Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4618 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 19/02/2021), n.4618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14291/2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Giuseppe Ferrari

n. 11, presso lo studio dell’avvocato Chianello Valentina che lo

rappresenta e difende per procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in Roma Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 495/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal Consigliere Vella Paola.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte d’appello di Brescia ha confermato l’ordinanza con cui il Tribunale di Brescia ha respinto le domande di protezione internazionale e umanitaria proposte dal cittadino bengalese M.A., nato a (OMISSIS), il quale aveva dichiarato: che era di religione musulmano sunnita; che in Bangladesh viveva con i genitori, un fratello e due sorelle; che il padre, proprietario di un magazzino di sale e responsabile di quartiere del partito BNP, era stato assassinato il (OMISSIS) da esponenti del contrapposto partito Aw. Le.; che anche il fratello era stato minacciato ma aveva presenta denuncia il successivo 7 gennaio; che di conseguenza il 20 gennaio la loro casa era stata incendiata, il fratello era morto e lui stesso aveva portato in ospedale la madre e la sorella, rimaste ferite; che a causa delle minacce subite non denunciò il fatto, e anzi a febbraio 2014 fu lui a venire denunciato per tentato omicidio di uno degli appartenenti ad AL; che la polizia parteggiava per quest’ultimo partito ed egli non aveva fiducia nello Stato; che aveva quindi continuato a vivere e studiare lì, cambiando spesso alloggio, ma era ricercato dalla polizia e minacciato telefonicamente da Aw. Le.; che a luglio 2014 decise di partire, prendendo un aereo per la Libia (grazie al fatto che in aeroporto i trafficanti agevolavano i controlli di polizia); che, scoppiata la guerra civile in Libia, era partito per l’Italia; che in caso di rimpatrio temeva non solo di essere ucciso da AL ma anche le rivendicazioni dei creditori che gli avevano prestato settemila Euro per curare la madre, ammalata di asma, e per emigrare.

2. Avverso la decisione di secondo grado il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

3. Con il primo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in quanto, a fronte del notevole sforzo compiuto dal ricorrente per provare i fatti allegati (producendo stato di famiglia, certificato relativo alla qualifica del padre quale leader del BNP, certificato medico relativo alla madre e alla sorella per ustioni e chirurgia ricostruttiva, certificato di morte del padre, mandato di arresto), non vi è stata alcuna cooperazione istruttoria nè alcun approfondimento da parte del giudicante sulle condizioni del Paese di origine.

4. La censura è fondata, poichè la Corte d’appello non ha minimamente valutato – pur dando atto in premessa della loro produzione – i numerosi e significativi documenti prodotti del ricorrente a riscontro della sua narrazione, nè ha acquisito alcuna informazione sulla situazione del Paese di origine (cd. COI).

5. Al riguardo occorre ricordare che, nei giudizi di protezione internazionale, assumono particolare rilievo l’onere probatorio attenuato del richiedente e il dovere di cooperazione officiosa nell’acquisizione e valutazione della prova (artt. 10-16 direttiva 2013/32/UE; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27), con conseguente attenuazione del principio dispositivo in funzione del principio di tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Cass. 11564/2015 e 21255/2013).

5.1. In particolare, l’art. 46 della direttiva 2013/32/UE prevede che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare al richiedente protezione internazionale o sussidiaria un rimedio effettivo dinanzi ad un giudice, attraverso “l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE, quanto meno nei procedimenti di impugnazione del giudice di primo grado”.

5.2. Su tali basi la Corte di giustizia ha affermato che, sebbene “il richiedente sia tenuto a produrre tutti gli elementi necessari a motivare la domanda, spetta tuttavia allo Stato membro interessato cooperare con tale richiedente nel momento della determinazione degli elementi significativi della stessa. Tale obbligo di cooperazione in capo allo Stato membro implica pertanto concretamente che, se, per una qualsivoglia ragione, gli elementi forniti dal richiedente una protezione internazionale non sono esaustivi, attuali o pertinenti, è necessario che lo Stato membro interessato cooperi attivamente con il richiedente, in tale fase della procedura, per consentire di riunire tutti gli elementi atti a sostenere la domanda. Peraltro, uno Stato membro riveste una posizione più adeguata del richiedente per l’accesso a determinati tipi di documenti” (Corte giust. 22 novembre 2012, causa C-277/11, par. 65 s.).

5.3. La stessa Corte EDU, tenuto conto dell’importanza attribuita all’art. 3 della Convenzione “e della natura irreversibile del danno che può essere causato nell’ipotesi di realizzazione del rischio di tortura o maltrattamenti”, rileva che “l’effettività di un ricorso ai sensi dell’art. 13 della Convenzione richiede imperativamente un attento controllo da parte di un’autorità nazionale (…), un esame autonomo e rigoroso di ogni censura secondo la quale vi è motivo di credere a un rischio di trattamento contrario all’art. 3” (Corte EDU, 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, par. 293).

6. Alla luce della riferita giurisprudenza delle Corti Europee, va condiviso l’orientamento di questa Corte che, nel declinare il dovere di cooperazione istruttoria del giudice in materia di protezione internazionale, ha affermato i principi di seguito indicati:

6.1. “D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pone a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti. In particolare, deve ritenersi necessario l’approfondimento istruttorio officioso quando il richiedente descriva una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali: ciò proprio al fine di verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali” (Cass. 11175/2020; cfr. Cass. 17576/2017, 14998/2015);

6.2. “il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto, da parte del richiedente asilo, il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale che evidenzi aspetti contraddittori idonei a metterne in discussione la credibilità, poichè è finalizzato al necessario chiarimento di realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri Paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione. Ne consegue che, in tale fase, prodromica alla decisione di merito, la valutazione di credibilità impeditiva dell’adempimento del detto dovere dovrà limitarsi alle affermazioni circa il Paese di provenienza, venendo meno il menzionato obbligo di cooperazione pure nei casi di evidente contrasto fra le vicende narrate ed i fatti notori riguardanti il Paese in questione, che faccia categoricamente escludere l’esistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14” (Cass. 24010/2020);

6.3. una volta assolto da parte del richiedente l’onere di allegazione (e possibilmente prova) dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, “il giudice è tenuto, in assolvimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, a compiere tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, nonchè ad indicare, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate” – cd. COI, country of origin information – “e il loro aggiornamento, ben potendo il giudice medesimo trarre – non rivestendo l’elencazione delle fonti contenuta nell’art. 8 citato carattere esclusivo – da concorrenti canali di informazione, anche via web, le informazioni sulla situazione del Paese estero, le quali, per la capillarità della loro diffusione e la facile accessibilità da parte dei consociati, vanno considerate alla stregua del fatto notorio” (Cass. 28349/2020; cfr. Cass. 28641/2020, 23999/2020, 13253/2020, 8819/2020, 11096/2019, 19716/2018).

7. L’accoglimento del primo motivo si riverbera anche sul secondo – con cui si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c., per avere la Corte d’appello fondato il diniego di protezione sussidiaria esclusivamente sulla non credibilità del racconto del richiedente – e sul terzo – che indirizza analoga censura al diniego di protezione umanitaria – i quali restano perciò assorbiti.

7.1. Invero, la doverosa acquisizione delle COI, anche alla luce dei documenti prodotti dal ricorrente, potrà consentire una più congrua valutazione dei vari presupposti sia della protezione sussidiaria (essendosi al riguardo la Corte territoriale limitata a rilevare che “la situazione sicuramente conflittuale esistente nel Bangladesh non può essere definita nè di violenza indiscriminata, nè di conflitto armato”) che di quella umanitaria (avendo il giudice d’appello dato atto di “un buon processo di integrazione documentato attraverso il rapporto di lavoro instaurato” ma ritenuti mancanti “altri elementi individualizzati di vulnerabilità”).

8. Per concludere, in accoglimento del primo motivo di ricorso e con effetti sui restanti due, assorbiti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice d’appello in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

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