Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4619 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4619 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 9461-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

T&C MARCHE SRL;
– intimato –

avverso la sentenza n. 11/2006 della COMM.TRIB.REG. di
ANCONA, depositata il 06/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 26/02/2014

udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI Che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento del ricorso.

Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di processo verbale di constatazione – emesso dalla Guardia di Finanza di Roma in data 22.12.98 l’Ufficio notificava alla Emmegi Bibite s.r.l. (ora T & C
Centro s.r.1.), in data 18.12.00, un avviso di rettifica
ai fini IVA, per l’anno 1995, con il quale l’ Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione l’imposta indes.r.1., ritenute relative ad operazioni soggettivamente
inesistenti.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente
dinanzi alla CTP di Ancona, che accoglieva il ricorso.
2.1. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate alla
CTR delle Marche veniva, del pari, rigettato con sentenza
n. 11/2/06, depositata il 6.2.06. Con tale decisione il
giudice di seconde cure riteneva che la Emmegi Bibite
s.r.l. fosse l’acquirente finale a seguito di “un lungo
percorso”, nel quale si erano alternate operazioni reali
ed operazioni inesistenti, e che – in particolare – il
reale perfezionamento delle operazioni di acquisto di
merce da parte della contribuente, di cui alle fatture in
contestazione, dovesse escludere la sua partecipazione
all’eventuale accordo evasivo posto in essere da terzi.
3. Per la cassazione della sentenza n. 11/2/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia
delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 19 d.P.R. 633/72 e 2697 c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere della ricorrente – nel ritenere che l’operazione di acquisto contestata alla società fosse il momento terminale di un
lungo percorso, e che, in ogni caso, tale acquisto fosse

bitamente detratta su fatture, emesse dalle società Trend

stato – in concreto – effettivamente realizzato, per il
che l’estraneità della contribuente al meccanismo di evasione sarebbe stata definitivamente acquisita agli atti.
L’avere la Emmegi Bibite s.r.l. effettivamente acquistato
le merci oggetto delle fatture contestate, non escluderebbe, invece, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, il carattere fittizio, dal lato soggettivo,
la Emmegi Bibite ed altro soggetto.
1.2. Erroneo sarebbe, inoltre, ad avviso dell’Agenzia
delle Entrate l’ulteriore assunto del giudice di appello,
secondo il quale l’Ufficio avrebbe dovuto effettuare ulteriori indagini atte ad accertare la partecipazione della Emmegi Bibite s.r.l. all’operazione evasiva posta in
essere da terzi. Di contro, ad avviso dell’ Amministrazione, la consapevolezza da parte della contribuente
dell’illiceità di tale operazione sarebbe conclamata dal
rapporto “diretto” di compravendita, intercorso tra la
medesima e le società “cartiere”, del tutto prive di
strutture commerciali idonee a consentire la vendita di
merci, e la cui azione sarebbe stata ispirata dal fine
esclusivo di procurare alla cessionaria un credito di imposta.
1.3. Sicchè, a fronte di tali elementi di carattere indiziario e presuntivo, l’onere di provare la propria estraneità all’illecita operazione ed il carattere reale della
stessa, anche sotto il profilo soggettivo, ai fini
dell’ammissibilità della detrazione di imposta, ricadrebbe – al contrario di quanto affermato dalla CTR – esclusivamente sulla contribuente.
2. Le censure suesposte sono fondate.
2.1. Va osservato, infatti, che, in tema di IVA, la nozione di “fattura inesistente” va riferita non soltanto
all’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata sul piano fattuale, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di “inesistenza soggettiva”, che ricorre quando, pur risultando i beni o il ser-

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dell’operazione di vendita, evidentemente intercorsa tra

vizio reso entrati nella disponibilità patrimoniale
dell’impresa cui le fatture sono rilasciate, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto siano
falsi (Cass. 23074/12, 8132/11).
In siffatta ipotesi, pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, 21, co. 7, e 26, co. 3, del d.P.R.
n. 633/72, è – in linea di principio – precluso al cesil diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta
nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo. Ed infatti, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la
falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata tra altri soggetti
(Cass. 6378/06, 18907/11, 23074/12).
2.2. Ne discende che il committente-cessionario, al quale
sia contestata, sulla base di elementi presuntivi forniti
dall’amministrazione (gravata del relativo onere della
prova), la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto diverso dal cedente-prestatore che ha emesso la
fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta nella sola
ipotesi in cui possa provare, ai sensi dell’art. 2697,
co. 2, c.c., che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta. Il cessionario, in
particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in
via alternativa, di non essersi trovato nella situazione
giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni
pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in
ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso
della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di
non essere stato in grado di abbandonare lo stato di
ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cass.
8132/11, 23074/12).

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sionario dei beni, così come al committente del servizio,

2.3. A tal fine, per le ragioni suesposte, circa l’ effetto di evasione di imposta che comunque si produce in
conseguenza di tale operazione, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce
sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata. E ciò anche in considerazione
del fatto che la provenienza della merce stessa da soguna circostanza indifferente ai fini dell’IVA.
Per un verso, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza,
sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile
dall’acquirente; per altro verso, l’indetraibilità
dell’IVA, nelle operazioni soggettivamente inesistenti, è
ancorabile all’incoerenza dei termini soggettivi
dell’operazione rispetto a quelli della fatturazione
(artt. 19, co. l, e 21, co. 7 e 26, co. 3 del d.P.R.
633/72), cioè alla dirompente alterazione della corretta
sequenza tra operazioni a monte ed operazioni a valle,
costituente il fulcro del disposto di cui all’art. 17
della VI Direttiva IVA, secondo cui il giudice nazionale
deve negare il diritto alla detrazione, se risulta dimostrato che il diritto dell’Unione Europea sia stato invocato in modo fraudolento (Cass. 6229/13; 24426/13; C.
Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02;
C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C-285/11;
C. Giust. 31.1.13, C-642/11).
2.4. Tutto ciò premesso, pertanto, è evidente che, nel
caso di specie, non giova affatto alla contribuente – al
contrario di quanto erroneamente ritenuto dal giudice di
appello – dedurre e comprovare l’avvenuto pagamento delle
fatture e l’effettivo ricevimento della merce, a fronte
di elementi di forte spessore indiziario e presuntivo,
forniti in giudizio dall’ Amministrazione finanziaria, e
consistenti nella totale assenza, presso le società “cartiere”, di strutture e mezzi idonei a consentire loro di
effettuare le forniture oggetto delle fatture in contestazione.

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getto diverso da quello figurante sulle fatture, non è

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2.4.1. Va considerato, infatti, che nell’ipotesi – ricorrente nella specie – di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente, risolventesi – come dianzi detto – nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito
l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata
effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito di
cuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente.
Ed invero, l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore-fatturante – cessionario o committente) – nella specie comprovata dal processo verbale di constatazione induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole di quest’ultimo circa l’avvenuto versamento dell’IVA
a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato
all’obbligo del pagamento dell’imposta. Con la conseguenza che, in siffatta ipotesi – contrariamente a quanto affermato dalla CTR -, sarà il contribuente a dover provare
di non essere a conoscenza della circostanza che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il
fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (cfr. Cass.
6229/13).
2.4.2. Non risultando, per contro, – nel caso concreto acquisita agli atti tale dimostrazione da parte della
contribuente, al di là delle circostanze – di per sé non
significative, in quanto rientranti nel modello stesso
dell’operazione in esame – della ricezione della merce e
del pagamento del relativo prezzo, il diritto alla detrazione di imposta non può, pertanto, considerarsi sussistente.
2.5. Per tutte le considerazioni che precedono, pertanto,
il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere
accolto.
3. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione
dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del pote-

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dotazione personale e strumentale adeguata alla sua ese-

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ESENTE DA XECISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.Y.R. 2.,,4,4198é
N. 131 TAD. ALL. – N. 5
MATERIA TRIBUTARIA

re di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1
c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla
società contribuente.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di
cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della
contribuente; condanna l’intimata al rimborso delle spese
del presente giudizio, che liquida in e 1.050,00, oltre
alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le
parti le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 3.12.2013.

giudizi di merito.

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