Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4617 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/02/2017, (ud. 13/10/2016, dep.22/02/2017),  n. 4617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12020/2014 proposto da:

ABARTH & C. S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUCA

ROPOLO, DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato AMEDEO

POMPONIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DANILO GHIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/01/2014 r.g.n. 1128/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato

RAFFAELE DE LUCA TAMAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 22 in data 8/28 gennaio 2014, notificata il sette marzo, rigettava il gravame interposto il 17-10-2013 da ABARTH & C. S.p.a. avverso la decisione di primo grado (emessa dal locale giudice del lavoro il 27-06-2013), che aveva accolto la domanda dell’attore P.C. (dipendente della società, impiegato di VI livello c.c.n.l. industria metalmeccanica, responsabile della gestione di magazzino, presso lo stabilimento sito in (OMISSIS)), dichiarando illegittimo il licenziamento a costui intimato per giusta causa in data 5 ottobre 2011, con tutte le conseguenze ex art. 18 L. n. 300/70(secondo il testo ratione temporis vigente) in ordine ad asserite illecite sottrazioni di prodotti aziendali, per cui era stata emessa anche misura cautelare in sede penale nei confronti del suddetto ricorrente in concorso con altri.

Ad avviso della Corte piemontese non risultava provata, in base alle analitiche considerazioni svolte circa gli elementi indiziari acquisiti, la partecipazione del dipendente ai fatti dei quali era stato incolpato pure in sede disciplinare.

Avverso la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione (richiesta notifica del sei maggio 2014, 60 giorno dalla notifica) la società ABARTH affidato a due motivi, denunciando in sintesi la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) delle norme di legge in tema di prova (artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè art. 2697 c.c.), nonchè criticando la motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nuovo testo) della Corte di merito, in quanto non avrebbe valutato nel loro complesso, unitariamente, gli elementi probatori, ma frammentariamente, atomisticamente ed in modo eccessivamente parcellizzato, a tal uopo deducendo l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti.

Il lavoratore ha resistito all’impugnazione avversaria mediante controricorso.

La società ricorrente in vista della pubblica udienza fissata al 13 ottobre 2016 ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., ed ha inoltre prodotto copia del decreto di citazione a giudizio, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino il 22 luglio 2014 nei confronti tra gli altri anche di P.C., siccome incriminati del reato p. e p. dall’art. 81 c.p., art. 61 c.p., nn. 7 e 11, artt. 110 e 624 c.p., e art. 625 c.p., comma 1, nn. 2 e 5, per i fatti ivi descritti (al capo A della rubrica, unico capo d’imputazione nel quale risulta coinvolto il P.), commessi in Torino in epoca antecedente e prossima all’agosto 2010 sino al 22 marzo 2011 (mentre gli altri reati contestati con il medesimo decreto, dal capo B al capo P, vanno fino al 4 ottobre 2011) in danno di ABARTH S.p.a., dibattimento fissato per l’udienza del 29 maggio 2017 (atto notificato a mezzo p.e.c. ai difensori del controricorrente il sei ottobre 2016).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso che il suddetto decreto di citazione a giudizio, emesso dal pubblico ministero presso il tribunale torinese appare irritualmente depositato, in quanto prodotto in violazione del divieto sancito dall’art. 372 c.p.c. (Non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso… – cfr. altresì Cass. lav. n. 10967 del 09/05/2013, secondo cui nel giudizio di legittimità possono essere prodotti, dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c., e ai sensi dell’art. 372 c.p.c., soltanto i documenti che attengono all’ammissibilità del ricorso e non anche quelli concernenti la allegata fondatezza del medesimo.

V. anche Cass. lav. n. 3894 del 15/06/1981, secondo cui non è consentito produrre nel giudizio di cassazione documenti che non riguardino l’ammissibilità del ricorso o la nullità in senso formale della sentenza impugnata e quindi neppure quei provvedimenti del giudice penale in data posteriore a tale sentenza, intesi a corroborare ex post, con l’esito di un giudizio penale o di una fase o di un grado dello stesso, tanto una censura attinente alla mancata sospensione del giudizio civile di merito, quanto una censura attinente ad un preteso error in iudicando della decisione che lo abbia definito. Conforme Cass. n. 38/1980).

Il ricorso comunque, pure ove anche integrato dall’anzidetta irrituale documentazione, deve ritenersi inammissibile, visto peraltro che la decisione di merito qui impugnata ha tenuto anche conto delle indagini svolte nel procedimento penale, poi compendiate nel succitato decreto di citazione a giudizio (cfr. tra l’altro Cass. I sez. pen. n. 12845 del 27/02 – 04/04/2002, secondo cui il decreto di rinvio a giudizio – pur dopo le modifiche apportate alla disciplina dell’udienza preliminare dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 – non è il risultato di una valutazione positiva dei gravi indizi di colpevolezza tale da precludere sul punto l’esame del giudice “de libertate”, laddove d’altro canto l’inoppugnabilità del decreto che dispone il giudizio renderebbe di fatto irrimediabile, per tutto il corso del giudizio di primo grado, l’errore eventualmente commesso dal giudice nel ritenere sussistente il requisito dei gravi indizi di colpevolezza, con grave disparità di trattamento rispetto al caso dell’imputato il quale sia stato tratto a giudizio con citazione diretta da parte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 550 c.p.p.. In senso analogo, Cass. sez. un. pen. n. 39915 del 30/10 – 26/11/2002, nonchè Cass. 5^ pen. n. 30179/2002 e 2^ pen. n. 18111/2003).

Ed invero con i due motivi, che per la loro connessione ben possono essere congiuntamente esaminati, così come similmente peraltro anche in effetti esposto con il ricorso di cui è processo, la società istante tende in effetti a rivalutare, ma irritualmente in questa sede di legittimità, le medesime circostanze di fatto, che però con ampia e minuziosa argomentazione sono state già insindacabilmente accertate ed apprezzate, quanto alla loro rilevanza probatoria, in senso negativo dai competenti giudici di merito.

Come è noto, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. civ. Sez. 6 – 5, n. 5024 del 28/03/2012. V. altresì in senso conforme Cass. n. 91 del 07/01/2014, secondo cui inoltre il giudice di legittimità non può neanche porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. In senso analogo v. altresì Cass. n. 15489 del 2007 e n. 5024 del 2012).

Nel caso di specie, per di più, non è possibile la denuncia di alcun vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, operando ratione temporis la preclusione da c.d. doppia conforme, di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., inserito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. a), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. La norma, per espressa previsione dell’art. 54, comma 2, D.L. cit., “si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (avvenuta il 12 agosto 2012)”. Infatti, l’impugnata sentenza, risalente al gennaio 2014, nel rigettare il gravame ha confermato la decisione di primo grado in data 27-06-2013, di guisa che il conseguente relativo appello è intervenuto necessariamente in epoca successiva al termine di cui al succitato art. 54.

E’ certo, invece, che nella specie la Corte di merito con ampie argomentazioni ha esaminato analiticamente e specificamente i vari motivi di appello, dedotti dall’attuale ricorrente, giudicandoli infondati alla luce di quanto già parimenti valutato dal Tribunale in primo grado. Basti appena citare quanto correttamente e condivisibilmente osservato dalla Corte distrettuale riguardo al settimo motivo di gravame, con il quale era già stata denunciata l’asserita erronea applicazione dei principi in tema di valutazione della prova unitamente al mancato ricorso a quella presuntiva (cfr. pagg. 33 e 34 della pronuncia d’appello): “Si tratta di un motivo del tutto generico e sostanzialmente immotivato, che meriterebbe la sanzione dell’inammissibilità. Pretende infatti l’appellante di vedere affermata in sede giudiziaria la responsabilità disciplinare del P., sulla base quanto meno di numerosi indizi caratterizzati da innegabile gravità, precisione e concordanza e come tali idonei a fornire (prova) ai sensi del prodotto effetti dell’art. 2729 c.c. (p. 49 ric.so).

Tenta così l’appellante di recuperare ai propri fini la pluralità degli elementi di fatto portati a sostegno delle proprie accuse, pretendendo di utilizzarli, dopo che è stata puntualmente e specificamente smentita la loro valenza probatoria, ai fini della costruzione di una prova presuntiva, fondata essenzialmente sul dato ambientale (per cui in tanti nel magazzino Abarth sono risultati coinvolti nel giro dei furti) e su una sorta di inevitabilità del coinvolgimento del P. stante la sua posizione di responsabile: così superando in maniera alquanto rocambolesca il giudizio a cui si è pervenuti dopo un’accurata istruttoria ed una ancor puntigliosa ricostruzione degli elementi in fatto, e la successiva, prudente valutazione della loro effettiva portata in relazione alle contestazioni mosse. Si tratta di operazione che, soprattutto se messa a confronto con il rigore argomentativo della decisione di primo grado, non può certo trovare qui spazi di accoglimento…”.

Stante l’inammissibilità del ricorso, la società, essendo rimasta soccombente, va condannata alle relative spese ed è, inoltre, tenuta, come per legge, al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso delle spese, che liquida, a favore del controricorrente, in Euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali ed in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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