Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4608 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 22/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.22/02/2017),  n. 4608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10588/2012 proposto da:

M.G.A. (c.f. (OMISSIS)); M.S. (c.f.

(OMISSIS)); M.P. (c.f. (OMISSIS)), M.A. (c.f.

(OMISSIS)), e D.G.M. (c.f. (OMISSIS)), nella

qualità di eredi di M.G.; MU.GI. (c.f.

(OMISSIS)); M.M.P.P. (c.f. (OMISSIS)); elettivamente

domiciliati in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 262-264, presso

l’avvocato CLAUDIA RUSSO (STUDIO LEGALE TRIBUTARIO D’ANDRIA),

rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELO MOCCI, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNITA’ MONTANA DEL GOCEANO, già VII COMUNITA’ MONTANA DEL

GOCEANO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 24, presso l’avvocato MARIA

STEFANIA NASINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO

MEREU, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 194/2011 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 16/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato COGNOMI VITTORINO, con

delega, che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del primo e secondo

motivo, inammissibilità del terzo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 16 marzo 2011 la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato in Euro 234.344,20, oltre interessi legali, l’importo dovuto dalla VII Comunità Montana del Goceano in favore di M.G., M.G.A., M.P.M.P., Mu.Gi. e M.S., per l’occupazione appropriativa di un’area di proprietà di questi ultimi.

2. La Corte territoriale ha rilevato: a) che le aree occupate in data 7 novembre 1994, a seguito della delibera del Presidente della giunta regionale della Sardegna del 20 settembre 1994, ed irreversibilmente trasformate erano ricomprese, alla data di consumazione dell’illecito, in zona G3 – zona termale di (OMISSIS), per effetto della pubblicazione del Piano Urbanistico del Comune di (OMISSIS), che introducendo una variante al piano di fabbricazione, aveva ridefinito e riclassificato un’ampia parte del proprio territorio, in tal modo ponendo in essere un vincolo conformativo e non espropriativo; b) che, all’interno della zona G3, era possibile edificare esclusivamente a mezzo di un piano unico attuativo di iniziativa pubblica, con possibile coesistenza di edifici pubblici e privati; c) che, pertanto, le aree interessate alla radicale trasformazione avevano una, sia pur ridotta, vocazione edificatoria; d) che il momento di consumazione dell’illecito doveva essere identificato nel 7 novembre 2002 e che a quella data andava riferito il valore elaborato dall’UTE, sia pure con riguardo al 1994, dovendosi ritenere che tale valore non fosse aumentato, alla data di scadenza dell’occupazione legittima, in misura superiore alla rivalutazione secondo gli indici istat, tenuto conto della ridotta commercializzazione di aree simili a quella in esame.

3. Avverso tale sentenza, propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi M.G.A., M.P.M.P., Mu.Gi. e M.S., nonchè D.G.M., M.P. e M.A., questi ultimi tre nella qualità di eredi di M.G.. Resiste con controricorso la Comunità Montana del Goceano.

Nell’interesse dei ricorrenti e della Comunità Montana sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39, D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, conv. con L. n. 359 del 1992, L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, rilevando: a) che, alla data di approvazione del progetto ossia della dichiarazione di pubblica utilità, ai sensi della L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 1, come pure all’epoca della immissione in possesso e della redazione dello stato di consistenza (7 novembre 1994), le aree ricadevano nella zona F del Piano di Fabbricazione del Comune di (OMISSIS) approvato in data 19 aprile 1992 e avente un indice territoriale pari a 0,3 mc/mq; b) che solamente il 3 febbraio 1995 era stato pubblicato nel BURAS il Piano Urbanistico Comunale, con la conseguenza che non si doveva tener conto dei vincoli da esso derivanti ed esclusivamente preordinati all’esproprio.

La doglianza è infondata, per l’assorbente ragione che, ai fini della determinazione del valore del bene illecitamente sottratto, occorre aver riguardo alla data della consumazione dell’illecito (Cass. 21 giugno 2002, n. 9082; 11 febbraio 2008, n. 3189).

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39, D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, conv. con L. n. 359 del 1992, L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, rilevando che della variazione di destinazione urbanistica introdotta dal Piano Urbanistico Comunale, che aveva classificato l’area in questione come ricadente in zona G, non si doveva tener conto anche Perchè era stata adottata allo specifico scopo di realizzare l’opera pubblica e caratterizzava la zona come soggetta ad un unico piano attuativo di iniziativa pubblica.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, a seguito delle sentenze della Corte cost. n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011, con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità dei criteri riduttivi previsti dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, conv. con L. n. 359 del 1992, e L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, il sistema indennitario risulta oggi agganciato al valore venale del bene già previsto quale criterio base di indennizzo dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90.

Tale premessa non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili (v., ad es., Cass. 12818/2016), che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici. L’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo: quello dell’edificabilità legale, posto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 3, sopra citato, quale recepito nel t.u. espr. (D.P.R. n. 327 del 2001). In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009) e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 11503 del 2014; 665/2010; 400/2010; 21396/2009; 21095/2009).

Al riguardo, deve, peraltro aggiungersi che l’esistenza di un vincolo d’inedificabilità risulta privo di ruolo discriminante nella summa divisio tra vincoli conformativi ed espropriativi, giacchè, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 2016) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012), fuoriescono da questa dicotomia e comunque non appartengono sicuramente alla seconda categoria tutti quei vincoli che non si risolvono nemmeno in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione dei previsti interventi anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, e quindi senza necessità di previa espropriazione del bene (cfr. Corte Cost. n. 179 del 1999). In particolare, se le scelte di politica programmatoria ritengono opportuno che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnata da strumenti di convenzionamento -, viene meno la stessa necessità di una futura (ma incerta) espropriazione onde realizzarli, con conseguente cessazione del pericolo di sostanziale ablazione dei suoli medesimi, per la permanenza del vincolo oltre limiti ragionevoli: ferma rimanendo, anche in tal caso, la destinazione pubblicistica della zona e quindi la natura inedificabile di tutte le aree in essa comprese (Cass. n. 3620 del 2016 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).

3. Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale disatteso le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e, in particolare, le conclusioni raggiunte dall’ausiliario, alla luce del criterio di trasformazione, che era stato indicato nell’ordinanza che aveva disposto l’integrazione della consulenza stessa, Aggiungono i ricorrenti che la sentenza impugnata aveva adottato il metodo comparativo, pur in assenza di dati di comparazione diversi da quello semplicistico dell’UTE e, in definitiva, senza argomentare sulla rappresentatività dei dati usati per la comparazione.

Il motivo è infondato.

Va premesso che le valutazioni espresse dal consulente d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso una elaborazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e sia sorretta da congrua e logica motivazione, dovendo indicare in particolare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico – giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del consulente.

Escluso, peraltro, che il giudice fosse vincolato alle indicazioni fornite nell’ordinanza integrativa dei quesiti, deve prendersi atto che la scelta di considerare il valore elaborato dall’U.T.E. muove dalle seguenti considerazioni, cui è estranea ogni valutazione di insufficienza o contraddittorietà: a) che l’utilizzo del criterio del costo di trasformazione presuppone l’impossibilità di fare riferimento al criterio del valore comparativo; b) che il valore di trasformazione era stato determinato utilizzando prezzi privi di riscontro, in quanto disancorati dalla specifica area in esame; c) che il riferimento da parte del consulente al volume massimo realizzabile, applicabile in contesti urbanistici espansivi, non era adeguato a siti, come quello di specie, collocati in aperta campagna; d) che la maggiore attendibilità del valore determinato dall’U.T.E. scaturiva dalla ridotta commercializzazione di aree simili a quella per cui è giudizio.

4. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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