Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4610 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27624-2019 proposto da:

B.M., A.W.O., M.G., R.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FURFARI GIOVANNI;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARLA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, SFERRAZZA

MAURO, TRIOLO VINCENZO, STUMPO VINCENZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 125 pubblicata il 19.3.2019 la Corte d’appello di Brescia ha respinto l’appello di A.W.O., B.M., M.G., R.R., confermando la decisione di primo grado, di rigetto della domanda di condanna dell’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, al pagamento del T.F.R. maturato dai predetti per il lavoro svolto alle dipendenze della società Sicurezza srl;

2. la Corte territoriale ha dato atto del fallimento della società datoriale in data 6.5.2014 e della chiusura della procedura senza l’avvio della fase di verifica dello stato passivo, ai sensi dell’art. 102 L. Fall., in ragione della insufficienza dell’attivo;

3. ha tuttavia rilevato come l’intervento del Fondo fosse stato richiesto in assenza di un titolo esecutivo che accertasse il diritto di credito dei predetti nei confronti del datore di lavoro; ha sottolineato come gli appellanti ben avrebbero potuto, negli anni intercorsi tra la cessazione del rapporto (2012) e la dichiarazione di fallimento (2014) oppure nell’intervallo tra la chiusura del fallimento e la cancellazione della società dal registro delle imprese, ottenere un decreto ingiuntivo per il pagamento del TFR;

4. avverso tale sentenza A.W.O., B.M., M.G., R.R. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso l’Inps;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

6. con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 2, e dell’art. 102 L. Fall., anche in relazione all’art. 12 preleggi e alla direttiva 987/80;

7. il motivo è infondato, alla luce dei principi affermati da questa Corte (v. Cass. 1886 del 2020 e precedenti ivi richiamati) ed a cui si intende dare continuità;

8. da tempo questa Corte ha posto il principio secondo cui, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore assicurato che pretenda il pagamento del TFR da parte del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS, ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2, ha l’onere di dimostrare che è stata emessa la sentenza dichiarativa del fallimento e che il suo credito è stato ammesso nello stato passivo, ovvero, qualora l’ammissione del credito nello stato passivo sia stata resa impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo intervenuta dopo la proposizione, da parte sua, della domanda di insinuazione, ma prima dell’udienza fissata per l’esame della domanda suddetta, di procedere preventivamente ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato in bonis a seguito della chiusura del fallimento, L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, (Cass. nn. 11945 e 13305 del 2007);

9. tali principi sono stati ribaditi anche nell’ipotesi in cui l’esame della domanda (tardiva) di insinuazione sia stata impedita dalla previa chiusura del fallimento per insufficienza di attivo (Cass. n. 7877 del 2015) e poggiano sull’esame complessivo della disposizione di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, da cui emerge chiaramente che il legislatore ha ancorato l’intervento del Fondo alla ricorrenza di due distinte ed alternative ipotesi: da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2 e ss.); dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il previo esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro stesso (art. 2, comma 5);

10. così ricostruito il sistema, del tutto correttamente la Corte di merito ha ritenuto che la previsione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, dovesse trovare applicazione anche nel caso di specie, in cui il giudice fallimentare, essendo emerso che non poteva essere acquisito attivo alcuno da distribuire ai creditori, ha disposto con decreto la chiusura del fallimento del datore di lavoro dell’odierno ricorrente prima ancora dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo: è sufficiente al riguardo rilevare che, comportando la chiusura del fallimento il ritorno del datore di lavoro in bonis, ben poteva l’odierno ricorrente procurarsi un titolo esecutivo e promuovere la conseguente azione esecutiva nei confronti della società, ovvero, a seguito della sua cancellazione, nei confronti dei soci, i quali avrebbero risposto dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (così Cass. S.U. n. 6070 del 2013);

11. si deve piuttosto aggiungere che, in casi del genere, il previo esperimento di un’azione volta a conseguire un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente, lungi dal costituire un onere inutile e inutilmente dispendioso, costituisce piuttosto un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacchè, da un punto di vista sistematico, l’accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all’ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro;

12. il ricorso, pertanto, va rigettato;

13. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

14. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

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