Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4604 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 25/02/2010), n.4604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine dei ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4699/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2005 R.G.N. 6484/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA, per delega Fiorillo Luigi;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, ha dichiarato esistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la Poste Italiane s.p.a. e R.M. con decorrenza dal 23.2.1998, quale effetto della ritenuta illegittimità della apposizione del termine al primo dei vari contratti di lavoro stipulati tra le parti nel periodo dal 23.2.1998 al 30.10.1999; ha condannato, inoltre, la società al risarcimento del danno, determinato in misura corrispondente all’importo delle retribuzioni maturate dal lavoratore dall’atto di messa in mora del 3.4.2000.

In motivazione la Corte d’appello ha premesso che il R. era stato assunto, una prima volta, per il periodo dai 23.2.1998 al 30.4.1998 con proroga di trenta giorni; successivamente, per il periodo dal 1.7.1998 al 30.9.1998 e, ancora, per il periodo dal 4.6.1999 al 30.10.1999; che l’apposizione del termine, per il primo e per l’ultimo contratto, era stata giustificata dalla società, ex art. 8 c.c.n.l. 1994 e accordo sindacale integrativo 25.9.1997, con la sussistenza di esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale in corso, mentre, per il secondo contratto, era stata indicata la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie; infine, la proroga del primo contratto era stata motivata con l’insorgenza di esigenze contingenti e imprevedibili. Ha osservato, ancora, la Corte di merito che l’omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, sulla legittimità (o meno) del termine apposto ai contratti, successivi al primo, intervenuti tra le parti, non era suscettibile di censura (come preteso dalla società appellante), in quanto la declaratoria di nullità del detto primo contratto valeva a superare la necessità di valutazione dei rapporti successivi, restando, conseguentemente, assorbita ogni questione relativa alla loro validità. Ha concluso, quindi, dichiarando illegittima l’apposizione del termine al ripetuto primo contratto, benchè ricadente nell’ambito di efficacia temporale dell’accordo sindacale del 25.9.1997, perchè la società non aveva fornito la prova della riconducibilità dell’assunzione del R. alle dichiarate esigenze di ristrutturazione.

Per la cassazione della sentenza d’appello la Poste italiane s.p.a.

ha proposto ricorso fondato su due motivi.

R.M. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo, con denuncia di violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23, degli artt. 362 e ss. c.c., oltre a vizio di motivazione, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per aver individuato nella disciplina legale e contrattuale dei contratti a tempo determinato stipulati, come quelli di specie, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 (cd. “autorizzati”) limiti alla valida apposizione del termine di durata che non sono conformi al dettato della suddetta disposizione di legge e delle clausole di cui all’art. 8 c.c.n.l. del 1994, come modificato e integrato dall’accordo sindacale del 25.9.1997. Secondo la ricorrente è giuridicamente errata sia l’affermazione della Corte di merito relativa alla limitata efficacia temporale (30 aprile 1998) dell’ipotesi (ricorso ad assunzioni a termine per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale in corso) introdotta dall’accordo integrativo del 25.9.1997, sia l’affermazione concernente la necessaria presenza di un nesso di causalità (della cui prova è onerata la società datrice di lavoro) tra l’assunzione del singolo lavoratore e le dichiarate esigenze eccezionali connesse al processo di riorganizzazione.

2. Nel secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., lamenta che la Corte di merito, nel condannare la società al pagamento delle retribuzioni dal 3.4.2000, avrebbe erroneamente attribuito efficacia di messa in mora alla comunicazione della istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione presentata del lavoratore, senza tener conto, altresì, nella determinazione della entità del risarcimento, della possibilità che costui avesse svolto altre attività retribuite una volta cessato il primo rapporto di lavoro con la Poste Italiane s.p.a., disattendendo, sul punto, anche le richieste di esibizione dei modelli 101 e 740.

3..La censura di cui al primo motivo deve essere accolta, nei sensi di seguito indicati, con riferimento al primo dei contratti di lavoro a tempo determinato intervenuti tra le parti, il quale, soltanto è stato preso in esame dalla Corte di merito, avendo il giudice d’appello, in ragione della sua rilevata illegittimità, ritenuto superata la necessità di valutazione dei contratti successivi.

4. Nelle ormai numerose decisioni riguardanti la materia controversa (cfr., ex plurimis, Cass. n. 18378 del 2006, nn. 8121, 26935, 27155 del 2008, nn. 1889, 3369 del 2009) è costante l’affermazione che – se è pur vero che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati (i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge e possono, quindi, prescindere dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggetti ve di lavoro o soggettive dei lavoratori, ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato) – tuttavia, ove un limite temporale all’adozione di contratti a tempo determinato sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine.

L’esistenza di un siffatto limite caratterizza, secondo le richiamate decisioni, l’assunzione a termine dei dipendenti postali prevista dall’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e dal successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, avendo le parti sociali convenuto di riconoscere come causa di legittima apposizione del termine – ma soltanto fino alla data del 30 aprile 1998 (successivamente prorogata al 30 maggio 1998 dall’accordo del 27 aprile 1998) – le esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali imposte dalla trasformazione giuridica dell’ente. Ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine stipulate dopo le date suddette e giustificate con le menzionate esigenze eccezionali, per carenza del presupposto normativo derogatorio; con la ulteriore conseguenza della trasformazione di tali assunzioni in contratti a tempo indeterminato in forza dell’arti della L. n. 230 del 1962.

5. In base al riferito orientamento, come si è detto ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. n. 7355 del 2003, n. 15969 del 2005, n. 6703 del 2007, n. 8121 del 2008), deve considerarsi giuridicamente corretta l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui l’ambito di efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 e della ivi prevista ipotesi di assunzione a termine (si ripete, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione aziendale in corso) è limitato al 30 aprile 1998 (data, come si è detto, prorogabile, ma solamente fino al 30 maggio 1998). Viceversa, non è conforme ai richiamati principi la sentenza impugnata, nella parte in cui – muovendosi nella prospettiva che il legislatore del 1987 non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, ma abbia imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, – ha ritenuto che l’apposizione del termine ai contratti stipulati ai sensi dell’accordo integrativo del 25.9.1997, ancorchè rientranti nel suo ambito temporale di efficacia, debba essere giustificata da una esigenza temporanea e specifica concretamente riferibile alla singola assunzione ed ha, quindi, concluso dichiarando esistente tra le parti un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla stipula del primo dei contratti di lavoro a termine intervenuti tra le parti, per non avere la società dimostrato la riconducibilità dell’assunzione del R. alla dichiarata fase di ristrutturazione aziendale.

6. Con riguardo a tale statuizione la sentenza d’appello va, dunque cassata, restando, per l’effetto, assorbite le censure di cui al secondo motivo di ricorso, e la causa va rinviata ad altro giudice, designato in dispositivo, il quale provvederà applicando i principi sopra affermati anche nel decidere la questione – non esaminabile in questa sede perchè ritenuta assorbita dalla Corte territoriale (cfr., in termini, Cass. n. 4804 del 2007, nn. 9175 e 11861 del 1998) – relativa alla legittimità degli ulteriori contratti a termine intervenuti tra le parti.

7. Al giudice di rinvio è rimessa la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione; assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

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