Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4622 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 21/02/2020), n.4622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16650-2017 proposto da:

SICURITALIA SERVIZI FIDUCIARI SOCIETA’ COOPERATIVA, (già SICURITALIA

SAI SOCIETA’ COOPERATIVA), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA, 3,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO MARTUCCI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUIGI GRANATO;

– ricorrente –

contro

P.F., O.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio degli avvocati SAVINA BOMBOI e

BRUNO COSSU che li rappresentano e difendono unitamente all’avvocato

AGOSTINO CALIFANO;

– controricorrenti –

e contro

A.M.T. – AZIENDA MOBILITA’ TRASPORTI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 444/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 22/12/2016 r.g.n. 508/2015.

Fatto

CONSIDERATO CHE:

la Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 444/2016, ha respinto l’appello proposto da Sicuritalia Servizi Fiduciari soc. coop. (d’ora in avanti, Sicuritalia) avverso la sentenza di primo grado con cui la società datoriale, in solido con A. M. T. – Azienda Mobilità Trasporti – spa (di seguito A.M.T. spa o A.M.T.), era stata condannata a corrispondere ai lavoratori (già dipendenti di Servizi e Sistemi s.r.l. e transitati, con passaggio diretto, alle dipendenze di Sicuritalia, aggiudicataria dell’appalto commissionato da A.M.T.), somme varie a titolo di differenze di retribuzione, calcolate in base al c.c.n.l. Pulizie e Multiservizi, anzichè in base ai contratti collettivi Commercio Cisal e Portieri e Custodi, oltre accessori e spese, nonchè a manlevare A.M.T. spa di tutto quanto da questa corrisposto in forza della sentenza, oltre alle spese di lite di quest’ultimo rapporto processuale;

per quanto solo viene in rilievo in questa sede, la Corte territoriale, richiamati i precedenti del medesimo Ufficio, ha confermato l’applicabilità ai lavoratori, soci di cooperativa, dei trattamenti economici complessivi previsti dal c.c.n.l. Multiservizi in base alle disposizioni della L. n. 142 del 2001, artt. 3 e 6, e del D.L. n. 248 del 2007, art. 7, comma 4, convertito in L. n. 31 del 2008 ed, altresì, in base al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, in quanto riferibile anche agli appalti affidati da imprese private con partecipazione pubblica, quale era A.M.T. s.p.a.; a tale riguardo, richiamando l’art. 118 cit., comma 6 ha respinto la tesi della società datoriale (id est: della Sicuritalia) secondo cui la disposizione in esame fosse riferibile unicamente al subappaltatore e non anche all’appaltatore, come invece era Sicuritalia; ha, quindi, accertato, anche attraverso il richiamo di dichiarazioni rese in altro giudizio in cui era parte l’appellante, come il c.c.n.l. Multiservizi fosse quello maggiormente diffuso a livello nazionale e locale nel settore delle pulizie, del portierato fiduciario non armato, dell’attività di attesa e facchinaggio, oggetto dell’appalto A.M.T. s.p.a., e come la circostanza della maggiore diffusività nazionale derivasse anche dal fatto che era stato sottoscritto dalle sigle sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale mentre quella locale dal fatto che era stato utilizzato dal precedente affidatario dell’appalto; ha definito obbligatoria l’applicabilità del trattamento economico complessivo previsto dal c.c.n.l. Multiservizi, in base alle disposizioni sopra richiamate, sia per la maggiore rappresentatività delle organizzazioni stipulanti e sia per la diretta riferibilità del contratto al settore oggetto dell’appalto; ha precisato come il c.c.n.l. Commercio Cisal, oltre ad essere sottoscritto da una sola sigla sindacale (la Cisal), fosse riferibile alla prestazione di servizi in ogni settore merceologico (terziario – servizi) mentre il c.c.n.l. Portieri e Custodi disciplinasse i rapporti di lavoro alle dipendenze dei proprietari di fabbricati o loro consorzi, e per addetti ad amministrazioni immobiliari o condominiali; ha ribadito il contenuto dell’obbligo posto dal citato art. 118 e dal D.L. n. 248 del 2007, art. 7, comma 4, convertito in L. n. 31 del 2008, come concernente l’applicazione del trattamento economico complessivo e non solo di quello base, dovendosi tener conto anche degli accordi locali; ha, infine, escluso una duplicazione di titoli esecutivi, sia in ragione della diversità dei soggetti in causa, con particolare riferimento, alla A.M.T. spa, sia per la maggiore garanzia del titolo giudiziale ed ha anche osservato come Sicuritalia avesse potuto fare valere l’eventuale adempimento parziale in sede esecutivo;

ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con sette motivi, Sicuritalia Servizi Fiduciari soc. coop;

hanno resistito con controricorso i lavoratori O.F. e P.F.;

è rimasta intimata AMT – Azienda Mobilità Trasporti – s.p.a.;

sono state depositate memorie da entrambe le parti.

Diritto

RILEVATO CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, e dell’art. 12 preleggi, per avere la Corte territoriale interpretato la disposizione citata (art. 118 cit.) come relativa a fattispecie anche diverse dal subappalto, in contrasto con il criterio ermeneutico letterale e con quello logico-teleologico;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la società Sicuritalia ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 2001, artt. 3 e 6, del D.L. n. 248 del 2007 (conver. in L. n. 31 del 2008), art. 7, comma 4, in relazione al c.c.n.l. Commercio Cisal e al c.c.n.l. Portieri e Custodi, per aver la Corte d’appello affermato l’obbligatorietà del trattamento retributivo previsto dal c.c.n.l. Multiservizi, in luogo di quello previsto dal c.c.n.l. Commercio Cisal e c.c.n.l. Portieri e Custodi, richiamato dal Regolamento cooperativo; è dedotta l’erronea applicazione delle disposizioni sopra richiamate nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la compatibilità con le stesse del c.c.n.l. Commercio Cisal per la non perfetta coincidenza del settore merceologico di tale contratto collettivo con quello contenuto nell’oggetto sociale di Sicuritalia, sebbene le norme citate non contenessero un simile precetto e sebbene l’effettiva attività di Sicuritalia coincidesse con una parte del settore contemplato dal c.c.n.l. Cisal.; del pari, si assume l’erroneità della decisione laddove ha escluso la compatibilità anche del c.c.n.l. Portieri e Custodi con le disposizioni citate perchè relativo ad un settore merceologico diverso dall’attività oggetto dell’appalto (di guardiania di immobili di proprietà dell’appaltante), con la conseguenza di avere la Corte d’appello anche trascurato il dato della sottoscrizione di detto contratto da parte delle tre sigle Cgil, Cisl e Uil, al pari del c.c.n.l. Multiservizi;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2070 c.c. e degli artt. 36 e 39 Cost., per avere la Corte d’appello imposto alla società datoriale l’applicazione del c.c.n.l. Multiservizi nei rapporti con il controricorrente, sancendo in tal modo l’estensione dell’efficacia del predetto contratto a soggetti non vincolati, secondo un meccanismo diverso da quello previsto dall’art. 39 Cost..; si assume come la previsione, da parte di alcuni contratti collettivi, di condizioni economiche meno favorevoli per i lavoratori non comportasse automaticamente la non congruità di tali trattamenti rispetto all’art. 36 Cost. e come, nel caso di specie, ogni verifica di congruità fosse stata omessa dalla Corte d’appello;

con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 115 c.p.c., in relazione al principio del diritto alla prova ed al principio di non contestazione, in riferimento al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118; parte ricorrente ha sostenuto la falsa applicazione del principio di non contestazione in riferimento ad un parametro, la maggiore diffusione del contratto collettivo, non previsto dalle norme citate e quindi non rilevante ai fini della decisione; ha dedotto la violazione del diritto alla prova, compreso nel principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., per la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta al fine di dimostrare come i contratti collettivi (Commercio Cisal e Portieri e Custodi) fossero applicati, come richiesto dall’art. 118 cit., anche nel territorio di Genova da aziende affidatarie di servizi analoghi a quelli svolti da Sicuritalia presso A.M.T. s.p.a.;

con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la parte ricorrente ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 2001, artt. 3 e 6, del D.L. n. 248 del 2007 (convert. in L. n. 31 del 2008), R.D. n. 2657 del 1923, art. 7, art. 1, anche in relazione all’art. 32 bis c.c.n.l. Multiservizi, nonchè violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 e 39 Cost., per avere la sentenza impugnata, ai fini del calcolo delle differenze di retribuzione, considerato tutte le voci retributive previste dal CCNL Multiservizi e nell’accordo provinciale di settore; a tale riguardo, ha sostenuto come la Corte di merito non avesse considerato la modifica, ad opera della L. n. 30 del 2003, della L.n. 142 del 2001, art. 6, comma 2, per effetto della quale risultavano ampliate le ipotesi di deroga regolamentare col solo limite del trattamento economico minimo, sicchè il c.c.n.l. rilevava solo quale parametro esterno per determinare tali condizioni minime; ha, altresì, argomentato la violazione del R.D. n. 2657 del 1923 nel computo delle ore di straordinario a partire dalla quarantunesima ora, anzichè dalla quarantaseiesima, sostenendo di aver allegato fin dal primo grado il carattere discontinuo dell’attività svolta da Sicuritalia;

con il sesto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 24 Cost. per non aver la Corte di appello considerato che la pretesa era fondata sullo svolgimento della prestazione lavorativa presso l’appalto pubblico A.M.T. mentre tale circostanza risultava documentalmente smentita, almeno in relazione al periodo 24.1.2011/30.8.2011; la Corte territoriale, invertendo gli oneri di allegazione e prova, avrebbe affermato che doveva essere la Sicuritalia a chiarire le ragioni della diversità tra gli appalti A.M.T. e (OMISSIS) al fine di escludere il periodo di adibizione a quest’ultimo appalto dal conteggio delle differenze dovute;

con il settimo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. per avere la Corte di appello rigettato il motivo di appello concernente la dedotta illegittimità della duplicazione dei titoli relativamente alle differenze di retribuzione già oggetto di diffida accertativa;

il ricorso è infondato;

le questioni oggetto di causa sono state già esaminate da questa Corte con diverse pronunce (tra queste: Cass. n. 5189 del 2019; Cass. n. 9862 del 2019; Cass. n. 10851 del 2019) ai cui principi va assicurata, in questa sede, ulteriore continuità;

i primi tre motivi vanno congiuntamente trattati giacchè investono, da diversi punti di vista, l’interpretazione e l’applicazione della disciplina relativa al trattamento economico dei soci lavoratori di cooperativa;

al riguardo, come già osservato in taluni dei precedenti richiamati, sono necessarie alcune premesse in relazione alla normativa di riferimento;

la L. n. 142 del 2001, nell’ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele proprie del lavoro subordinato, ha disposto all’art. 3, comma 1, che: “Fermo restando quanto previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 36, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”;

sulla stessa linea si pone la medesima legge, art. 6, comma 2, che, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 30 del 2003, art. 1, comma 9, lett. f), ha stabilito come il rinvio ai contratti collettivi nazionali operasse solo per il “trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1”, escludendo che il regolamento cooperativo potesse contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto a tale trattamento minimo;

in questo contesto è intervenuto il D.L. n. 248 del 2007, convertito in L. n. 31 del 2008, che all’art. 7, comma 4, ha previsto: “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi della L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 3, comma 1, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”; detti trattamenti fungono da parametro esterno e indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo ai criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti dall’art. 36 Cost., di cui si impone l’osservanza anche al lavoro dei soci di cooperative;

il fatto che, nel tempo, sia stata attribuita alla contrattazione collettiva, nel settore privato e poi anche nel settore pubblico, il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della garanzia costituzionale di cui all’art. 36 Cost., non impedisce al legislatore di intervenire a fissare in modo inderogabile la retribuzione sufficiente, attraverso, ad esempio, la previsione del salario minimo legale, suggerito dall’OIL come politica per garantire una “giusta retribuzione” (ed oggetto della Legge Delega n. 183 del 2014, art. 1, comma 7, lett. g), in questa parte rimasta inattuata) oppure, come avvenuto nella materia in esame, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva;

l’attuazione per via legislativa dell’art. 36 Cost., nella perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost., non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma l’utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con effetti vincolanti (cfr. Corte Cost. n. 51 del 2015);

la L. n. 31 del 2008, art. 7, presuppone un concorso tra contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito (“in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria”) e attribuisce riconoscimento legale ai trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria e quindi presumibilmente capaci di realizzare assetti degli interessi collettivi più coerenti col criterio di cui all’art. 36 Cost., rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie nella categoria;

come si legge nella sentenza della Corte Cost. n. 51 del 2015, “nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato (D.L. n. 248 del 2007, art. 7 ndr.) si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative”, (in tal senso anche Cass. n. 17583 del 2014; n. 19832 del 2013);

dall’assetto come ricostruito non deriva alcun rischio di lesione del principio di libertà sindacale e del pluralismo sindacale. La scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost., fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, a tal fine generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione;

nella fattispecie oggetto di causa, i regolamenti della società cooperativa Sicuritalia succedutisi negli anni 2007 e 2009 facevano riferimento, al fine di individuare il trattamento economico dei soci lavoratori, rispettivamente al c.c.n.l. Commercio Cisal e al c.c.n.l. Portieri e Custodi;

la Corte d’appello, data la pluralità di contratti collettivi astrattamente riferibili al settore oggetto dell’appalto A.M.T. s.p.a. (concernente la “guardiania di immobili di proprietà dell’appaltante”), ha individuato quale parametro del trattamento economico minimo obbligatoriamente applicabile ai soci lavoratori della cooperativa Sicuritalia, quello previsto dal c.c.n.l. Multiservizi;

più esattamente, la Corte di merito ha ritenuto che quest’ultimo contratto collettivo rispondesse ai requisiti individuati sulla base di una interpretazione integrata delle disposizioni sopra richiamate, in quanto stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e attinente alla categoria oggetto dell’appalto in questione;

la non utilizzabilità, quale parametro del trattamento economico minimo, del c.c.n.l. Cisal è stata motivata in ragione della coincidenza solo parziale del settore e della sottoscrizione dello stesso da parte di una sola sigla sindacale, la Cisal, con conseguente difetto del requisito di sottoscrizione da parte delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative quale garanzia di realizzazione di un assetto di interessi più coerente con l’art. 36 Cost.;

parimenti, la Corte di merito ha escluso l’utilizzabilità del c.c.n.l. Portieri e Custodi (esattamente “contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da proprietari di fabbricati”), quale parametro ai fini del trattamento economico minimo, in quanto relativo ad un settore non sovrapponibile a quello oggetto dell’appalto A.M.T. s.p.a.. L’art. 1 del c.c.n.l. suddetto definisce il proprio ambito di applicazione come volto a disciplinare il rapporto dei lavoratori dipendenti da proprietari di fabbricati e da quelli addetti ad amministrazioni immobiliari o condominiali. Tale contratto, se pure sottoscritto dalle sigle sindacali confederali dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil), risulta stipulato, per parte datoriale, da un’unica organizzazione sindacale, la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia), il che non soddisfa il corrispondente requisito previsto dalla L. n. 31 del 2008, art. 7;

la decisione d’appello si fonda su una corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni sopra richiamate e dei contratti collettivi esaminati e si sottrae pertanto alle censure di violazione di legge mosse dalla società ricorrente;

non possono trovare ingresso in questa sede censure che investono accertamenti in fatto, ad esempio sul grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, sull’oggetto dell’attività di Sicuritalia e sulla coincidenza tra questo e il settore dei contratti collettivi esaminati, e che si collocano al di fuori del vizio di violazione di legge e nell’ambito del vizio motivazionale, nel caso di specie neanche articolato secondo lo schema del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014), applicabile ratione temporis;

tutto ciò premesso, diviene inammissibile la censura relativa alla violazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 6, alle cui previsioni la Corte territoriale ha attribuito una portata puramente aggiuntiva (“peraltro”) di un obbligo già chiaramente e autonomamente delineato alla stregua del predetto contesto normativo; in ogni caso, questa Corte ha anche già statuito circa la “chiara evidenza che il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118 (abrogato dal 19/4/2016) (…) si riferi(sse) sia all’appaltatore che al subappaltatore”(Cass. n. 10851 del 2019, in motivazione, p.p. 11 e ss.);

il quarto motivo di ricorso è anch’esso infondato rilevando la maggiore o minore diffusività del contratto collettivo unicamente quale indice della misura della rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, requisito quest’ultimo espressamente contemplato dalla L. n. 31 del 2008, art. 7, e oggetto, nel caso di specie, di accertamento in fatto della Corte d’appello non sindacabile in questa sede di legittimità;

sul quinto motivo di ricorso, deve anzitutto rilevarsi come nella fattispecie in esame non si faccia questione di deroghe in peius introdotte dal regolamento adottato dalla società cooperativa (cfr. L. n. 142 del 2001, art. 6) bensì di individuazione del trattamento economico utilizzabile quale parametro di una retribuzione proporzionata e sufficiente per i soci lavoratori;

le disposizioni su cui si basa la decisione della Corte di merito, in particolare la L. n. 142 del 2001, art. 3, e la L. n. 31 del 2008, art. 7, dichiarano applicabile ai soci lavoratori di cooperativa il “trattamento economico complessivo” non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva sottoscritta dalle organizzazioni sindacali dotate dei requisiti di maggiore rappresentatività comparativa e l’art. 118, comma 6, cit. impone di “osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore nel settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”;

dal combinato disposto delle norme appena richiamate emerge come il parametro rappresentato dal trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva debba intendersi “complessivo”, quindi inclusivo della retribuzione base e delle altre voci aventi natura retributiva, ed inoltre come tale trattamento rappresenti un limite al di sotto del quale non sia possibile scendere, neanche per effetto di specifiche disposizioni derogatorie contenute nel regolamento cooperativo che, in quanto di minor favore rispetto alla contrattazione collettiva di categoria normativamente assunta a parametro dell’art. 36 Cost., sarebbero nulle;

questa Corte (Cass. n. 17583 del 2014; Cass. n. 19832 del 2013) ha già affermato come “In tema di società cooperative, nel regime dettato dalla L. 3 aprile 2001, n. 142, al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un trattamento economico complessivo (ossia concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, la cui applicabilità, quanto ai minimi contrattuali, non è condizionata dall’entrata in vigore del regolamento previsto dalla L. n. 142 del 2001, art. 6, che destinato a disciplinare, essenzialmente, le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci e ad indicare le norme, anche collettive, applicabili, non può contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle previsioni collettive di categoria”;

non appare fondata la dedotta violazione di legge in materia di lavoro discontinuo, oggetto sempre del quinto motivo di ricorso, non essendo ammissibili in questa sede di legittimità censure sull’accertamento in fatto, compiuto dalla sentenza dell’attività svolta;

il sesto motivo non coglie esattamente il decisum; la Corte territoriale ha osservato come il lavoratore, benchè adibito ad un appalto diverso da quello di A.M.T., in relazione ad un periodo circoscritto del rapporto, avesse continuato a svolgere sempre il medesimo servizio; la sentenza impugnata ha giudicato tale dato (id est: l’identità del contenuto del servizio e non anche la diversa committenza) decisivo ai fini della individuazione del trattamento economico dovuto; l’elemento valutato come significativo è stato, poi, ritenuto provato, in applicazione del principio di non contestazione;

l’argomento su cui si fonda, in parte qua, la decisione imponeva alla ricorrente di modulare diversamente le censure in modo, eventualmente, da incrinare il fondamento giustificativo delle considerazioni svolte dai giudici di merito; come sviluppati, invece, i rilievi non sono riferibili alla statuizione, non guidata dalla regola processuale di cui all’art. 2697 c.c.;

neppure può trovare accoglimento l’ultimo motivo di ricorso;

l’esclusione di una duplicazione di titoli è sorretta da almeno due ragioni, distinte ed autonome (1. per essere stata emessa la diffida accertativa solo nei confronti di Sicuritalia e non anche di A.M.T.; 2. per essere la diffida accertativa dotata di minore stabilità rispetto al titolo esecutivo giudiziale; ad esse, la Corte territoriale aggiunge, poi, la valutazione di un difetto di interesse a far valere la duplicazione di pagamento, in sede di cognizione, potendo Sicuritalia eventualmente dimostrare in sede esecutiva l’adempimento parziale del credito);

le censure investono, in modo specifico, solo la ragione sub 2.;

vale il principio per cui l’omessa impugnazione delle altre rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura stessa che non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza impugnata (ex plurimis: Cass. n. 3386 del 2011; Cass. n. 24540 del 2009; Cass. n. 389 del 2007; Cass. n. 20118 del 2006);

seguono le spese secondo soccombenza in favore della parte controricorrente; nulla deve provvedersi in relazione alla A.M.T. che non ha svolto alcuna attività difensiva;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nei confronti della parte controricorrente, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarre in favore degli avvocati A. Califano, B. Cossu, S. Bomboi;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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