Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4607 del 22/02/2017

Cassazione civile, sez. I, 22/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.22/02/2017),  n. 4607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6149-2012 proposto da:

P.T., (c.f. (OMISSIS)), C.G. (c.f.

(OMISSIS)), nella qualità di erede di P.G.,

PE.SE. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede di

P.G., P.S. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede di

P.F., nonchè erede di G.G., a sua volta erede

di P.F., T.F. (c.f. (OMISSIS)), nella

qualità di erede di P.A., pe.gi. (c.f.

(OMISSIS)), nella qualità di erede di P.G.,

PE.AN. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede di

P.G., P.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PIETRO COSSA 13, presso l’avvocato ANTONINO ISGRO’,

rappresentati e difesi dall’avvocato GUGLIELMO D’ANNA, giusta

procura in calce al ricorso e procura speciale Notaio avv.

F.A. di (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 21/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato D’ANNA che si riporta al ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del terzo motivo, assorbimento del quarto motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 21 gennaio 2011 la Corte d’appello di Messina ha accolto, per quanto di ragione, l’appello proposto dall’Anas avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento, in favore delle persone in epigrafe indicate, del risarcimento del danno per l’occupazione usurpativa di un appezzamento di terreno di 519,90 metri quadrati, e, per l’effetto, ha rideterminato la somma dovuta in Euro 4.648,11, con rivalutazione monetaria e interessi di legge sulla somma progressivamente rivalutata dal 21 novembre 1970 al saldo.

2. La Corte territoriale: a) ha respinto l’eccezione di estinzione del giudizio, in quanto l’ANAS, dopo l’interruzione del processo per effetto del decesso dell’appellata Pa.Gi., aveva provveduto nei termini alla notifica del ricorso in riassunzione e dell’ordinanza con la quale il consigliere istruttore, preso atto dell’impossibilità di rispettare il termine assegnato con precedente ordinanza collegiale, a causa della tardiva comunicazione di quest’ultima, aveva fissato nuova udienza e nuovo termine di notifica; b) ha rilevato che, secondo quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio e rimasto incontestato, il terreno degli attori era stato occupato dall’ANAS per una superficie complessiva di 300 metri quadrati, più ridotta rispetto a quella indicata nel decreto prefettizio di occupazione; c) ha ritenuto che, pertanto, alla luce del valore accertato dal medesimo consulente, il risarcimento dovuto dall’ANAS doveva essere ridotto all’importo di Euro 4.648,11.

3. Avverso tale sentenza e le ordinanze, qualificate come sentenze non definitive, depositate dalla Corte d’appello in data 17 dicembre 2007 e dal Consigliere istruttore in data 31 marzo 2008, propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi P.T., C.G., nella qualità di erede testamentaria di P.G., T.F., nella qualità di erede testamentaria di P.A., P.C., Pe.An., nella qualità di coerede testamentaria di Pa.Gi., pe.gi., nella qualità di coerede testamentario di Pa.Gi., Pe.Se., nella qualità di coerede testamentario di Pa.Gi., P.S., nella qualità di coerede legittimo di P.F.e di G.G., a sua volta coerede legittimo di P.F.. Resiste con controricorso l’ANAS s.p.a.

Nell’interesse dei ricorrenti è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 153, 154, 291, 303 e 305 c.p.c..

Premesso che, a seguito dell’interruzione del processo provocata dalla dichiarazione, all’udienza collegiale dinanzi alla Corte d’appello del 24 aprile 2006, del decesso di Pa.Gi., l’ANAS aveva depositato, nel termine semestrale ricorso per la riassunzione, rilevano i ricorrenti: a) che l’ANAS aveva notificato il ricorso e il pedissequo decreto presidenziale alla defunta Pa.Gi. presso il recapito professionale dell’avvocato che l’aveva difesa nel procedimento; b) che la notificazione era inesistente, dal momento che la morte della parte comporta l’estinzione del mandato difensivo; c) che la notificazione avrebbe comunque dovuto essere indirizzata personalmente a ciascuno degli eredi della Pa.G., in quanto la morte era stata dichiarata il (OMISSIS), oltre un anno dopo il decesso, avvenuto in data (OMISSIS); d) che, peraltro, l’ANAS aveva omesso di notificare il ricorso in riassunzione anche a C.G., che, nella qualità di erede testamentaria di P.G., si era costituita nel procedimento di appello, giacchè aveva provveduto a notificare ricorso e decreto al defunto P.G. presso lo studio dell’avvocato che lo aveva difeso in primo grado; e) che, pertanto, erroneamente, a fronte dell’eccezione di estinzione del processo d’appello, formulata sia nella comparsa conclusionale del 1 febbraio 2007, sia all’udienza collegiale del 12 febbraio 2007, la Corte d’appello, con ordinanza depositata il 17 dicembre 2007 aveva assegnato all’ANAS il termine di quaranta giorni dalla comunicazione per la notifica del ricorso in riassunzione e della medesima ordinanza agli aventi causa di Pa.Gi. e all’avente causa di P.G.; f) che alla successiva udienza del 7 marzo 2008 il difensore degli appellati, oltre a proporre espressa riserva di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 361 c.p.c., avverso l’ordinanza collegiale depositata il 17 dicembre 2007, aveva, prima di ogni altra difesa, eccepito l’estinzione del processo, non avendo l’appellante notificato il ricorso e l’ordinanza collegiale agli aventi causa di Pa.Gi. e all’avente causa di P.G. nonchè agli altri appellati nel termine assegnato; g) che, a seguito dell’ordinanza del 31 marzo 2008, con la quale il consigliere istruttore, preso atto che l’ANAS non era stato in grado di osservare il termine a causa della tardiva comunicazione dell’ordinanza collegiale, aveva assegnato un nuovo termine, il difensore degli appellati, alla successiva udienza del 4 luglio 2008, aveva proposto espressa riserva di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 361 c.p.c..

Alla luce di tale ricostruzione fattuale, i ricorrenti lamentano: a) la violazione degli artt. 303 e 305 c.p.p., per mancata riassunzione del processo nei termini di cui all’originario D.P.R. 5 settembre 2006; b) la violazione dell’art. 154 c.p.p., perchè il termine fissato con quest’ultimo decreto non avrebbe potuto essere prorogato, in quanto la proroga non era stata richiesta prima della scadenza; c) la violazione dell’art. 153 c.p.c., in quanto il termine perentorio di cui al menzionato decreto non era suscettibile di proroga; d) la violazione dell’art. 291 c.p.c., applicabile, a tutto voler concedere, nei casi di nullità della notifica e non anche nei casi di inesistenza.

Il motivo di ricorso è infondato.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 14854 del 28 giugno 2006, richiamando le conclusioni alle quali era giunta una parte della giurisprudenza di questa Corte (si veda, soprattutto, la sentenza 1 luglio 2005, n. 14085), hanno precisato che, verificatasi una causa d’interruzione, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, “il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice”. Per cui, “una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, presuppone che il precedente termine sia stato rispettato, ma ormai ne prescinde, e risponde invece unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius”. Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, u.c., e del successivo art. 307, comma 3.

L’orientamento delle Sezioni Unite è stato seguito e ribadito, più di recente, da numerose altre sentenze delle Sezioni semplici di questa Corte (sentenze 15 marzo 2007, n. 6023, 27 gennaio 2011, n. 1900, e 31 luglio 2012, n. 13683).

Come chiarito da Cass. 25 marzo 2016, n. 5955, nel dare continuità a tali indicazioni, il vizio relativo alla fase di notificazione dell’istanza di riassunzione col relativo decreto non può riaprire la vicenda della sospensione e determinare un’estinzione che può essere pronunciata, giunti a questo punto, solo quando il giudice abbia fissato un nuovo termine a norma dell’art. 291 c.p.c., stavolta perentorio, ed esso non sia stato osservato.

In definitiva, deve ritenersi che la mancata notifica sia da equiparare alla notifica nulla per quanto riguarda la possibilità di dichiarare l’estinzione del giudizio sospeso e poi riattivatosi. A tal fine, utili spunti sono stati tratti dalla decisione emessa dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 12 marzo 2014, n. 5700, in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo) che ha ribadito la non perentorietà del termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, in mancanza di un’espressa previsione di legge.

Le superiori considerazioni consentono di non indugiare sulla questione della distinzione tra nullità ed inesistenza della notificazione, di recente affrontata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, 20 luglio 2016, n. 14916).

Quanto poi alla possibilità di assegnare un nuovo termine per il caso che l’inosservanza di quello originariamente fissato sia dipesa da causa non imputabile alla parte, si ritenuto che da tempo questa Corte, con riferimento a termini perentori, ha ribadito che la loro improrogabilità non esclude che possa riconoscersi rilevanza ad una situazione di forza maggiore certa ed obiettiva, che abbia impedito alla parte l’osservanza del termine stesso, atteso che la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione prevista dalla legge per la sua inosservanza, essendo rivolta a colpire comportamenti processuali volontari e colpevoli per incuria o per negligenza, imputabili al soggetto sul quale ricade il detto onere, non può tradursi in danno della parte che non sia stata in grado di rispettare il termine fissato dal giudice per fatti ad essa non imputabili nè per dolo nè per colpa (v., ad es, già Cass. 26 ottobre 1992, n. 11626; e, più recente, 11 aprile 2016, n. 6982). Nel caso di specie, come s’è sopra ricordato, l’assegnazione di un nuovo termine è scaturita dall’accertata impossibilità di rispettare il primo termine a causa della tardiva comunicazione dell’ordinanza collegiale.

2. Con il secondo motivo si lamenta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per non avere la Corte territoriale illustrato le ragioni del rigetto dell’eccezione di estinzione del processo, con particolare riguardo alla mancata osservanza, da parte dell’ANAS, anche del termine – da qualificarsi perentorio – assegnato con l’ordinanza collegiale depositata il 17 dicembre 2007. Premesso che si verte in tema di errore in procedendo, va ribadito che non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto. Nè il mancato esame, da parte di quel giudice, di una questione puramente processuale può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Cass. 10 novembre 2015, n. 22952).

In punto di diritto, la questione è stata affrontata con l’esame del primo motivo e la sua infondatezza trae alimento dalle considerazioni sopra svolte.

3. Con il terzo motivo si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, rilevando che la Corte territoriale aveva travisato il contenuto della relazione del consulente tecnico d’ufficio, che in nessun luogo indicava la superficie occupata come di soli 300 metri quadrati.

La doglianza è infondata, dal momento che il riferimento nella consulenza alla estensione di 516,90 metri quadrati ha riguardo alla “superficie espropriata” ed è incontroverso che l’area considerata nei provvedimenti che hanno caratterizzato il procedimento espropriativo (in particolare, decreto di occupazione) sia appunto di tale estensione.

Altra e distinta questione investe l’area concretamente occupata con l’attività illecita oggetto del processo e, in relazione a tale profilo, la Corte territoriale ha valorizzato sia il riferimento contenuto nella relazione alla superficie effettivamente utilizzata, sia l’assenza di contestazioni al riguardo.

Ed è esatto che si tratta di riferimento contenuto originariamente in una lettera dell’ANAS, ma è anche vero che esso non trova alcuna smentita negli accertamenti tecnici, i quali erroneamente si concentrano, come si diceva, sulla superficie “espropriata”.

4. Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., giacchè, per effetto dell’accoglimento dell’eccezione di estinzione, le spese processuali avrebbe dovuto gravare sull’appellante.

Il rigetto dei precedenti motivi comporta il rigetto anche della doglianza in esame, che presuppone la fondatezza delle critiche svolte.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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