Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4618 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/02/2017, (ud. 13/10/2016, dep.22/02/2017),  n. 4618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11829-2014 proposto da:

T.P.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

MANCUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO SUGAMELE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.C. S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE BONDI’, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 289/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 22/04/201 r.g.n. 127/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato SUGAMELE ANTONINO;

udito l’Avvocato ROSSI GUIDO per delega Avvocato BONDI’ GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Palermo con sentenza n. 289-17 gennaio 22 aprile 2013 rigettava il gravame proposto da T.P.G. avverso il rigetto della domanda di quest’ultimo, deciso dal giudice del lavoro di Trapani, relativamente all’impugnato licenziamento per giusta causa, intimato il 27-10-2008 dalla NINO CASTIGLIONE S.r.l..

La Corte palermitana, escludeva ad ogni modo la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 circa l’impiego di telecamere a circuito chiuso, visto quanto riferito in sede testimoniale in ordine al rinvenimento nell’autovettura dell’attore di materiale di proprietà aziendale, quindi consegnato dal T., però a seguito di insistenti richieste rivoltegli in tal senso. Di conseguenza, era vento meno irrimediabilmente il vincolo fiduciario, che giustificava l’immediato recesso, risultando poi irrilevante il fatto che l’addebito integrasse gli estremi del furto tentato o consumato, laddove inoltre l’art. 70 del c.c.n.l. prevedeva tra le ipotesi di giusta causa proprio la sottrazione di documenti aziendali. Nè in proposito assumeva rilievo il valore economico delle cose sottratte. Parimenti era irrilevante la circostanza che il ricorrente fosse adibito a mansioni non particolarmente qualificate, essendo incontestabile la sussistenza di una soglia minima di rilevanza, superata la quale, l’entità e la tipologia delle mansioni svolte non assumevano alcuna significativa importanza.

Contro la suddetta pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione il T. con atto in data 8 maggio 2014, affidato ad un solo motivo, previa impugnativa per revocazione della medesima pronuncia in ordine ad asserito palese errore di fatto, circa la valutazione della portata lesiva dei beni aziendali sottratti. Con provvedimento del 27 giugno 2013 la Corte d’Appello aveva sospeso i termini per proporre ricorso, sino alla definizione del giudizio di revocazione, quindi deciso in senso negativo per il ricorrente, giusta la sentenza n. 250 del 6/17 febbraio 2014, notificata il sei marzo 2014 e passata in giudicato per la sua mancata impugnazione.

La S.r.l. NINO CASTIGLIONE ha resistito al ricorso mediante controricorso, di cui alla richiesta di notifica in data 13-06-14, eccependo altresì l’inammissibilità, sotto vari profili, del ricorso avversario.

Non risultano depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente della Corte in data 14 Settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed unico motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il T. ha dedotto il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, richiamando la mancata contestazione della natura dei beni aziendali sottratti (3 C.D. con software informatici aziendali da tempo inutilizzati per il rilevamento delle presenze del personale – numero di settembre 2008 della rivista “Industrie alimentari” – due numeri del quotidiano di Sicilia ottobre 2008 – 3 fogli contenenti dati per il calcolo IRES e IRAP anno 2006), la palese carenza di proporzionalità della reazione punitiva da parte aziendale, la tesi secondo cui la sottrazione di beni aziendali di modico valore non integra gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo, nonchè la non scarsa importanza del contestato inadempimento ex art. 1455 c.c.. Inoltre, il ricorrente ha sostenuto che le previsioni di giusta causa, contenute nella contrattazione collettiva, non vincolavano il giudice, dovendo questi sempre verificare, attesa l’inderogabilità della disciplina sui licenziamenti, donde la necessaria conformità delle ipotesi contemplate dal c.c.n.l. alla nozione di giusta causa ex art. 2119 c.c. occorrendo altresì verificare in relazione al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità se il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore, salvo il caso in cui il trattamento contrattuale sia più favorevole al lavoratore.

Tali principi, a dire del ricorrente, erano stati disattesi dai giudici di merito aditi. Infatti, nè il Tribunale nè la Corte di appello erano stati esaustivi nell’indicare le ragioni fattuali che avrebbero reso inaffidabile e perciò meritevole di licenziamento il ricorrente.

Era pure mancata idonea considerazione dell’assenza precedenti disciplinari.

Il T., assunto con la qualifica di imp4ato amministrativo, non aveva mai avuto responsabilità nell’ambito del processo produttivo e non aveva mai gestito danaro o beni di ingente valore. Nè era stato considerato l’effettivo valore di mercato dei beni asseritamente sottratti.

Non era poi indifferente la diversità tra reato tentato e reato consumato, ai fini del giudizio di proporzionalità.

La decisione gravata, inoltre, era lacunosa anche laddove non aveva evidenziato e lumeggiato le ragioni che avessero indotto il ricorrente ad impossessarsi dei documenti aziendali sottratti. Pertanto, non poteva credibilmente sostenersi che le anzidette momentanee sottrazioni avessero potuto elidere il rapporto fiduciario, che aveva legato l’azienda ad un suo dipendente, il quale per più di venti anni aveva profuso le sue energie alle dipendenze della stessa.

Orbene, la congerie e la commistione delle anzidette doglianze nell’unico motivo di ricorso, lo rendono comunque inammissibile, soprattutto perchè attinenti a critiche sulle valutazioni e sulle argomentazioni svolte con l’impugnata pronuncia di merito, perciò senza chiaramente individuare il fatto decisivo per il giudizio, il cui omesso esame può unicamente integrare gli estremi del vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tali da poter effettivamente inficiare la sentenza gravata.

Va ricordato, infatti, che nella specie, trattandosi di decisione emessa il 17 gennaio 2013 e pubblicata mediante deposito il successivo 22 aprile 2013, ancorchè il ricorso d’appello fosse stato depositato il 20 gennaio 2012, opera comunque il nuovo testo del cit. art. 360, n. 5, così come da ultimo modificato così sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. La norma, per espressa previsione dell’art. 54, comma 3 D.L. cit.: “si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (avvenuta il 12 agosto 2012)”. Di conseguenza, l’attuale formulazione dell’art. 360, n. 5 non attribuisce alcuna rilevanza processuale al mero difetto o insufficienza di motivazione, a differenza del testo rimasto in vigore sino all’undici agosto 2012 (… omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio).

Deve, pertanto, richiamarsi il condiviso insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 07/04/2014), secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Inoltre, secondo la citata pronuncia delle S.U. n. 8053/14, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come riformulato dalla novella del 2012, ha introdotto nell’Ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. in senso analogo anche Cass. S.U. n. 8054 del 07/04/2014, nonchè Cass. Sez. 6 – 3, n. 21257 – 08/10/2014, secondo cui dopo la riformulazione dell’art. 360, n. 5 cit., l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio previsto dal n. 5) dell’art. 360 presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Similmente, v. ancora Cass. Sez. 6 – 3, n. 23828 del 20/11/2015.

Cfr. pure Cass. lav. n. 14324 del 09/07/2015, secondo cui la censura in sede di legittimità di violazione del principio di immediatezza della contestazione è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, qualora il motivo di ricorso per l’omesso esame di elementi istruttori non si risolva nella prospettazione di un vizio di omesso esame di un fatto decisivo ove il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Cass. lav. n. 21439 del 21/10/2015: nel giudizio di cassazione è precluso l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori, tanto più a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, operata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, che consente il sindacato sulla motivazione limitatamente alla rilevazione dell’omesso esame di un “fatto” decisivo e discusso dalle parti.

Da ultimo, nelle more della pubblicazione di questa sentenza, cfr. altresì Cass. S.U. n. 22398 del 04/11/2016, laddove si è ritenuto che la prospettazione di un vizio di motivazione, giusta il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può riguardare un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie ovvero il travisamento di fatti comunque esaminati nella decisione impugnata).

Nella specie, per contro, il ricorso de quo si riduce in effetti ad apodittiche e generiche affermazioni in punto di fatto, accompagnate dalla citazione di astratti principi di diritto e da alquanto vaghi riferimenti alla contrattazione collettiva di settore; il tutto, per di più, senza neanche adeguata enunciazione delle indicazioni, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 in ordine ai fatti di causa, a fronte invece delle dettagliate risultanze emergenti dalla sola lettura dei motivi della decisione contenuti nella sentenza palermitana riguardo alle circostanze fattuali e alle censure mosse dall’appellante T., ma tutte debitamente esaminate mediante puntuali e pertinenti argomentazioni di segno contrario alle aspettative ed alle attese del ricorrente (laddove tra l’altro si evidenziava anche la circostanza per cui soltanto a seguito di insistenti richieste il lavoratore si fosse deciso al riconsegnare le cose di cui si era impossessato, e come non avesse mai spiegato le ragioni o i motivi di tale sottrazione, ciò che rendeva ancor più nebulosa e anche inquietante l’intera vicenda, rafforzando il ragionevole dubbio di parte datoriale sulla correttezza del futuro adempimento della prestazione da parte del lavoratore).

Correttamente ed in modo senza dubbio di decisivo rilievo, la Corte distrettuale accertava e nel contempo valutava: “… per ciò che attiene alla idoneità dell’addebito a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, le considerazioni svolte da tribunale resistono alle censure prospettate dall’appellante, sol che si abbia riguardo alla circostanza che quest’ultimo si è impossessato di beni di proprietà del datore di lavoro, ponendo in essere, quindi, una condotta di sicura rilevanza penale… fatto…commesso in danno del datore di lavoro… tipizzato come giusta causa di licenziamento dalla contrattazione collettiva…”.

Pertanto, l’assoluta carenza di idonee ed indispensabili allegazioni unitamente alla totale non pertinenza delle doglianze mosse rispetto alla previsione normativa di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 cit. impongono la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del soccombente alle spese, tenuto altresì come per legge al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese, che liquida, a favore della società controricorrente, in Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali ed in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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