Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4622 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 19/02/2021), n.4622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9098/2019 proposto da:

B.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Petracca Elena, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1004/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere VELLA Paola.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte d’appello di Cagliari ha rigettato l’appello proposto dal cittadino marocchino B.A., nato a (OMISSIS), avverso il diniego del Tribunale di Cagliari di concessione della protezione internazionale o umanitaria, che egli aveva invocato allegando: di aver raggiunto il padre in Libia nel 2008 (a 16 anni), dove aveva lavorato con lui fino al 2010; di essere tornato in Marocco e poi ripartito nel 2012 per la Libia, dove era rimasto (anche dopo la morte del padre, a giugno 2012) fino al 2016, riuscendo a mantenere la famiglia con i proventi del lavoro; di essere partito per l’Italia al precipitare della situazione della Libia; di non voler tornare in Marocco perchè lì non troverebbe un lavoro, mentre in Italia potrebbe sperare in un futuro migliore.

1.1. A fronte dell’appello sulla sola protezione umanitaria (per non essere stata valutata la lunga permanenza in Libia e il fatto di aver trovato lavoro in Italia), la Corte territoriale ha osservato che in realtà il richiedente non appare integrato in Italia, perchè nemmeno comprende la lingua italiana (tanto da risultare necessario un interprete) e che la situazione della Libia non rileva, perchè non è il paese di origine dove verrebbe disposto il rimpatrio (Cass. 9169/2018); ha aggiunto che i motivi di lavoro possono essere valutati solo ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 3 e 4, (visti di ingresso e permessi di soggiorno nei limiti delle quote ammissibili in base ai flussi di ingresso) non già per chi entra irregolarmente in Italia; ha infine rilevato che il richiedente ha lavorato in Marocco, dove vive sua madre, e che non sussiste una sproporzione incolmabile tra i due contesti (Cass. 4455/2018).

2. Avverso detta decisione il sig. B.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

2.1. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

3. Con il primo motivo si lamenta l’omesso esame di fatto decisivo, avuto riguardo sia alla circostanza che la Libia non era un Paese di mero transito (avendovi il ricorrente vissuto, complessivamente, per circa 6 anni), sia all’omessa valutazione della documentazione attinente al lavoro svolto in Italia.

3.1. La censura è inammissibile perchè del tutto generica e formulata in modo difforme dal paradigma di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile ratione temporis), ai cui fini il ricorrente è onerato di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014; conf., ex plurimis, Cass. 27415/2018). In ogni caso la Corte d’appello ha preso in esame i fatti in questione, sia pure valutandoli difformemente da quanto auspicato dal ricorrente.

4. Con il secondo mezzo – rubricato “violazione di legge – L. n. 241 del 1990, art. 3, – contraddittorietà del provvedimento impugnato – eccesso di potere, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 289 del 1998, art. 19, – eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione” – il ricorrente si duole dell’omesso esame del percorso integrativo realizzato in Italia (dove lavora con una busta paga di Euro 1.200,00 al mese) e dell’assenza di una valutazione comparativa tra le condizioni di vita originarie e quelle attuali, osservando che andrebbero valutate le condizioni del Paese di ultima provenienza (nella specie la Libia) piuttosto che di quello di origine.

4.1. Il motivo è affetto da profili di inammissibilità e infondatezza.

5. Innanzitutto occorre ricordare che, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. Sez. U, 33017/2018).

5.1. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata supera sicuramente quella soglia minima.

6. Quanto alla Libia, occorre ricordare che in materia di protezione internazionale “l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine, o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese” (Cass. 31676/2018, 10835/2020).

6.1. Inoltre, questa Corte ha più volte precisato come il fatto che in un paese di transito – come, nella specie, la Libia – si sia consumata una violazione dei diritti umani non comporta di per sè l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, poichè l’accertamento della privazione – per effetto del rimpatrio – della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, va effettuato con riguardo al Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza, non già di un Paese terzo (v. Cass. 4455/2018, 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018).

6.2. Le eventuali violenze subite nel Paese di transito o di temporanea permanenza, in quanto potenzialmente idonee ad incidere, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, sulla condizione di vulnerabilità dello straniero, possono semmai legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari – nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, (convertito con modifiche in L. n. 132 del 2018) applicabile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019), non trovando immediata applicazione in questa sede la nuova disciplina introdotta dal D.L. 22 ottobre 2020, n. 130, convertito con modifiche dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173 (Cass. 28316/2020) – a fronte di specifiche e concrete allegazioni, da valutare caso per caso (Cass. 13096/2019).

7. Le ulteriori rationes decidendi del diniego di protezione umanitaria sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte che richiede il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (Cass. 23778/2019, 1040/2020), escludendo che il relativo diritto possa essere riconosciuto allo straniero solo a fronte del contesto di generale compromissione dei diritti umani nel paese di origine, ovvero considerando isolatamente e astrattamente il suo livello di integrazione in Italia (Cass. Sez.U, 29459/2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).

7.1. Al riguardo si è altresì precisato che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri, finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (Cass. 17072/2018), specie qualora lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa della definizione della sua domanda di protezione internazionale (Corte EDU 8/4/08 Nyianzi c. Regno Unito).

7.2. Infine, non si è ritenuto “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019).

8. In ultima analisi, deve ritenersi “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

9. Nulla sulle spese, in assenza di difese del Ministero intimato. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater (Sez. U, 4315/2020).

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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