Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4605 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 25/02/2010), n.4605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI

99, presso lo studio dell’avvocato CRISCUOLO FABRIZIO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 014/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/03/2005 r.g.n. 4766/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO per delega CRISCUOLO FABRIZIO;

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con la quale è stato respinto il ricorso del lavoratore in epigrafe avente ad oggetto l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fra detto lavoratore da una parte, e Poste Italiane s.p.a. dall’altra;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore affidato ad un unico motivo;

Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso;

Considerato che:

il lavoratore è stato assunto: con un primo contratto a termine stipulato, per il periodo 16 febbraio 1998 – 30 aprile 1998, a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane; con un secondo contratto a termine stipulato, per il periodo 15 giugno 1998 – 30 settembre 1998, ex art. 8 c.c.n.l.

26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre;

con un terzo contratto a termine stipulato, per il periodo 2 novembre 1998 – 30 gennaio 1999,analogamente al primo contratto a termine, a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997;

la Corte territoriale in relazione ai contratti stipulati a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 ossia per esigenze eccezionali ecc., premesso che il citato accordo integrativo non prevedeva alcun termine di efficacia, se non quello connesso alla vigenza dell’accordo stesso, collegata al completamento dei processi di ristrutturazione ivi menzionati, i cd. accordi attuativi costituivano un mero riconoscimento bilaterale, per il periodo preso in considerazione, della sussistenza delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine con la conseguenza che anche al di fuori dei periodi considerati dai suddetti accordi attuativi il ricorso alle assunzioni a termine doveva considerarsi del tutto legittimo, a condizione del perdurare della sussistenza delle condizioni oggettive previste dall’accordo 25 settembre 1997, e cioè la permanenza del processo di ristrutturazione, condizione quest’ultima riconosciuta sussistente al momento della stipulazione del contratto a termine de quo;

con riferimento al contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l.

26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, la predetta Corte ha ritenuto che non doveva essere fornita dal datore di lavoro la prova dell’assenza per ferie e della connessa necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza delle ferie nel periodo estivo;

la suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dal lavoratore ricorrente il quale contesta, e l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi, e la non ritenuta necessità di una prova circa il nesso causale tra l’assenza del lavoratore e l’assunzione di un altro lavoratore per sostituirlo, nonchè l’asserita legittimità dell’accordo del 1997 nonostante la mancata sottoscrizione di tutti i partecipanti alla prima contrattazione;

la censura è fondata nei limiti di seguito indicati;

con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ..), dopo il 30 aprile 1998;

premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accorcio attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo;

la sopra ricordata giurisprudenza di legittimità ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

ha rilevato altresì che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866);

ha, infine, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. I 12 marzo 2004 n. 5141);

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corta dal dovere di fedeltà ai propri precedenti;

deve osservarsi in proposito, con riferimento alle decisioni di questa Corte Suprema prima citate nella parte in cui esse si riferiscono all’interpretazione di norme collettive di diritto comune, che le stesse hanno comunque valenza di precedenti, ancorchè non in senso tecnico atteso che, da un lato, lo stesso controllo di logicità del giudizio trova, in parte qua, le proprie coordinate nelle disposizioni di legge in tema di ermeneutica contrattuale le quali, suscettibili di lettura diretta da parte del giudice della nomofilachia, costituiscono obbligato punto di riferimento nella ricerca e nell’identificazione dei punti decisivi per la ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti stipulanti;

dall’altro, le clausole delle fonti collettive, per la loro naturale riferibilità ad una serie indeterminata di destinatati e per il loro carattere sostanzialmente normativo, non sono assimilabili completamente a quelle di un normale contratto o accordo, sicchè, neanche rispetto ad esse è trascurabile il fine di assicurare ai potenziali interessati, per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarità di ciascuna fattispecie, quella reale parità di trattamento che si fonda sulla stabilità degli orientamenti giurisprudenziali, specialmente sollecitata quando, come nella specie, assuma icastica evidenza l’identità dei percorsi logici seguiti nelle decisioni progressivamente portate all’esame del giudice di legittimità e dei contesti difensivi nei quali tali decisioni risultano calate (Cass. 29 luglio 2005 n. 15969);

non risulta contestato in maniera specifica l’accertamento condotto dalla Corte del merito circa l’avvenuta sottoscrizione, a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’accordo aziendale del 1997 da parte dei sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nè che non è prevista l’unanimità o un certo quorum di convergenza tra le varie sigle sindacali, nè, ancora, che con l’accordo in questione le parti si sono limitate solo ad aggiungere, nell’ambito della disciplina propria del richiamato art. 23, una ulteriore ipotesi di contratto a termine;

con riferimento, pertanto, al contratto a termine stipulato per il periodo 2 novembre 1998 – 30 gennaio 1999 la sentenza è errata e va pertanto cassata in parte qua; in relazione al contratto stipulato per il periodo 15 giugno 1998 – 30 settembre 1998, ex art. 8 c.c.n.l.

26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva;

la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge;

per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento avrebbe imposto l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio facesse riferimento a circostanze oggettive, o esprimesse solo le ragioni che avevano indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza;

inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie;

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato;

deve osservarsi in proposito, con riferimento alle decisioni di questa Corte Suprema prima citate nella parte in cui esse si riferiscono all’interpretazione di norme collettive di diritto comune, che le stesse hanno comunque valenza di precedenti, ancorchè non in senso tecnico (Cass. 29 luglio 2005 n. 15969) atteso che, da un lato, lo stesso controllo di logicità del giudizio trova, in parte qua, le proprie coordinate nelle disposizioni di legge in tema di ermeneutica contrattuale le quali, suscettibili di lettura diretta da parte del giudice della nomofilachia, costituiscono obbligato punto di riferimento nella ricerca e nell’identificazione dei punti decisivi per la ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti stipulanti; dall’altro, le clausole delle fonti collettive, per la loro naturale riferibilità ad una serie indeterminata di destinatari e per il loro carattere sostanzialmente normativo, non sono assimilabili completamente a quelle di un normale contratto o accordo, sicchè, neanche rispetto ad esse è trascurabile il fine di assicurare ai potenziali interessati, per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarità di ciascuna fattispecie, quella reale parità di trattamento che si fonda sulla stabilità degli orientamenti giurisprudenziali, specialmente sollecitata quando, come nella specie, assuma icastica evidenza l’identità dei percorsi logici seguiti nelle decisioni progressivamente portate all’esame del giudice di legittimità e dei contesti difensivi nei quali tali decisioni risultano calate;

la sentenza impugnata deve essere pertanto sul punto confermata;

ritenuto, per le ragioni fin qui esposte, che l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994) nella parte in cui prevede la stipula di contratti a termine in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre sia quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo preveda come unico presupposto per la sua operatività che l’assunzione avvenga nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, viene a cadere l’unica ragione per cui l’apposizione del termine al contratto in esame è stata ritenuta illegittima;

con riferimento alla causale della “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre questa Corte, del resto, ha ritenuto che non è necessario che siano allegate e provate circostanze ulteriori (cfr., fra le altre, sulla ipotesi collettiva de qua Cass. 6-3-2008 n. 6052, nonchè, sulla analoga ipotesi precedentemente prevista dall’art. 8 del c.c.n.l. 1994, fra le altre, Cass. 6-12-2005 n. 26678, Cass. 2-3- 2007 n. 4933);

nè trova applicazione, con riguardo alla causale in parola, il limite temporale del 30 aprile 1998, di cui all’accordo attuativo dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, sottoscritto in pari data, ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998,oltre il quale questa Corte ha ritenuto, in relazione alla causale delle esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, illegittima l’apposizione del termine (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

infatti con accordo attuativo stipulato il 27-4-98 (cioè in prossimità della scadenza del 30/4/98 indicata dall’accordo attuativo precedente) si è stabilita la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato in relazione alla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”;

in conclusione il ricorso va accolto limitatamente al contratto a termine stipulato per il periodo 2 novembre 1998 – 30 gennaio 1998 ed in tali limiti va cassata la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

 

 

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