c..
2. L’ultimo motivo, assorbiti gli altri, merita
accoglimento.
Questa Corte ha chiarito che la procedura di
accertamento tributario standardizzato mediante
l’applicazione dei parametri o degli studi di
settore costituisce un sistema di presunzioni
semplici, la cui gravità, precisione e concordanza
non è “ex lege” determinata dallo scostamento del
reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé
considerati – meri strumenti di ricostruzione per
elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio, da
attivare obbligatoriamente, pena la nullità
dell’accertamento, con il contribuente,
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3
G
elaborati dal Ministero delle Finanze proprio
In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare,
senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto,
la sussistenza di condizioni che giustificano
l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti
cui possono essere applicati gli
“standards” o la
specifica realtà dell’attività economica nel
periodo di tempo in esame, mentre la motivazione
dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel
con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto
dello “standard” prescelto e con le ragioni per le
quali sono state disattese le contestazioni
sollevate dal contribuente.
L’esito
contraddittorio,
del
tuttavia,
non
condiziona l’impugnabilità dell’accertamento,
potendo il giudice tributario liberamente valutare
tanto l’applicabilità degli
“standards”
al caso
concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore,
quanto la controprova offerta dal contribuente che,
al riguardo, non è vincolato alle eccezioni
sollevate nella fase del procedimento
amministrativo e dispone della più ampia facoltà,
incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se
non abbia risposto all’invito al contraddittorio in
sede amministrativa, restando inerte. In tal caso,
però, egli assume le conseguenze di questo suo
comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare
l’accertamento sulla sola base dell’applicazione
degli
“standards”,
dando conto dell’impossibilità
di costituire il contraddittorio con il
contribuente, nonostante il rituale invito, ed il
giudice può valutare, nel quadro probatorio, la
mancata risposta all’invito (cfr. Cass. S.U.
26635/2009,
Cass.
Cass.23070/2012).
12558/2010,
Cass.12428/2012,
rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata
In termini di onere della prova, nella citata
sentenza delle Sezioni unite, si è affermato,
schematicamente, che “l’onere della prova (…) è
così ripartito:a) all’ente impositore fa carico la
dimostrazione dell’applicabilità dello standard
prescelto al caso concreto oggetto
dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa
carico la prova della sussistenza di condizioni che
dei soggetti cui possano essere applicati gli
standard o della specifica realtà dell’attività
economica nel periodo di tempo cui l’accertamento
si riferisce”.
Come successivamente precisato ulteriormente da
questa Corte(Cass.3312/2011), il fine e l’effetto
del principio di diritto affermato delle Sezioni
Unite è stato quello di porre in luce l’importanza
del contraddittorio, non solo nel processo ma anche
nella realtà, quale strumento principale di
verificazione o falsificazione della corrispondenza
tra realtà e sua rappresentazione, in quanto
proprio “in sede di contraddittorio – il quale può
avvenire già in fase amministrativa, ma anche e
soprattutto nel giudizio – 11 contribuente potrà in
primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri
utilizzati sono in sé erronei perché sono basati su
elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o
su criteri di elaborazione e di inferenza illogici”
e potrà quindi chiedere l’annullamento del
provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e
dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in
errore operativo nell’applicare i parametri alla
sua realtà ovvero ancora dedurre o l’estraneità
della propria attività rispetto alla tipologia alla
quale quei parametri intendono rife rsi o la
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giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area
sussistenza, nella propria attività di caratteri
per così dire anormali, cioè di elementi che la
diversificano rispetto a quelle in riferimento alle
quali è stata individuata la normalità reddituale.
Ove il contribuente, pur essendo stato messo in
condizione di dedurre, nulla dice, legittimamente
“l’Ufficio impositore prima e il giudice poi non
avranno elementi per escludere che l’attività in
una redditività normale”;
ove il contribuente
prospetti, invece, la sussistenza di circostanze di
fatto, tali da allontanare la sua attività dal
modello normale al quale i parametri fanno
riferimento,
“spetterà all’ufficio prima e al
giudice poi valutare in primo luogo se tali
circostanze sono vere e poi se esse possono essere
effettivamente idonee a “giustificare” un reddito
inferiore a quello che sarebbe normale e quindi
presuntivamente vero in assenza di esse”.
In sostanza, i parametri previsti dall’art. 3,
commi da 181 a 187, 1. 28 dicembre 1995 n. 549,
rappresentando la risultante dell’estrapolazione
statistica di una pluralità di dati settoriali
acquisiti su campioni di contribuenti e dalle
relative dichiarazioni,
rivelano valori che,
quando eccedono il dichiarato,
integrano il
presupposto per il legittimo esercizio da parte
dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo
ex art. 39, comma 1, lett. d, DPR 29 settembre 1973
n. 600, e, soltanto ove siano stati contestati, in
sede di contraddittorio con il contribuente, sulla
base di allegazioni specifiche, sono inidonei a
supportare da soli l’accertamento medesimo, se non
confortati da elementi concreti desunti dalla
realtà economica dell’impresa.
questione sia un’attività “normale” ed abbia quindi
3. Nella fattispecie, vertendosi in ipotesi nella
quale, come si evince dal ricorso, la contribuente
era stata invitata dell’Ufficio impositivo al
contraddittorio, effettivamente, proprio alla luce
dei principi di diritto espressi da questa Corte ,a
Sezioni Unite, non si comprende quali circostanze
di fatto specifiche abbia offerto la stessa
“giustificare” un reddito
contribuente, al fine di
quindi presuntivamente vero in assenza di esse,
circostanze da vagliarsi, in rapporto agli elementi
presuntivi posti a base dell’accertamento, da parte
dei giudici tributari, come idonee ad escludere
quelle condizioni di normalità necessarie per
l’inserimento di un’impresa nell’area dei soggetti
ai quali possono essere applicati gli
standards
previsti dall’utilizzo dei parametri.
La sentenza impugnata non ha dato adeguata
motivazione circa le ragioni che hanno indotto i
giudici tributari a considerare non pertinenti e
sufficienti parametri utilizzati per la
determinazione presuntiva del redditi.
Le affermazioni che si leggono nella sentenza di
secondo grado, in realtà, sono totalmente prive di
specificità e concretezza e neppure riescono a far
comprendere se e quali ragioni di fatto i giudici
tributari hanno effettivamente preso in
considerazione e verificato e quale sia stato
l’iter logico da essi seguito. Dalla sentenza
impugnata, quindi, non risulta se la contribuente
abbia o meno assolto l’onere di dedurre e provare
concrete situazioni di fatto idonee a dimostrare
elementi di fatto della sua attività
imprenditoriale.
Giova ribadire che il vizio di omessa motivazione
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inferiore a quello che sarebbe stato normale e
ESENTE DA :t EGSSTRAZIONE.
AI SENSI DEL 17,.?.
N. 131 TAB.
sussiste
quando
nella motivazione
non
–
5
MATERIA TRIBUTARIA
sia
chiaramente illustrato il percorso logico seguito
per giungere alla decisione e non risulti comunque
desumibile la ragione per la quale ogni contraria
prospettazione sia stata disattesa.
4. Il ricorso deve essere pertanto accolto, quanto
al quinto motivo, vizio motivazionale ex art.360 n.
5 c.p.c., assorbiti gli altri, e la sentenza
sezione della C.T.R. del Lazio, che procederà a
nuovo esame, sulla base dei principi di diritto
sopra esposti, e provvederà anche in ordine alle
spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata, con rinvio, anche
in ordine alle spese
del presente giudizio di legittimità, ad altra
Sezione della Commissione Tributaria Regionale del
Lazio.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra