Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4612 del 28/02/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2018, (ud. 08/02/2018, dep.28/02/2018),  n. 4612

Fatto

p. 1. Il comune di Rudiano notificava, il 6.10.2006, alla sign. P.M.A. sei avvisi di accertamento per il recupero di maggiore imposta comunale sugli immobili di sua proprietà relativamente agli anni dal 2002 al 2007 per un importo di Euro 3.633,85.

La contribuente proponeva ricorso avverso i detti avvisi che veniva parzialmente accolto dalla CTP di Brescia, accogliendo i motivi di impugnazione per anni dal 2002 al 2004.

La contribuente impugnava la sentenza dinanzi alla CTR di Milano.

In data 21.03.2011, la CTR dichiarava l’interruzione del processo per l’intervenuto decesso dell’appellante.

Il 14.10.2011 R.R., dichiaratasi nipote della de cuius, riassumeva il giudizio e ne chiedeva la trattazione.

In seguito alla di un testamento olografo della defunta ricorrente originaria, con il quale nominava eredi i nipoti per parte del coniuge premorto, il difensore della contribuente chiedeva nuovamente l’interruzione del processo.

La CTR non interrompeva il giudizio e dichiarava l’estinzione del giudizio.

Avverso la sentenza n. 138/67/12, depositata il 14.05.2012, gli eredi testamentari della sign. P. proponevano ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

L’amministrazione comunale non si è costituita.

Diritto

Con unico motivo, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 40, comma 1, lett. A) e art. 43 e della L. 1969 n. 742 per avere i giudici di appello dichiarato l’estinzione del processo in difetto del presupposto legale della inattività delle parti.

Sostengono, in particolare, i ricorrenti che R.R., ritenendosi erede legittima, aveva tempestivamente riassunto il giudizio il 14.10.2011 e dunque nel termine semestrale, tenuto conto del periodo di sospensione dei termini processuali, il che impediva la declaratoria di estinzione del giudizio.

Secondo i contribuenti, inoltre, i giudici di appello non potevano dichiarare l’estinzione del giudizio neppure con riferimento alla inattività degli eredi testamentari, in quanto pur essendo gli eredi legittimati alla riassunzione, nei loro confronti il termine semestrale per provvedere a tale adempimento non era ancora decorso al momento della declaratoria di estinzione del giudizio, atteso che l’inattività dei soggetti deve essere valutata con riferimento alla “possibilità” di conoscere “di dover esercitare le facoltà da cui sarebbero decaduti”.

Secondo la tesi della difesa dei contribuenti, la C.T.R. della Lombardia avrebbe dovuto dichiarare l’interruzione del processo, come invocato dal Dr. F. G., a fronte della notizia della scoperta di un testamento olografo in favore di eredi diversi dalla sign. R., consentendo loro di riassumere il giudizio nel termine prescritto dalla legge. Sostenevano ancora, che l’estinzione era stata dichiarata, in data 14.05.2012, prima del decorso del termine semestrale dalla scoperta del testamento olografo pubblicato il 24.01.2012 – che li istituiva eredi.

Il motivo è fondato.

Gli eredi testamentari, portatori effettivi della legitimatio ad causam, disponevano del termine semestrale il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 43, per la riassunzione del giudizio interrotto o sospeso, termine decorrente dalla data di pubblicazione del testamento olografo (24.01.2012), con la conseguenza che alla data in cui i giudici di appello hanno dichiarato l’estinzione del giudizio, non era ancora decorso il termine semestrale per riassumere il giudizio.

Il dies a quo non poteva che decorrere dalla data di conoscenza dell’evento che attribuiva loro la legittimazione ad agire in giudizio e il potere di chiedere la rimessione in termini per riassumere il giudizio (in seguito al decesso dell’originaria ricorrente).

Alla luce della normativa disciplinante l’istituto della interruzione processuale, risulta evidente che gli eredi testamentari avrebbero potuto essere rimessi in termini per riassumere il giudizio (interrotto a causa del decesso di P.A.M.), nel termine semestrale dalla data di conoscenza della acquisizione della qualità di erede.

Conforta tale tesi la funzione dell’atto di riassunzione che è quella di proseguire il giudizio, mettendo gli interessati in condizione di venire a conoscenza della lite e di svolgervi le proprie difese.

Del resto, in caso di riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva deve essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti o in favore dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta – o conoscibile con l’ordinaria diligenza – alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc: Cass. 2014 n. 21227; Cass. civ. Sez. 3, 4 marzo 2002 n. 3102; Cass. civ. Sez. 1, 12 settembre 2008 n. 23543, sentenze riferite alle ipotesi di riassunzione nei confronti del presunto erede).

Tuttavia, la legitimatio ad causam, in quanto condizione dell’azione, ben può sopravvenire nel corso del giudizio, essendo necessario e sufficiente che ricorra al momento della decisione (Cass. 2011 n. 6183).

Ne consegue che – perduta la R. la qualità di erede, a seguito della pubblicazione del testamento olografo – il difensore degli eredi testamentari avrebbe potuto richiedere la rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c., per riassumere il giudizio nel termine semestrale dalla pubblicazione del testamento, facoltà negata dalla sentenza di estinzione del giudizio emessa prima del decorso del termine predetto.

Al riguardo, peraltro, l’istanza di interruzione del processo avanzata dal difensore della R., che era altresì anche uno degli eredi testamentari, deve ritenersi anche quale implicita richiesta di rimessione in termini (Cass. 2010/578).

L’istituto di cui all’art. 184 bis c.p.c. (ora art. 153 c.p.c.) – che va letto alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo (cfr. Cass. nn. 14627, 17704 e 22245 del 2010, 98 del 2011, che prendono le mosse da sez. un., 14 gennaio 2008, n. 627) – è senz’altro applicabile anche al rito tributario, alla luce dei principi costituzionali che vi presiedono, nell’ottica della tutela delle garanzie difensive e dell’attuazione del giusto processo, operando sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali “interni” al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l’impugnazione dei provvedimenti sostanziali che sono oggetto delle tutele processuali concesse(ex plurimus: Cass. 2014 n. 8715).

La sentenza va dunque cassata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 8 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018

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