Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4609 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4609 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 15775-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

FOSCHI SIMONE IMPRESA INDIVIDUALE;
– intimato –

sul ricorso 16321-2007 proposto da:
FOSCHI SIMONE Impresa individuale nella persona del
titolare, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

Data pubblicazione: 26/02/2014

RUFFINI 2-A, presso lo studio dell’avvocato RACCUGLIA
TOMMASO, che lo rappresenta e difende giusta delega
in calce;
;

– ricorrente contro

ECONOMIA E FINANZE;
– intimati –

sul ricorso 20420-2007 proposto da:
FOSCHI SIMONE Impresa individuale nella persona del
titolare, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
RUFFINI 2-A, presso lo studio dell’avvocato RACCUGLIA
TOMMASO, che lo rappresenta e difende giusta delega
in calce;
– controricorrente con ricorso incidentale contro

AGENZIA DELLE ENTRATE CENTRALE DI ROMA;
– intimato –

avverso la sentenza n. 19/2006 della COMM.TRIB.REG.
di BOLOGNA, depositata il 12/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il n. r.g. 15775/07 e 20420/07 ricorrente
l’Avvocato DE STEFANO che si rimette alla decisione
del Collegio relativamente all’istanza di rinvio agli

AGENZIA DELLE ENTRATE CENTRALE DI ROMA, MINISTERO

atti su cui insiste, per il resto chiede accoglimento
del ricorso principale, rigetto incidentale, salvo
applicazione

novella

del

2012

sulla

deducibilità dei costi per imposte dirette;
udito per il controricorrente l’Avvocato LO GIUDICE
delega Avvocato RACCUGLIA che si associa alla
richiesta di rinvio a nuovo ruolo, salvo applicazione
della novella del 2012;
udito per il n. r.g. 16321/07 ricorrente l’Avvocato
LO GIUDICE delega Avvocato RACCUGLIA che chiede un
rinvio breve della causa;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per la
riunione dei ricorsi n.3 e 4 (15775/07-20420/07 e
16321/07), inammissibile il ricorso diretto contro
Ministero Economia e Finanze, accoglimento per quanto
di ragione ricorso Agenzia delle Entrate, assorbiti
motivi 1,2,3,4, del ricorso Eurotrade-Foschi c/ sent.
19/11/2006, rigetto altri motivi di detto ricorso,
inammissibile ricorso incidentale (rinvio a nuovo
ruolo), accoglimento motivi 2,3 e assorbito il 7 ° del
ricorso Eurotrade-Foschi c/ sent. 17/01/2008;

,

della

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di processo verbale di constatazione emesso
dalla Guardia di Finanza di Forlì il 29.4.02, venivano
notificati, in data 23.9.02, a Foschi Simone – nella sua
qualità di titolare della ditta individuale Euro Trade
Italia – due avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio
ai fini IRPEF ed IVA, per gli anni di imposta 1998 e
ziaria recuperava a tassazione ingenti somme corrispondenti a costi ritenuti indeducibili, ai fini delle imposte sui redditi, ed indetraibili ai fini IVA, poiché risultanti da fatture considerate inerenti ad operazioni
oggettivamente o soggettivamente inesistenti.
1.1. L’amministrazione contestava, in sostanza, al Foschi
di avere operato come “collettore” di aziende cd. “cartiere”, poiché prive dei requisiti minimi per svolgere
un’attività commerciale, nell’ambito di un’operazione
complessiva diretta a fare effettuare alla merce – ceduta
dall’originaria venditrice Olidata s.r.l. ad aziende
estere, che a loro volta la vendevano a società cartiere,
le quali la cedevano, infine, al Foschi – più passaggi,
difficilmente verificabili, in modo da consentire a ciascuna ditta partecipante alla frode di fruire della detrazione dell’IVA su operazioni in realtà inesistenti.
2. Gli avvisi di accertamento venivano, quindi, impugnati
dal contribuente dinanzi alla CTP di Forlì, che accoglieva parzialmente il ricorso. La CTR dell’Emilia Romagna,
adita in sede di gravame da entrambe le parti, con sentenza n. 19/11/06, depositata il 12.4.06, respingeva sia
l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate,
che l’appello incidentale del contribuente, compensando
le spese del giudizio.
2.1. Il giudice di seconde cure riteneva, invero, in relazione al gravame dell’Ufficio, che l’accertata partecipazione del Foschi all’evasione ai fini IVA, mediante
l’utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti, non comportasse, di necessità, l’indeducibilità
dei relativi costi ai fini delle imposte dirette.

1999. Con tali atti impositivi, l’ Amministrazione finan-

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2.2. Per contro, la CTR riteneva, in relazione all’ appello incidentale del contribuente, di dovere confermare
la

statuizione

del

primo

giudice,

quanto

all’indetraibilità del credito IVA derivante
dall’utilizzazione delle fatture concernenti le operazioni suindicate.
3. Per la cassazione della sentenza n. 19/11/06 ha propo26.5.07 ed iscritto a ruolo al n. 15775/07 – articolando
quattro motivi. Il contribuente ha replicato con controricorso contenente, altresì, ricorso incidentale – notificato all’ Amministrazione ricorrente in data 6.7.07 ed
iscritto a ruolo al n. 20420/07 – affidato ad otto motivi.
4. Con distinto ricorso, identico al gravame incidentale
suindicato – notificato all’Agenzia delle Entrate in data
25.5.07, ossia prima della notifica del predetto ricorso
incidentale, ed iscritto a ruolo al n. 16321/07 – Foschi
Simone aveva, peraltro, già impugnato in via autonoma la
medesima sentenza di appello, articolando otto motivi. L’
Amministrazione finanziaria non si costituiva in questo
secondo giudizio.
5. Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378
c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via pregiudiziale, vanno riuniti ai sensi dell’art.
335 c.p.c., trattandosi di ricorsi proposti avverso la
medesima sentenza, il ricorso principale dell’Agenzia
delle Entrate, iscritto a ruolo al n. 15775/07, il ricorso incidentale proposto da Foschi Simone, iscritto a ruolo al n. 20420/07, nonchè l’autonomo ricorso proposto dal
contribuente, iscritto a ruolo al n. 16321/07.
2. Ancora in via pregiudiziale, va dichiarata l’ inammissibilità del ricorso incidentale proposto dal Foschi (n.
20420/07), in replica al ricorso principale dell’Agenzia
delle Entrate (n. 15775/07). Essendo stato, infatti, il
ricorso principale del contribuente (n. 16321/07) – identico all’altro – notificato ed iscritto a ruolo in data

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sto ricorso l’Agenzia delle Entrate – notificato il

precedente a quella del ricorso incidentale, il gravame
proposto per primo, poiché ammissibile e procedibile,
rende inammissibile, in via sopravvenuta, il secondo, in
relazione al quale viene, difatti, a mancare un interesse
concreto alla relativa pronuncia (cfr. Cass. 27555/11).
3. Tutto ciò premesso, osserva la Corte che, tra i due
ricorsi principali, proposti rispettivamente dall’Agenzia
carattere di priorità logico-giuridica quest’ultimo, poiché involgente questioni relative ai presupposti legali
degli atti impositivi, che – a parere del contribuente andrebbero annullati in radice per una serie di ragioni,
laddove il ricorso dell’Amministrazione finanziaria si
incentra solo su taluni specifici aspetti della vicenda
processuale che, ad avviso della ricorrente, non sarebbero stati correttamente risolti dal giudice di appello.
Di conseguenza, va esaminato preliminarmente il ricorso
del contribuente, riservando all’esito l’esame del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.
4. Ciò posto, va osservato che con il primo, secondo,
terzo e quinto motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – Foschi Simone denuncia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 21, co. 7 del d.P.R. 633/72, 2 e 19 del
d.lgs. 546/92, l c.p.p., in relazione all’art. 360 n. 5
c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente o contradditoria
motivazione su un fatto decisivo della controversia, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
4.1. Si duole, invero, il ricorrente del fatto che la
CTR, una volta accertato che le operazioni di trasferimento delle merci e di pagamento dei relativi corrispettivi erano oggettivamente esistenti, non si sia limitata
ad annullare gli avvisi di accertamento impugnati dal
contribuente, per difetto dei presupposti legali, ma abbia posto a suo carico il 50% della maggiore imposta accertata come dovuta. Il tutto, peraltro, senza indicare
in motivazione i presupposti per tale liquidazione del
preteso pregiudizio per l’Erario.

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delle Entrate e da Foschi Simone, riveste, senza dubbio,

4.2. La CTR avrebbe, inoltre, errato – superando, ad avviso del contribuente, i limiti della giurisdizione conferitale dalla legge – nel procedere all’accertamento ed
alla valutazione di elementi di presunta colpevolezza a
carico del contribuente, concretatisi nella ritenuta consapevolezza, in capo al medesimo, del meccanismo evasivo
posto in essere. Per contro, la pendenza di un processo
ricorrente – indurre l’organo giudicante tributario a sospendere il processo, in attesa della definizione del
giudizio penale, senza inoltrarsi in giudizi e valutazioni non di sua competenza.
4.3. Le censure sono infondate.
4.3.1. Va rilevato, infatti, che la CTR, sebbene abbia
accertato che almeno una parte degli acquisti di merce da
parte del Foschi erano effettivamente avvenuti, ha – tuttavia – concluso per la finalizzazione di tali acquisiti
al compimento di una complessiva operazione evasiva, della quale l’odierno ricorrente non poteva non essere a conoscenza; e tanto sulla scorta di una serie di elementi
indiziari e presuntivi, la cui disamina sarà operata in
sede di trattazione degli altri motivi di ricorso proposti dal Foschi. E tale conclusione del giudice di appello, a giudizio della Corte, si palesa del tutto immune da
vizi logici e giudici.
Ed invero, va rilevato che – a fronte di operazioni accertate come soggettivamente inesistenti dal giudice di
merito – le circostanze della ricezione della merce e
dell’effettuato pagamento del corrispettivo sono perfettamente coerenti con il modello di evasione costituito
dalle operazioni in parola (Cass. 17377/09; 23074/12),
nel quale la cessione o la prestazione del servizio vengono effettivamente poste in essere, ma tra soggetti diversi dagli apparenti contraenti. Senza dire che, almeno
per le operazioni rientranti nel secondo sistema – tra
quelli che la CTR, sulla scorta del processo verbale di
constatazione, ha elencato in sentenza -, in quanto consistenti in passaggi solo cartolari della merce da

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penale per gli stessi fatti avrebbe dovuto – a parere del

un’azienda all’altra, deve ritenersi mancante addirittura
la cessione nella sua materialità.
4.3.2. Non può ritenersi, pertanto, errata l’impugnata
decisione, nella parte in cui, ritenendo posta in essere,
con riferimento all’IVA, un’operazione di evasione, non
abbia annullato gli avvisi di accertamento

in toto,

ma

limitatamente alle sole imposte dirette, ritenute deducila scorta della ritenuta sussistenza oggettiva degli acquisti, costituenti – a parere della CTR – costi effettivi per l’impresa, ancorchè ricompresi in un’operazione in
frode al fisco. Va, per vero, rilevato al riguardo che in coerenza con la natura del processo tributario, annoverabile, secondo il costante insegnamento di questa Corte, tra i processi di impugnazione-merito, in quanto non
è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente che
dell’accertamento dell’Ufficio (cfr.,

ex plurimis,

Cass.15825/06; 13034/12; 6918/13) – il giudice di appello, una volta accertata la partecipazione del Foschi
all’evasione ai fini IVA, mediante l’utilizzazione di
fatture relative ad operazioni inesistenti, non avrebbe
potuto non porre a carico del contribuente le conseguenze
negative di tale illecita condotta.
A prescindere, infatti, dalla correttezza dell’ impostazione seguita dal giudice di appello in relazione alle
imposte dirette – il cui esame esula dal ricorso del contribuente, vittorioso sul punto – è di tutta evidenza che
l’accertata finalizzazione dell’utilizzo delle fatture in
discussione al compimento di un’operazione di evasione,
in relazione all’IVA, non poteva comportare un mero annullamento degli atti impositivi, ma imponeva all’Ufficio
il recupero a tassazione dell’imposta non versata. Ciò
che appare errato – come in prosieguo si vedrà – è, semmai, la misura di tale recupero, ingiustificatamente limitato al 50% della maggiore imposta accertata, laddove
l’illecito in parola incide in radice – come si dirà –

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bili – al contrario di quanto opinato dall’Ufficio – sul-

sul diritto alla detrazione, illegittimamente esercitato
dal contribuente nel caso concreto.
4.3.3. Alla stregua di quanto fin qui osservato, pertanto, è di tutta evidenza che nell’operato del giudice di
appello non può ravvisarsi violazione alcuna dei limiti
della giurisdizione del giudice tributario, per avere la
CTR valutato la consapevolezza del Foschi di partecipare
circa il compimento di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti postula, invero, soprattutto in
caso di operazioni poste in essere da una pluralità di
soggetti, il positivo riscontro anche dell’elemento soggettivo, consistente nella cosciente volontà del soggetto
passivo dell’accertamento di arrecare un proprio contributo alla condotta evasiva posta in essere da terzi
(cfr., tra le più recenti, Cass. 23074/12; 23560/12;
6229/13).
4.3.4. Né rileva affatto, contrariamente all’assunto del
ricorrente, la pendenza del giudizio penale per i medesimi fatti, posto che – per il carattere non vincolante del
giudicato penale nel processo tributario, affermato da un
indirizzo del tutto pacifico di questa Corte (cfr., tra
le tante, Cass. 19786/11; 8129/12; 4924/13) – non sussiste obbligo alcuno per il giudice tributario di disporre
la sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., del giudizio dinanzi a sé pendente, in attesa della definizione
del processo penale instaurato nei confronti del contribuente per la medesima vicenda (Cass. 4924/13).
4.3.5. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto,
motivi di ricorso suesposti devono essere rigettati.
5. Con il quarto e sesto motivo di ricorso – che, per la
loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente il Foschi denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
5.1. La CTR – ad avviso del ricorrente – non avrebbe fornito, invero, alcuna motivazione sufficiente circa il
fatto, decisivo ai fini della risoluzione della controversia, relativo alla conoscenza, da parte del Foschi,

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ad un’operazione di evasione di imposta. L’accertamento

della natura di cd. cartiere – poiché svolgenti il ruolo
esclusivo di emettere fatture per operazioni commerciali
non realmente poste in essere – delle società con le quali il medesimo aveva posto in essere acquisti di merce
nelle annualità di imposta in contestazione. La non ignoranza, in capo al contribuente, di contribuire al compimento di una vasta operazione di evasione dell’IVA sarebsforniti di un’idonea valenza probatoria, anche perché
contrastati da elementi di prova di segno contrario, offerti in giudizio dal ricorrente.
5.2. Le censure sono infondate.
5.2.1. Va osservato, infatti, che, in materia di IVA, la
fattura è documento idoneo a rappresentare un costo
dell’impresa, comprensivo dell’incidenza dell’ imposta in
parola sul prezzo di acquisto dei beni, attesa la disciplina del suo contenuto di cui all’art. 21 d.P.R. 633/72.
Ed, in tali limiti, essa può certamente costituire una
prova a favore dell’imprenditore o del professionista,
nei rapporti con il fisco.
Ben si intende, allora, che in ipotesi di fatture che
l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente,
o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che – ancorchè effettivamente poste in essere – si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco,
l’Amministrazione stessa ha l’onere di provare che
l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che
figurano nella fattura, o che tale documento sottende
un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe. E non può revocarsi in dubbio che tale prova possa
essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, l’art. 54, co. 2, del d.P.R. n.
633/72 (analoga previsione è contenuta, per le imposte
dirette, nell’art. 39, co. 1, lett. d del d.P.R. n.
917/86) (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla
possibilità che l’amministrazione produca elementi anche
indiziari,

a sostegno della pretesa fiscale azionata;

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be, difatti, fondata – a parere del Foschi – su elementi

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Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; nello
stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust.,
21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust.
6.12.12, C-285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11).
5.2.2. Ora, è di tutta evidenza che – nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti – è escluso in radice
che possa configurarsi la buona fede del cessionario o
ra di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente
ricevuta o meno).
5.2.3. Principi più articolati trovano applicazione in
relazione al caso in cui l’Amministrazione contesti al
contribuente di avere adoperato, ai fini della detrazione
dell’IVA, fatture solo soggettivamente inesistenti, ovverosia che la fattura sia stata emessa da un soggetto
diverso dall’affettivo fornitore del bene o prestatore
del servizio.
5.2.3.1. A tal riguardo, la Corte europea ha, da ultimo,
ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità
commesse dall’emittente della fattura, o a monte
dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare, alla luce di
elementi oggettivi ed alla stregua dei principi
sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza,
peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al
fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi)
alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o
avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva
nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C.
Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).
5.2.3.2. Nel medesimo ordine di idee, questa Corte – in
decisioni recenti – ha rilevato, al riguardo, che la prova, fornita dall’Amministrazione, che la prestazione non
è stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfor-

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committente, il quale sa bene se una determinata fornitu-

nito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per
sé, per la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento
sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente. L’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore fatturante – cessionario o committente) induce, invero,
ragionevolmente ad escludere in via presuntiva – a fronte
dell’attività economica – l’ignoranza incolpevole del
cessionario o committente circa l’avvenuto versamento
dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. In tal
caso, sarà – di conseguenza – il contribuente a dover
provare, in applicazione di principi ordinari sull’onere
della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697
c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il
fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass. 6229/13).
5.2.3.3. Ed infatti, come questa Corte ha più volte affermato, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente – come nel caso di specie – l’indebita detrazione
di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti,
e fornisca attendibili riscontri indiziari sull’ inesistenza delle operazioni fatturate, ricade sul contribuente medesimo l’onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione, altrimenti non operabile. Il cessionario,
in particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in
via alternativa, di non essersi trovato nella situazione
giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni
pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in
ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso
della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di
non essere stato in grado di abbandonare lo stato di
ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cass.
8132/11, 23074/12).

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di una conclamata inidoneità allo svolgimento

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5.2.3.4.. A tal fine, per le ragioni suesposte, non è tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA
compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di
circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. 17377/09; 230744/12). E
della regolarità formale delle scritture o le evidenze
contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del
tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr. Cass. 1950/07, 12802/11).
5.3. Tutto ciò premesso in via di principio, va osservato
che, nel caso di specie, l’impugnata sentenza – il cui
impianto motivazionale si palesa, in verità, immune dalle
pretese incongruenze logico-giuridiche denunciate dal ricorrente – ha evidenziato con chiarezza gli elementi di
prova presuntiva offerti dall’Amministrazione, sulla
scorta del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, a sostegno della ritenuta inesistenza oggettiva delle operazioni documentate dalle fatture in contestazione.
5.3.1. Siffatti elementi, la cui pregnanza sul piano probatorio è di assoluta evidenza, sono stati individuati
dall’impugnata sentenza:
l) nell’esposizione dettagliata di ben quattro sistemi di
frode – desunti dalle risultanze del processo verbale di
constatazione, costituente una fonte di prova che il giudice di merito è tenuto a valutare (Cass. 4306/10) – nei
quali il Foschi risultava essere stato sempre parte integrante;
2) nell’aumento vertiginoso ed improvviso degli affari
del Foschi in breve tempo;
3) nei rapporti commerciali intrattenuti con Montanari
Sergio, pregiudicato per frodi fiscali, del quale il Foschi era stato anche dipendente;
4) nella massiccia presenza di aziende cartiere tra i
fornitori diretti del Foschi, elemento questo – come so-

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tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione

pra rilevato – di particolare significanza sul piano probatorio;
5) nei copiosi riscontri contenuti nel pvc e nelle c.t.u.
disposte in giudizio.
5.3.2. D’altro canto, la prova, a carico dell’ Amministrazione, circa la conoscenza della frode da parte del
contribuente – come si è in precedenza osservato – ben
dimostrandosi che, al momento in cui pagò l’imposta che
successivamente intese portare in detrazione, il contribuente disponeva di elementi tali da porre sull’avviso
qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto (Cass.
23560/12).
5.3.3. Ebbene, a fronte di tali elementi indiziari e presuntivi offerti dall’Amministrazione finanziaria, a parte
un’apodittica contestazione della loro valenza probatoria, nessun elemento di prova concreto di segno contrario
ha fornito il contribuente, al di là delle circostanze come detto, non significative – dell’avvenuta ricezione e
del pagamento della merce.
Né va tralasciato di rilevare in proposito che, quanto
meno per il secondo sistema di frode al fisco – come in
precedenza accennato – manca addirittura l’operazione
nella sua struttura materiale, trattandosi di passaggi di
merce fittizi, intercorsi tra una società italiana, che
cedeva la merce ad una società sammarinese, la quale a
sua volta la rivendeva a società cartiere, che la cedeva,
poi, a Foschi Simone, il quale la rivendeva nuovamente
alla cedente originaria. Si trattava, in realtà, di passaggi solo cartolari dei beni, che finivano per ritornare
alla venditrice originaria, finalizzati a creare i presupposti per la creazione di crediti IVA indebitamente
detratti, laddove in siffatta ipotesi – com’è del tutto
evidente – il diritto alla detrazione di imposta andava
escluso in radice.
5.4. Per tutti i motivi esposti, pertanto, le censure in
esame non possono che essere disattese.

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può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici,

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6. Con il settimo motivo di ricorso, Foschi Simone denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 60 bis,
co. 2 e 3 del d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 n.
3 c.p.c.
6.1. Avrebbe, invero errato la CTR – ad avviso del ricorrente – nel ritenere applicabile alla fattispecie concreta il disposto dell’art. 60 bis del d.P.R. 633/72, introcui il cessionario è responsabile in solido con il cedente per il mancato versamento dell’IVA, nel caso di transazione che avvenga a prezzi inferiori rispetto al valore
normale, sebbene la presente vertenza fosse stata incardinata in epoca precedente all’entrata in vigore della
legge succitata.
6.2 n motivo è infondato.
6.2.1. E’ del tutto evidente, infatti, che nel caso concreto non viene in rilievo una solidarietà del cessionario nel debito di imposta del cedente, bensì la non spettanza del diritto alla detrazione esercitato dal primo.
Tale è, difatti, la contestazione mossa dall’Ufficio al
Foschi negli atti impositivi oggetto di ricorso in sede
giurisdizionale.
6.2.2. Orbene, va osservato – in proposito – che la disposizione di cui all’art. 21 d.P.R. n. 633/1972 – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni
inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della
fattura – va interpretata nel senso che il corrispondente
tributo viene, in realtà, ad essere considerato “fuori
conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente,
“isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni
effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo
di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”, che
presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19
d.P.R. cit. E ciò anche in considerazione del fatto che
l’emissione di fatture per operazioni inesistenti costituisce, da sempre, una condotta penalmente sanzionata come delitto (cfr. Cass. 7289/01, 4247/07).

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dotto dall’art. l, co. 386, della 1. n. 311/04, secondo

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6.2.3. In altri termini, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l’ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa”, né sono ravvisabili i presupposti del diritto alla detrazione di cui all’art. 19, co. l, del
d.P.R. n. 633/72. Ed invero, va considerato, al riguardo,
che la previsione del menzionato art. 21, co. 7, se, per
fattura, costituendolo debitore d’imposta pur in assenza
del suo ordinario presupposto, sulla base del solo principio di cartolarità, per altro verso, incide, sia pure
indirettamente, anche sul destinatario della fattura,
confermandone, in combinato disposto con gli artt. 19,
co. 1, e 26, co. 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in
assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione
di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o
professione) (Cass.22882/06; 16730/07; 7672/12; 2362/13).
6.2.4. E ciò è a dirsi – per i motivi suesposti – anche
in relazione alla fattispecie dell’utilizzazione, ai fini
della detrazione, di fatturetesse a fronte di operazioni
che siano anche soltanto soggettivamente inesistenti.
In queste ultime, invero, l’indetraibilità dell’IVA è ancorabile all’incoerenza dei termini soggettivi dell’ operazione rispetto a quelli della fatturazione (artt. 19,
co. 1, e 21, co. 7 e 26, co. 3 del d.P.R. 633/72), cioè
alla dirompente alterazione della corretta sequenza tra
operazioni a monte ed operazioni a valle, costituente il
fulcro del disposto di cui all’art. 17 della VI Direttiva
IVA, secondo cui il giudice nazionale deve negare il diritto alla detrazione, se risulta dimostrato che il diritto dell’Unione Europea sia stato invocato in modo
fraudolento (Cass. 6229/13; 24426/13).
6.3. Per tali ragioni, dunque, la censura suesposta va
rigettata.
7. Con l’ottavo motivo di ricorso, il Foschi denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

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un verso, incide direttamente sul soggetto emittente la

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7.1. Si duole, invero il ricorrente del fatto che la CTR
abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda, proposta in
via subordinata, con la quale il contribuente chiedeva
riconoscersi il proprio diritto di dedurre, ai fini delle
imposte dirette, una maggiore percentuale di costi, ossia
1’8% in più, pari al maggior prezzo di acquisto che il
Foschi – ad avviso dell’Ufficio – avrebbe dovuto pagare
avesse trattato con società cartiere, e sul quale gli era
stata addebitata dalla CTR, nella misura del 50%, la maggiore IVA dovuta.
7.2. Il motivo è inammissibile.
7.2.1. Il quesito di diritto formulato in relazione alla
censura in esame è – per vero – del tutto generico, risolvendosi nell’enunciazione in astratto della regola che
si assume desumibile dal disposto dell’art. 112 c.p.c.,
senza alcuna attinenza specifica al caso concreto. Per il
che il motivo cui tale quesito inerisce è da considerarsi
inammissibile, stante il chiaro disposto dell’art. 366
bis c.p.c., temporalmente applicabile alla fattispecie
concreta (Cass. 80/11).
8. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso
proposto dal Foschi non può che essere integralmente rigettato.
9. Passando, quindi, all’esame dei motivi del ricorso
principale dell’Agenzia delle Entrate, va rilevato che,
con il primo e secondo motivo – che, per la loro evidente
connessione, vanno esaminati congiuntamente – la ricorrente denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
9.1. Osserva, invero, l’Agenzia delle Entrate che l’ impugnata sentenza, sebbene avesse individuato ben quattro
sistemi di frode posti in essere dall’impresa del Foschi
e dalle altre imprese con questa conniventi, ne avrebbe,
peraltro, tratto l’illogica conseguenza che il recupero a
tassazione dell’imposta evasa fosse fondato esclusivamente per l’IVA, e non anche per le imposte dirette.

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rispetto al prezzo di mercato dei beni acquistati, se non

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9.2. In tal modo, la CTR avrebbe finito col ritenere del tutto incongruamente e contraddittoriamente – che i
medesimi elementi di prova ritenuti sufficienti ad escludere la detraibilità dell’IVA, non lo fossero, invece,
per le imposte dirette, laddove la dimostrata inesistenza
delle operazioni in contestazione, avrebbe evidenziato la
loro finalizzazione a scopi illeciti, escludendone
9.3. I motivi suesposti sono inammissibili.
9.3.1. L’Amministrazione ricorrente ha, invero, del tutto
omesso di formulare un’indicazione riassuntiva e sintetica, contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria o insufficiente, ai sensi dell’art. 366 bis,
co. 2, c.p.c. (applicabile alla fattispecie

ratione tem-

poris), a tenore del quale la formulazione della censura
ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. deve contenere un “momento di sintesi”, omologo del quesito di diritto, che
costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del
motivo operata dalla parte ricorrente (Cass. 8897/08,
2652/08, Cass.S.U. 11652/08, 16528/08).
9.3.2. Nel caso di specie, invece, l’Agenzia delle Entrate si è limitata ad effettuare una lunga esposizione dei
motivi per i quali la motivazione dell’impugnata sentenza
sarebbe affetta dal vizio motivazionale dedotto, alcuni
dei quali, tra l’altro, involgenti anche valutazioni di
merito, come tali indeducibili in questa sede. Per cui le
censure in esame – per le ragioni suesposte – non possono
trovare accoglimento.
10. Con il terzo e quarto motivo di ricorso – che, per la
loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 19, 21 e 26 del d.P.R.
633/72, 2043 c.c., 1, 5 e 6 del d.lgs. n. 471/97, 3, 6, 7
e 12 del d.lgs. n. 472/97, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.
10.1. Avrebbe, invero, errato la CTR, una volta accertata
la consapevolezza, in capo al contribuente, del meccani-

15

l’inerenza all’attività di impresa.

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smo frodatorio posto in essere da diverse imprese (cd.
frode carosello) ai soli fini di evasione di imposta, nel
limitarsi a condannare il Foschi al versamento di una
quota del danno provocato all’Erario, “pari al 50%
dell’imposta non versata sulla maggiorazione dell’8% delle fatture di vendita, calcolata sulla base
dell’imponibile ricostruito e riferibile alle fatture di
esclusione delle relative sanzioni.
10.2. Il giudice di appello, avendo accertato che il Foschi era partecipe del meccanismo evasivo in questione
(cd. lavaggio dell’IVA o frode carosello), avrebbe – per
contro – dovuto escludere il diritto del medesimo alla
detrazione dell’IVA per gli anni in considerazione e confermare l’applicazione delle relative sanzioni da parte
dell’Amministrazione finanziaria. Non corretta sarebbe,
di conseguenza, – a parere della ricorrente – la statuizione della CTR consistita nella condanna del contribuente al risarcimento, ai sensi dell’art. 2043 c.c., del
danno Erariale, pari all’imposta evasa, per di più ridotto in misura del 50%, dovendo porsi – ad avviso del giudice di appello – l’ulteriore 50% a carico dell’Olidata
s.r.1., venditrice iniziale e deus ex machina dell’intera
operazione.
10.3. Le censure suesposte sono fondate.
10.3.1. Non può revocarsi in dubbio, infatti, – come si è
sopra evidenziato – che il committente-cessionario al
quale sia contestata, sulla base di elementi presuntivi
forniti dall’amministrazione, la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto diverso dal cedenteprestatore che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi, ai sensi dell’art.
2697, co. 2, c.c., che non sapeva o non poteva sapere di
partecipare ad un’operazione fraudolenta (Cass. 8132/11;
7672/12; 23074/12; 6229/13). Ed invero, a norma dell’art.
21, co. 7 d.P.R. 633/72, se vengono emesse fatture per
operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per
l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indica-

acquisto della merce ricevute dalle cd. cartiere”, e con

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zioni della fattura; con la conseguenza che, a fronte di
tali operazioni, l’Amministrazione finanziaria – come
dianzi rilevato – ha il dovere di non ammettere in detrazione l’IVA relativa alle stesse.
10.3.2. Sicchè, nel caso di specie, una volta che il giudice di merito aveva ritenuto – sulla base degli elementi
presuntivi suesposti – che il contribuente era consapevonon aveva offerto elementi di prova di segno contrario,
non si sarebbe potuto limitare a condannare il Foschi al
risarcimento del danno all’Erario, nella misura suindicata, ma avrebbe dovuto, facendo corretta applicazione degli artt. 19, 21 e 26 d.P.R. 633/72, escludere il diritto
del contribuente alla detrazione dell’IVA per gli anni in
contestazione. E tanto meno, il giudice di appello
avrebbe dovuto escludere le sanzioni relative alla violazione in discussione, avente innegabilmente carattere di
illecito fiscale penalmente sanzionato (Cass. 309/06;
247/09).
11. L’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso
comporta, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata, limitatamente alle violazioni in materia di IVA. Non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di
cui all’art. 384, co. 2, c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, in relazione all’IVA.
5. Concorrono giusti motivi – tenuto conto dell’esito
complessivo della vicenda processuale – per dichiara interamente compensate fra le parti le spese dei tre gradi
del giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
riunisce il ricorso iscritto a ruolo al n. 15775/07, proposto dall’Agenzia delle Entrate, ed i ricorsi iscritti a
ruolo ai nn. 20420/07 (incidentale) e 16321/07 (principale), proposti da Foschi Simone; dichiara inammissibile il
ricorso incidentale di Foschi Simone; rigetta il ricorso
principale proposto dal Foschi; dichiara inammissibili il

17

le dell’operazione di frode al fisco, e che il medesimo

.,SENTE DA REG3STRAZIONE
AI SENSI DEL D.?2,.
N. 131 TAB. Ai-L. – N. 5

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MATERIA TRIBUTARIA

primo e secondo motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate; accoglie il terzo e quarto motivo dello stesso ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, limitatamente all’IVA; dichiara interamente compensate fra
le parti le spese dei tre gradi del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Se-

zione Tributaria, il 25.11.2013.

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