Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4610 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 4610 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: BALSAMO MILENA

ORDINANZA
sul ricorso 5618-2012 proposto da:
COMUNE DI AREZZO, elettivamente domiciliato in ROMA
CORSO VITTORIO EMANUELE 18, presso lo STUDIO GREZ E
ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato
STEFANO PASQUINI;
– ricorrente contro
INPDAP – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I
DIPENDENTI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA
29, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
FIORENTINO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro

Data pubblicazione: 28/02/2018

ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE – INPS;
– intimato avverso la sentenza n. 22/2011 della COMM.TRIB.REG. di
FIRENZE, depositata 1’11/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

BALSAMO.

consiglio del 08/02/2018 dal Consigliere Dott. MILENA

I’

Ritenuto che:
§2.1.

Nel 2007 il comune di Arezzo emetteva nel 2007 avviso di

accertamento per insufficienti versamenti, risultanti dal raffronto tra quanto
dichiarato e quanto versato in autotassazione.
In seguito, emetteva l’atto di accertamento in rettifica dell’atto nel quale il
Comune di Arezzo riscontrava errori nella indicazione di dati catastali di alcuni

la sede legale dell’ente sita in via Signorelli sub 2 e 4.
Nel 2009, l’amministrazione comunale provvedeva alla rettifica in relazione
alla infedeltà della denuncia relativa all’immobile di via Leoni per il quale non
riconosceva l’esenzione.
L’I.N.P.D.A.P.

istituto

Nazionale

della

previdenza

dipendenti

amministrazione pubblica – impugnava detti atti dinanzi alla CTP di Arezzo che
respingeva il ricorso.
L’INPDAP impugnava la sentenza dinanzi alla CTR di Firenze che accoglieva
l’appello.
Avverso la sentenza n. 22/25/11 depositata 1’11.03.2011, interponeva
ricorso per cassazione l’amministrazione comunale.
La contribuente si è costituita con memoria, eccependo la violazione del
principio di autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c. e la violazione dell’art.
360 bis c.p.c. denunciando l’omessa individuazione dei motivi del ricorso per
cassazione.

Considerato che:
Come requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi rilevano,
anzitutto, se mancano.
Lo esplicita chiaramente il disposto dell’art. 375 n. 1 c.p.c. che, nel testo
sostituito dall’art. 47 L. n. 69/2009, considera la mancanza dei motivi previsti
dall’art. 360 c.p.c. come ipotesi di inammissibilità del ricorso.
Identico riferimento era contenuto nel testo originario della norma citata, in
cui figurava nel primo comma, dando luogo (con una certa contraddizione
rispetto al n. 4 dell’art. 366 c.p.c.) al rigetto del ricorso.
i

immobili, senza variare la pretesa impositiva e senza riconoscere l’esenzione per

A seguito della riforma di cui al d.lgs n. 40 del 2006, la previsione si è
trasferita nel n. 5 dell’art. 375 c.p.c. e per la prima volta è stata considerata
come ipotesi di inammissibilità del ricorso.
Le ipotesi accomunate sotto il medesimo concetto sono costituite dalla
mancanza formale dei motivi, quale il ricorso che non contenga cartaceamente i
motivi (v. Cass. n. 1666 del 2004), dal ricorso che non contenga alcuna

riconducibilità del motivo ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., dall’ipotesi in cui i motivi
non risultino pertinenti alla motivazione della sentenza impugnata ( Cass. n. 359
del 2005; Cass. n. 17125 del 2007).
Il requisito dell’esposizione di motivi di impugnazione, stabilito, a pena di
inammissibilità, dall’art. 375 cod. proc. civ. mira ad assicurare che il ricorso
presenti l’autonomia necessaria a consentire, senza il sussidio di altre fonti,
l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere.
In particolare, le Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 17931/2013,
hanno affermato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure
espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc.
civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata
ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla
citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o
l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Siffatto modo di articolare la censura nei confronti della decisione impugnata
(nel difetto di qualsivoglia coordinamento con le fattispecie di vizio
tassativamente previste dall’art.360 cpc e nella confusione indistinta di una serie
di doglianze vaghe e appena accennate) non è rispettoso del sistema processuale
vigente, in relazione alla formula prevista per il ricorso per cassazione, così come
inveratasi nella norma dell’art.360 cpc.
A tal proposito, basta qui richiamare il noto principio giurisprudenziale
secondo cui:” il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato
e vincolato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, anche prima della
riforma introdotta con il d.11gs. n. 40 del 2006, assume una funzione identificativa
condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative
2

esposizione di motivi riconducibili all’ambito dell’art. 360 c.p.c., dall’apparente

di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività
e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione,
di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura
enucleate dal codice di rito” (tra le molte. Cass. n. 18202 del 2008; Cass. n.
13537 del 2017).
Risultano pertanto inammissibili sia i ricorsi in cui i motivi, senza precisare

un mero rinvio alle allegazioni difensive contenute negli atti del giudizio di
merito, sia i ricorsi contenenti le medesime difese svolte nel giudizio di merito,
finalizzate ad ottenere un riesame del merito della controversia, come
configurabile nel caso di specie (v. Cass. 2004 n.13071).
Il ricorso proposto dal comune di Arezzo è privo dei motivi riconducibili al
disposto dell’art. 360 c.p.c. e ripropone le difese svolte nei giudizi di merito a
fondamento degli atti di accertamento dallo stesso emanati e dell’omesso
riconoscimento dell’esenzione, omettendo di censurare la pronuncia di appello
sotto i profili di cui alla norma codicistica citata e pertanto è inammissibile.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come
in dispositivo.

La Corte
Dichiara inammissibile il ricorso;
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute
dall’Agenzia che liquida in euro 1500,00, oltre rimborso forfettario, iva e c.p.a.

Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data

8.02.2018

direttamente le ragioni delle censure proposte, esauriscano detta illustrazione in

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