Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4616 del 09/03/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4616 Anno 2016
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: VELLA PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 2206-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro
PRO MEC SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
COSSERIA 5, presso lo

studio

dell’avvocato LAURA

TRICERRI, rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO
DISO giusta delega a margine;

Data pubblicazione: 09/03/2016

- controrícorrente –

avverso la sentenza n. 81/2008 della

f gi

COmM.TRIB.REG.

116t46/1A AlutTi

TR1f, depositata il 10/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/09/2015 dal Consigliere Dott.

PAOLA

udito per il ricorrente l’Avvocato

CASELLI

che ha

chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DISO che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.

TOMMASO BASILE

rigetto del ricorso.

che ha concluso per il

VELLA;

RITENUTO IN FATTO
L’Agenzia delle entrate notificava alla società “PRO-MEC s.r.l.” tre atti di
contestazione di violazione degli artt. 17 e 25, D.Lgs. n. 241/97, per indebita
compensazione, negli anni di imposta 1999, 2000 e 2001, tra i crediti Iva
trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche ed i debiti afferenti altri tributi,
oltre il limite previsto di cinquecento milioni delle vecchie lire (elevato ad un
miliardo per l’anno 2001 dall’art. 34, L. n. 388/00), con irrogazione delle
corrispondenti sanzioni ex art. 13, D.Lgs. n. 241/97.

in via principale l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 6, D.Lgs.
n. 472/97 – in ragione delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e
sull’ambito applicativo delle norme interessate – ed in subordine l’annullamento
degli atti di irrogazione delle sanzioni, in quanto gli artt. 17 e 25 del D.Lgs. n.
241/97 (quest’ultimo come modificato dall’art. 34 della L. n. 388/00) non
avevano mai contemplato “limiti differenziati tra i rimborsi Iva infra annuali e le
compensazioni inerenti i crediti trimestrali Iva derivanti dalle liquidazioni
periodiche”, mentre con la Risoluzione n. 218 del 5.12.2003 l’amministrazione
sembrava voler escludere la soggezione dei crediti trimestrali derivanti da
liquidazioni periodiche Iva ai limiti fissati dal predetto art. 25 solo in caso di
richiesta a rimborso, e non anche di utilizzo in compensazione, come avvenuto
nel caso di specie.
Il giudice di prime cure, riuniti i ricorsi della contribuente, li respingeva,
ritenendo la disciplina in questione “molto semplice e chiara”, anche alla luce dei
chiarimenti e delle istruzioni emanate dall’amministrazione finanziaria.
Nell’appellare la decisione, la società ribadiva la correttezza del proprio
operato, essendo possibile, in ragione della natura del credito Iva trimestrale,
maturato quale esportatore abituale, ex art. 30, comma 3, lett. b), D.P.R. n.
633/72, ottenere ai sensi del successivo art. 38-bis il rimborso in relazione a
periodi inferiori all’anno solare (trimestrali), in deroga alla regola vigente per la
generalità dei contribuenti Iva. Alle originarie conclusioni aggiungeva, in via
ulteriormente gradata, la richiesta di riforma della decisione ai sensi del
combinato disposto degli artt. 6, D.Lgs. n. 472/97 e 10, comma 2, L. n. 212/00,
per essersi essa conformata alle indicazioni contenute nella Risoluzione n. 218
del 2003, per quanto poi modificata con un comunicato stampa del 20.7.2004.
La C.T.R. del Friuli Venezia Giulia accoglieva l’appello in ragione della
“deroga al sistema della compensazione apportata, con formula non del tutto
chiara, dal comma 3 dell’art. 8 DPR 542/99 secondo cui il contribuente potrebbe
compensare, a prescindere da qualsiasi altro limite generale, il credito
trimestrale Iva per un ammontare massimo corrispondente all’eccedenza
ud. 30 settembre 2015

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La contribuente impugnava gli avvisi dinanzi alla C.T.P. di Udine, chiedendo

detraibile del trimestre di riferimento”, non essendo inequivocabile l’esistenza o
meno di “limiti differenziati tra i rimborsi Iva infra annuali e le compensazioni
inerenti i crediti trimestrali Iva derivanti dalle liquidazioni periodiche”. Di qui
l’applicazione dell’esimente di cui agli artt. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/97 e 10,
comma 3, L. n. 212/00, nonché, per l’anno 2001, anche dell’esimente di cui al
comma 5-bis del citato art. 6, introdotto dall’art. 7, D.Lgs. n. 32/01, con
riguardo alla esclusione della punibilità delle violazioni che non arrechino
pregiudizio all’esercizio dell’azione di controllo e non incidano sulla

tributo, nonostante l’Ufficio avesse lamentato l’esistenza del c.d. danno di cassa,
consistente nella sottrazione di liquidità a seguito dell’indebita compensazione, in
luogo del rimborso.
Per la cassazione della sentenza d’appello n. 81/01/08, depositata il
10.11.20008, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui
la società intimata ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta la «nullità
della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 57
del D. Lgs. n. 546/1992, in relazione all’articolo 360 n. 4) cod. proc. civ.».
1.1. Formula a tal fine il seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Corte di
Cassazione se sia nulla, per violazione dell’articolo 57 del D. Lgs. n. 546/1992, la
sentenza di secondo grado che, come nel caso di quella della Commissione
Tributaria Regionale di Trieste, abbia deciso la causa di appello in relazione a
questione (la ricomprensione della Società contribuente nell’ambito dell’art. 38bis, comma 2, del D.P.R. n. 633/1962, ed il suo conseguente assoggettamento ai
limiti di compensabilità di crediti IVA con debiti tributari di diversa natura di cui
all’articolo 8 del D.P.R. n. 542/1999) non dedotta tra i motivi di ricorso di primo
grado, ed introdotta solo con l’atto di appello».
1.2. Il motivo è inammissibile, per genericità e difetto di autosufficienza.
1.3. Invero l’amministrazione finanziaria, che evidentemente non aveva
sollevato la relativa eccezione nel secondo grado di giudizio (ove si era limitata
ad eccepire l’inammissibilità del ricorso per mancanza di sottoscrizione del
difensore, come si legge nella sentenza impugnata), evoca in questa sede la
rilevabilità d’ufficio della inammissibilità, ex art. 57, D.Lgs. n. 546/92, di quella
che definisce “domanda nuova”, ma che in realtà descrive come “questione”
asseritamene proposta dalla contribuente, per la prima volta, con l’atto di
appello – laddove avrebbe “fatto presente di essere nelle condizioni di
esportatore abituale ai sensi dell’articolo 38-bis, comma 2, del D.P.R. n.
633/1972, e quindi di poter usufruire dei limiti di compensabilità (in tesi più
ud. 30 settembre 2015

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determinazione di base imponibile ed imposta, nonché sul versamento del

ampi) assicurati dall’articolo 8 del D.P.R. n. 542/1999” – senza tuttavia fare
alcuno specifico riferimento ai contenuti del ricorso proposto dalla PRO-MEC s.r.l.
in primo grado, in modo da consentire a questa Corte l’invocato controllo da cui
dovrebbe discendere l’invocata declaratoria di nullità della sentenza impugnata,
e dell’intero procedimento.
1.4. Peraltro, dalla lettura della stessa sentenza gravata risulta chiaramente
che l’oggetto del giudizio verteva proprio sulla possibilità di escludere, dai limiti
quantitativi fissati dagli artt. 17 e 25 del D.Lgs. n. 241/97, nonché dall’art. 38

dalle liquidazioni periodiche, e non solo i rimborsi Iva infrannuali previsti dall’art.
38-bis, comma 2, D.P.R. n. 633/72, il quale, nella stesura vigente
temporis,

ratione

prevedeva che “il contribuente può ottenere il rimborso in relazione a

periodi inferiori all’anno, prestando le garanzie indicate nel comma precedente,
nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) del terzo comma dell’articolo 30”, dunque
con chiaro riferimento anche al caso – pacificamente ricorrente nella fattispecie
concreta – dell’esportatore abituale, quale contribuente che “effettua operazioni
non imponibili di cui agli articoli 8, 8-bis e 9 per un ammontare superiore al 25
per cento dell’ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate” (lett. b).
1.5. Non pare dunque si sia trattato di vera e propria “domanda nuova”,
bensì – semmai – di una più chiara esplicitazione dei presupposti di fatto sottesi
alla domanda fatta valere in prime cure, restando perciò confermato il
consolidato principio per cui, “in tema di contenzioso tributario, si ha violazione
dell’art. 57, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, quando il
contribuente, nell’atto di appello, introduce, al fine di ottenere l’eliminazione – o
la riduzione delle conseguenze – dell’atto impugnato, una causa petendi diversa,
fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicché risulti
inserito nel processo un nuovo tema di indagine (Cass. n. 10864/2005, n.
4335/2002).
2. Il secondo mezzo contiene la censura di «violazione e falsa applicazione
degli articoli 17 e 25 del D. Lgs. n. 241/1997, dell’articolo 38 (rectius 34) della
Legge n. 388/2000, dell’articolo 8 del D.P.R. n. 542/1999, dell’articolo 6 del D.
Lgs. n. 472/1997 e dell’articolo 10 della Legge n. 212/2000, in relazione
all’articolo 360 n. 3) cod. proc. civ.».
2.1. Questo il correlato quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione
se il combinato disposto dell’articolo 17 del D. Lgs. n. 241/1997 (come integrato
dall’articolo 25 del medesimo del D. Lgs. n. 241/1997 e, a partire dal 2001,
dall’articolo 38 (rectius 34) della legge n. 388/2000) e dell’articolo 8 del D.P.R.
n. 542/1999 vada interpretato nel senso che è possibile effettuare la
compensazione di cui all’anzidetto articolo 17 nei limiti dell’ammontare massimo
ud. 30 settembre 2015

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della L. n. 388/00, anche le compensazioni inerenti i crediti trimestrali derivanti

corrispondente all’eccedenza di imposta detraibile risultante dalla liquidazione
periodica del trimestre di riferimento, senza computare l’eventuale credito
riportato dal periodo precedente; e se conseguentemente la questione relativa al
rapporto tra le due disposizioni normative dianzi richiamate sia o meno
connotata da oggettiva incertezza interpretativa ai sensi degli articoli 6 del D.
Lgs, n, 472/1998 e 10 della legge n. 212/2000; ed in definitiva, se abbia o
meno violato tutte le ripetute norme di legge il giudice di merito (come la
Commissione Tributaria Regionale di Trieste nel caso di specie) che abbia escluso

effettuato, negli anni d’imposta 1999, 2000 e 2001, la compensazione di tributi
di cui all’anzidetto articolo 17 del D. Lgs. n. 241/1997 oltre i limiti previsti dalla
legge».
2.2. Il motivo presenta profili di dubbia ammissibilità e di infondatezza.
2.3. Nella prima parte, il quesito sembra non cogliere pienamente

la ratio

decidendi della sentenza impugnata, incentrata non tanto sul principio per cui, ai
sensi del combinato disposto degli artt. 17 e 25 del D.Lgs. n. 241/97, 34 della L.
n. 388/00, ed 8 del D.P.R. n. 542/99, sarebbe possibile effettuare la
compensazione “nei limiti dell’ammontare massimo corrispondente all’eccedenza
di imposta detraibile risultante dalla liquidazione periodica del trimestre di
riferimento, senza computare l’eventuale credito riportato dal periodo
precedente”, quanto sul rilievo che la disposizione derogatoria – non del tutto
chiara – di cui all’art. 8, comma 3, D.P.R. n. 542/99, sembrerebbe consentire al
contribuente di “compensare il credito trimestrale Iva per un ammontare
massimo corrispondente all’eccedenza detraibile del trimestre di riferimento”,
anche “a prescindere da qualsiasi altro limite generale”.
2.4. Condivisibilmente il giudice d’appello ha perciò ritenuto che il combinato
disposto delle norme sopra citate “non è chiaro se preveda o meno limiti
differenziati tra i rimborsi infra annuali e le compensazioni inerenti i crediti
trimestrali Iva derivanti dalle liquidazioni periodiche”.
2.5. Invero, l’articolo 8 del D.P.R. n. 542/1999 – la cui rubrica accomuna,
significativamente, “Rimborsi e compensazioni di eccedenze di crediti IVA” -,
prevedeva al terzo comma (nel testo vigente

ratione temporis)

che “i

contribuenti in possesso dei requisiti richiamati dal secondo comma dell’articolo
38-bis del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, per la
richiesta di rimborsi d’Imposta relativi a periodi inferiori all’anno possono, in
alternativa, effettuare la compensazione prevista dall’articolo 17, del decreto
legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per l’ammontare massimo corrispondente
all’eccedenza detraibile del trimestre di riferimento”.

ud. 30 settembre 2015

2206/10 N.R.G.

l’applicabilità delle sanzioni in capo ad una Società contribuente che ha

2.6. A sua volta, l’art. 34 della legge n. 388/00 (“Disposizioni in materia di
compensazione e versamenti diretti”) prevedeva che “a decorrere dal

10 gennaio

2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai
sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero
rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo per
ciascun anno solare”, anche qui contemplando, in un unico contesto, le due
ipotesi del rimborso e della compensazione di crediti Iva.
2.7. Ebbene, con apposito “Comunicato stampa” del 20 luglio 2004,

delle Entrate – Ufficio Relazioni Esterne, ebbe ad affermare: “In relazione ad
alcuni dubbi manifestati dalla stampa specializzata sulla possibilità, per i
contribuenti che hanno i requisiti per richiedere il rimborso trimestrale dei crediti
Iva, di utilizzare i medesimi in compensazione, senza tener conto del limite
annuo di 516.456,90 euro previsto dall’art. 25 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241,
come modificato dall’art. 34, comma 1, della L. 23 dicembre 2000, n. 388,
l’Agenzia delle Entrate precisa che detto limite si applica, indistintamente, a tutti
i crediti relativi alle imposte annotate sul conto fiscale, mentre non esistono limiti
per i rimborsi disposti dagli uffici (cfr. circolare 22 luglio 1994, n. 119, in
premessa al prg. 10). Con la risoluzione 5 dicembre 2003 n. 218/E, è stato
precisato che i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche Iva, non
sono soggetti al limite imposto dal menzionato art. 25 solo se richiesti a
rimborso e non anche nell’ipotesi in cui siano utilizzati in compensazione. I
rimborsi infrannuali, infatti, sono disposti direttamente dagli uffici competenti e
non dal concessionario della riscossione”.
2.8. In effetti, con la Risoluzione n. 218/E del 5 dicembre 2003, l’Agenzia
delle Entrate aveva sostenuto, tra l’altro, che “le disposizioni contenute nel
menzionato art. 17 prevedono che i contribuenti possono compensare i crediti di
imposte e contributi con i relativi debiti, a decorrere dal giorno successivo a
quello in cui si è chiuso il periodo in cui si è formato il credito ed entro un
determinato limite annuo. In particolare, per effetto delle disposizioni contenute
nell’art. 34, comma 1, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (che ha modificato il
limite previsto dall’art. 25 del D.Lgs. n. 241 del 1997), a decorrere dal 1°
gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi
compensabili ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241,
ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1
miliardo (516.456,90 euro) per ciascun anno solare”, aggiungendo però – e così
ingenerando il dubbio interpretativo qui in discussione, poi chiarito con il
comunicato stampa del 2004 – che “non concorrono alla determinazione di
questo limite i crediti d’imposta derivanti da agevolazioni o incentivi fiscali, per
ud. 30 settembre 2015

2206/10 N.R,G.

intitolato “Precisazioni su compensazione dei crediti trimestrali IVA”, l’Agenzia

i quali esiste una copertura di legge, i crediti trimestrali derivanti dalle
liquidazioni periodiche Iva, i crediti compensati con debiti della stessa imposta
(sebbene compensati nel modello F24)”.
2.9. Alla luce di quanto precede, il Collegio ritiene corretta la valutazione del
giudice d’appello circa la sussistenza di “obbiettive condizioni di incertezza” ai
sensi degli artt. 6, comma 2, D. Lgs. n. 472/97 e 10, comma 3, L. n. 212/00,
ossia una c.d. incertezza normativa oggettiva, la quale assurge a causa di
esenzione del contribuente dalle sanzioni amministrative previste per violazioni

contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia
l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento
d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a
quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di
interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori
giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma
al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di
accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione”; con la
specificazione che “tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione
di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza
del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti
proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito”
(Cass. n. 4394/2014, n. 24670/2007).
3. Con il terzo motivo si deduce, infine, la «nullità della sentenza e del
procedimento per violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., in relazione
all’articolo 360 n. 4) cod. proc. civ.».
3.1. Il quesito di diritto recita: «Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se sia
nulla la sentenza che, come quella della Commissione Tributaria Regionale di
Trieste nel caso di specie, abbia ritenuto applicabile a Società contribuente che
abbia effettuato, per l’anno 2001, compensazione di tributi di cui all’articolo 17
del D. Lgs. n. 241/1997 oltre i limiti previsti dalla legge, la causa di non
punibilità di cui all’art. 6, comma 5-bis, del D. Lgs. n. 472/1997 (comma
introdotto con D. Lgs. n. 32/2001), e conseguentemente escluso l’applicabilità
delle relative sanzioni».
3.2. Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
3.3. Esso difetta invero di decisività, in quanto diretto a censurare una ratio
decidendi meramente aggiuntiva, in quanto espressa dal giudice d’appello ad
abundantiam, e peraltro con riferimento alla sola annualità 2001. Inoltre, la
formulazione del quesito non rispecchia fedelmente il contenuto del motivo,
incentrato sulla violazione del principio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., per
ud. 30 settembre 2015

2206/10 N.R.G.

di norme tributarie laddove integri una “condizione di inevitabile incertezza sul

essersi il giudice di secondo grado pronunciato su una “questione giammai
dedotta dalla Società contribuente nel ricorso di primo grado”, ove era stato
richiamato solo il comma 2, e non anche il comma 5-bis, del D. Lgs. n. 472/97
(aggiunto dal D.Lgs. n. 32 del 2001), a norma del quale “Non sono … punibili
violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non
incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul
versamento del tributo”.
3.4. In ogni caso, sul merito del motivo valga il richiamo all’orientamento già

violazione di norme tributarie, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art.
3, che ha esteso il principio del favor rei anche al settore tributario, sancendone
l’applicazione retroattiva, le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute
debbono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e
quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento
sanzionatorio non sia divenuto definitivo: pertanto, qualora, essendo in
contestazione l’an della violazione tributaria, sussista ancora controversia sulla
debenza delle sanzioni, s’impone l’applicazione del più favorevole regime
sanzionatorio sopravvenuto” (Cass. n. 23564/2012, n. 8243/2008).
4. In conclusione, il ricorso va respinto ed in base al principio di
soccombenza la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il
secondo e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in C 7.500,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre accessori
di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 settembre 2015.

espresso da questa Corte, per cui “in tema di sanzioni amministrative per

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