Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4610 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 25/02/2010), n.4610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato

PELLICANO’ ANTONINO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta mandato in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 59/2006 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 31/01/2006 r.g.n. 831/01;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato PELLICANO’ ANTONINO;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA per delega VINCENZO TRIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 24.1/13.1.2006 la Corte di appello di Reggio Calabria, pronunciando sull’appello proposto da R.G. avverso la sentenza del Giudice del lavoro di Palmi in data 7.11.2000, in parziale riforma della stessa, condannava l’INPS al pagamento in favore delle controparte di due terzi delle spese processuali di primo grado, liquidate in complessivi Euro 169,00 (di cui Euro 10,00 per esborsi, Euro 55,00 per diritti di procuratore e Euro 104,00 per onorario di avvocato), dichiarando interamente compensate quelle del giudizio di appello.

Osservava la corte territoriale che il primo giudice non aveva tenuto conto delle voci tariffarie indicate nelle nota spese prodotta dall’appellante ed allegata ai relativi fascicoli e che aveva, altresì, liquidato gli onorari difensivi in violazione dei minimi di tariffa, per cui per tal parte l’appello risultava meritevole di accoglimento, ma che, nondimeno, considerando la facile trattazione della causa e l’identità delle questioni di diritto controverse (adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola), i diritti e gli onorari dovevano riconoscersi in misura inferiore al minimo, per come previsto dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso R.G. con quattro motivi, illustrati con memoria L’INPS ha depositato delega difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, nonchè vizio di motivazione.

In particolare osserva che la sentenza impugnata aveva fatto applicazione della norma del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, senza fornire alcuna effettiva giustificazione dei relativi presupposti applicativi (avendo adottato una motivazione apparente e, peraltro, contraddittoria, per non potersi considerare la causa in questione di facile trattazione, in relazione alle questioni giuridiche coinvolte) e senza tener conto che la stessa non avrebbe, in ogni caso, potuto determinare anche la riduzione dei diritti di procuratore, nè la decisione prescindere da quanto previsto nell’art. 4 della tariffa approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, dal momento che, se quest’ultima consente, in presenza di una manifesta sproporzione fra prestazione professionale e compenso e del parere del competente Consiglio dell’Ordine, la liquidazione degli onorari al di sotto dei minimi, a tale disposizione non era stato assegnato alcun rilievo da parte della corte territoriale, non rinvenendosi, nella sentenza impugnata, alcun riferimento a tali requisiti.

Rileva, quindi, che il giudice a quo – operata la riduzione ai sensi del citato R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, – aveva liquidato i diritti di procuratore, gli onorari di avvocato e gli esborsi in maniera forfettaria e globale ed a prescindere dal valore della causa, con conseguente violazione dei minimi tariffari (L. n. 794 del 1942, art. 24).

Con il terzo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la ricorrente lamenta la mancata decisione del capo di impugnazione relativo alla (parziale) compensazione delle spese del primo grado del giudizio, avendo la corte reggina erroneamente ritenuto che la questione fosse stata prospettata solo con le note illustrative, laddove, invece, con l’atto di impugnazione, era stata richiesta l’integrale riforma della statuizione sulla regolamentazione delle spese, che erano state compensate dal primo giudice senza alcuna effettiva motivazione.

Con il quarto motivo, infine, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 92 c.p.c., la ricorrente si duole della compensazione delle spese dei giudizio di appello, operata dalla corte di merito pur nell’assenza di alcuna motivata ragione in tal senso.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e rivelano la fondatezza di alcuni dei profili evidenziati della ricorrente alla stregua dell’orientamento consolidato espresso da questa Corte in analoghe controversie (cfr., ex pluribus, Cass. 21 novembre 2008, n. 27804).

Va premesso che il mancato rispetto dei minimi risulta dalla stessa sentenza impugnata, che proprio a tal fine ha fatto applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5, (cfr. Cass. 7 settembre 2007, n. 18829).

Quest’ultima disposizione, per come già affermato da questa Suprema Corte, non può ritenersi implicitamente abrogata dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4, che, nel prevedere la riduzione dei minimi tariffari per le controversie di particolare semplicità, dispone che la riduzione degli onorari non possa superare il limite della metà;

tale disposizione, invero, non sostituisce, ma integra, la previsione contenuta nel R.D. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5, indicando il limite massimo della riduzione degli onorari (cfr., con riguardo al collegamento fra le due disposizioni, Cass. 26 ottobre 1974, n. 3179, nonchè Cass. n. 27804 del 2008, cit). Orbene, l’art. 60 in esame, nel disciplinare la liquidazione degli onorari, stabilisce che quando la causa risulta di facile trattazione il giudice può attribuire l’onorario in misura inferiore al minimo e, in tal caso, la decisione deve essere motivata. L’esame della norma ha consentito alla giurisprudenza di questa Corte l’affermazione di due principi, ognuno distintamente violato dalla sentenza qui impugnata.

Anzitutto, poichè la regola posta dalla disposizione in esame è limitativa del diritto della parte al rimborso delle spese processuali sostenute per l’affermazione del proprio diritto (cfr.

art. 24 Cost. e art. 91 c.p.c.), deve ritenersi che la facoltà di scendere al di sotto dei minimi sia limitata alla sola voce, espressamente menzionata, dell’onorario (v., a superamento di un risalente indirizzo, Cass. 18 giugno 2007, n. 14070; Cass. 20 giugno 2007, n. 14311; Cass. 7 settembre 2007, n. 18829).

In secondo luogo, il giudice ha l’obbligo di motivare espressamente la sua decisione, con riferimento alle circostanze di fatto del processo, e non può, per converso, limitarsi ad una pedissequa enunciazione del criterio legale (v. Cass. 9 giugno 2006, n. 13478, nonchè le successive sopra citate), ovvero alla mera aggiunta di un elemento estrinseco, meramente indicativo, quale la identità delle questioni (v., in particolare, Cass. n. 14311 del 2007, cit.).

Nè potrebbe sostenersi che il menzionato obbligo di motivazione sia venuto meno per effetto della disposizione, sopra richiamata, di cui alla L. n. 724 del 1942, art. 4, poichè questa, come s’è visto, integra la previsione di riduzione degli onorari contenuta nell’art. 60, in esame, e dunque presuppone che tale riduzione sia stata motivata (cfr. Cass. n. 27804 del 2008).

Va aggiunto, poi, che la sentenza impugnata è erronea anche per avere proceduto alla liquidazione delle spese – una volta operata la riduzione – in modo forfettario e globale, senza procedere alla necessaria determinazione del valore della controversia.

Infondato, invece, è il richiamo all’onere di allegazione del parere del Consiglio dell’ordine atteso che – come da consolidata giurisprudenza di questa Corte – tale allegazione, prevista dal D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 4, si riferisce alla liquidazione delle spese a carico del cliente, e non si estende alla liquidazione delle spese a carico del soccombente nel giudizio e ad opera del giudice (v. Cass. 23 marzo 2004, n. 5802, nonchè le già citate Cass. n. 14070, 14311 e 18829 del 2007).

In relazione ai profili sopra evidenziati, dunque, la sentenza impugnata merita di essere censurata, con il conseguente accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso per quanto di ragione e l’assorbimento del quarto relativo alla compensazione delle spese del giudizio d’appello.

Va, invece, rigettato il terzo motivo, risultando dallo stesso ricorso che la ricorrente ha richiesto la riforma della sentenza di primo grado relativamente ” al capo concernente le spese poste a carico del convenuto, in ordine alla loro effettiva liquidazione, rideterminando i diritti di procuratore e l’onorario di avvocato alla stregua della nota spese allegata…in subordine … per come … di giustizia, sempre in osservanza della tariffa vigente …” e, quindi, con esclusivo riferimento ai criteri determinativi delle spese, e non anche a quelli che presiedono al loro carico.

Trattandosi, all’evidenza, di questioni distinte nei presupposti fattuali e legali e che abbisognano, pertanto, in conformità alla necessaria specificità che deve rivestire l’atto di impugnazione, di puntuale ed autonoma individuazione e censura.

La sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, che procederà a rideterminare le spese del giudizio di primo grado, nonchè a statuire su quelle del secondo grado di giudizio, attenendosi al seguente principio di diritto: “Il R.D. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5, – disposizione non sostituita, ma solo integrata, da quella contenuta nella L. n. 794 del 1942, art. 4 – consente al giudice di scendere sotto i limiti minimi fissati dalle tariffe professionali quando la causa risulti di facile trattazione, sebbene limitatamente alla sola voce dell’onorario e non anche a quelle dei diritti e delle spese, cui non fa riferimento detta norma, e sempre che sia adottata espressa ed adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di fatto del processo, non limitata, pertanto, ad una pedissequa enunciazione del criterio legale; la riduzione dei minimi previsti dalla tariffa per gli onorari, in ogni caso, non può superare il limite della metà, ai sensi della L. n. 724 del 1942 cit., art. 4, nè esime il giudice – una volta operata la riduzione – dall’obbligo di procedere alla liquidazione tenendo conto del valore della controversia”.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di Cassazione, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed secondo motivo del ricorso nei sensi di cui in motivazione; rigetta il terzo; dichiara assorbito il quarto;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

 

 

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