Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4606 del 25/02/2010
Cassazione civile sez. lav., 25/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 25/02/2010), n.4606
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso
lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,
giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,
presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e
difende, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2431/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 11/05/2005 R.G.N. 4428/04;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
16/12/2009 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;
udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega FIORILLO LUIGI e Rizzo
Roberto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per
quanto di ragione.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe specificata la Corte d’appello di Roma, in relazione alla domanda proposta da P.A. intesa ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto a termine con il quale era stato assunto dalle Poste Italiane s.p.a., a decorrere dal 23 novembre 1999, in parziale riforma della decisione di primo grado ha accertato la nullità della clausola di apposizione del termine – giustificata dalla società in ragione di esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali connessa alla privatizzazione dell’ente -, escludendo che ricorresse una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, e, per l’effetto, ha dichiarato che fra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dalla predetta data, condannando la società convenuta alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni maturate dal momento di offerta della prestazione lavorativa, avvenuta con lettera raccomandata del 24 maggio 2002.
2. La società propone ricorso per cassazione, con tre motivi, deducendo che: 1) il rapporto si era risolto per mutuo consenso, così come era emerso dallo stesso comportamento della lavoratrice;
2) gli accordi attuativi dell’accordo collettivo 25 settembre 1997 avevano efficacia ricognitiva di una previsione generale di ammissibilità di assunzioni a termine anche dopo il 30 aprile 1998;
3) in subordine, il pagamento delle retribuzioni non poteva decorrere dallo svolgimento del tentativo di conciliazione, che di per sè non integrava una offerta di prestazione, e, inoltre, dal calcolo delle retribuzioni spettanti doveva essere detratto l’aliunde perceptum in relazione al possibile svolgimento di attività lavorativa presso altri datori di lavoro nel periodo successivo alla scadenza del rapporto con le Poste. La lavoratrice resiste con controricorso, precisato anche con memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato in tutti i profili sopra evidenziati.
1.1. Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v.
Cass. 10-11-2008 n. 26935, 28-9-2007 n. 20390, 17-12-2004 n. 23554, 11-12-2001 n. 15621); nella specie, la valutazione della Corte di merito appare coerente con tale principio, essendo fondata sull’accertamento del concreto comportamento della lavoratrice successivamente alla scadenza del termine e sull’assenza di altre circostanze idonee a configurare una volontà risolutiva in capo alla medesima.
1.2. Con riguardo alla esistenza del limite temporale del 30 aprile 1998, come questa Corte ha più volte affermato, e come va anche qui enunciato, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 (v., fra le altre, Cass. 1-10- 2007 n. 20608, 27-3-2008 n. 7979, 18378 del 2006).
In base a tale principio, va quindi confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto, essendo invece irrilevante la sussistenza, o meno, della prova di esigenze giustificative dell’apposizione del termine, la cui carenza è stata valorizzata come concorrente ratio decidendi nella sentenza impugnata, che va quindi corretta in parte qua ai sensi dell’art. 384 c.p.c..
1.3. Con riguardo alla individuazione della data della mora accipiendi ai fini della decorrenza delle retribuzioni, la censura della ricorrente, che lamenta la valorizzazione erronea della richiesta di tentativo di conciliazione, è inconferente, che la decisione impugnata si fonda sull’esistenza di una lettera di messa in mora contenente l’offerta esplicita della prestazione di lavoro.
1.4. Quanto alla determinazione delle retribuzioni spettanti, la Corte di merito non avrebbe potuto operare alcuna detrazione in mancanza di qualsiasi allegazione e prova della circostanza che la lavoratrice, dopo che si era messa a disposizione della società, avesse lavorato presso terzi; ciò, in conformità ai principi più volte affermati da questa Corte sulla necessità della rituale acquisizione della allegazione e della prova dell’aliunde perceptum, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato (cfr. Cass. 16-5-2005 n. 10155, 20- 6-2006 n. 14131, 10-8-2007 n. 17606, S.U. 3-2-1998 n. 1099).
2. In conclusione, il ricorso va respinto e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 61,00 per esborsi e Euro tremila per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010