Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4604 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. II, 21/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8621-2017 proposto da:

FINMOLISE SPA UNIPERSONALE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

102, presso lo studio dell’avvocato PIETRO ANELLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA AMORUSO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M., N.M., domiciliati in ROMA presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi MARIA

PINA MILIONE in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

FINMOLISE SVILUPPO E SERVIZI SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 299/2016 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 13/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Sentito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

Udito l’Avvocato Gianluca Amoruso per la ricorrente e l’Avvocato

Maria Pina Milione per i controricorrenti.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con sentenza n. 230 del 20 marzo 2012 il Tribunale di Isernia ha accolto l’opposizione proposta da N.M. e G.M., il primo quale titolare della ditta individuale Demetra Center, avverso il decreto ingiuntivo n. 331/2008 avente ad oggetto la condanna al pagamento della somma di Euro 52.349,99, oltre interessi e spese in favore della Finmolise S.p.A.

Nel corso del giudizio di opposizione che aveva visto costituirsi in qualità di parte opposta la Finmolise Sviluppo e Servizi S.r.l., quale conferitaria del ramo di azienda cui si ricollegava il contratto di mutuo che aveva generato il credito oggetto della richiesta monitoria, il Tribunale, dopo avere rilevato la nullità de contratto de quo, riteneva inammissibile la domanda avanzata dalla Finmolise S.p.A., che era intervenuta in corso di causa, chiedendo la condanna degli opponenti, in caso di accertamento della nullità, alla restituzione delle somme mutuate ex art. 2033 ovvero 2041 c.c.

Avverso tale sentenza proponevano appello con separati atti le due società e la Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza n. 299 del 13/10/2016, riuniti gli appelli, li rigettava entrambi, disattendendo però la domanda di responsabilità ex art. 96 c.p.c. proposta dagli appellati.

Per quanto rileva in questa sede, i giudici di appello dopo avere ritenuto legittimata la Finmolise Servizi e Sviluppo S.r.l. all’opposizione, in quanto cessionaria del ramo di azienda al quale faceva capo il rapporto obbligatorio oggetto di lite, e dopo avere disatteso l’eccezione di improcedibilità degli appelli, attesa la tempestiva costituzione in giudizio degli appellanti, nel merito reputavano corretta la decisione del Tribunale che aveva ritenuto che il contratto di mutuo fosse affetto da nullità per la violazione della L. n. 248 del 2006, art. 13, comma 4. Quanto all’appello specificamente avanzato dalla Finmolise S.p.A., con il quale si contestava la declaratoria di inammissibilità della domanda dalla medesima proposta, i giudici di secondo grado evidenziavano che andava condiviso il giudizio del Tribunale in quanto le ragioni dell’inammissibilità non si fondavano sulla sussistenza di preclusioni processuali, ma piuttosto per il fatto che anche la domanda dell’interventore autonomo deve avere attinenza con l’oggetto sostanziale dell’originaria controversia ovvero essere dal medesimo dipendente.

Poichè gli opponenti e l’opposta dibattevano in merito agli effetti del contratto di finanziamento, la domanda di ripetizione dell’indebito ovvero di arricchimento senza causa della Finmolise S.p.A. non era legata al titolo contrattuale, ma all’assenza dello stesso per la sua nullità.

2. Avverso tale sentenza la Finmolise S.p.A. propone ricorso per cassazione con unico motivo cui resistono con controricorso N.M. e G.M..

Finmolise Servizi e Sviluppo S.r.l. non ha svolto difese in questa fase.

La Sesta Sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 9113 del 12 aprile 2018 ha rimesso il ricorso alla pubblica udienza, non ricorrendo le condizioni per la definizione in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.

I controricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

3. Con l’unico motivo la parte ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 105 e 268 c.p.c. nonchè dell’art. 2041 c.c., con la violazione delle regole del giusto processo e del simultaneus processus.

Si deduce che la ricorrente aveva spiegato in primo grado intervento volontario di tipo principale e/o adesivo autonomo o litisconsortile, posto che, oltre ad aderire alle ragioni della società opposta, aveva fatto valere un’autonoma domanda ai sensi degli artt. 2033 e 2041 c.c., nell’ipotesi di accoglimento dell’eccezione di nullità, e che tale intervento era avvenuto con comparsa depositata il 18 settembre 2009 tre giorni prima della scadenza del secondo termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, e ciò a seguito della proposizione dell’eccezione di nullità del contratto avanzata dagli opponenti solo con la prima memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6.

Poichè la caratteristica dell’intervento consiste proprio nella proposizione di una domanda autonoma, non poteva essere precluso alla ricorrente di far valere le domande conseguenti all’eventuale accertamento della nullità del contratto, che solo l’interventrice poteva azionare, atteso che le somme ricevute dagli opponenti erano state versate solo dall’odierna ricorrente e non anche dalla cessionaria del ramo di azienda, che quindi non poteva vantare alcuna pretesa restitutoria.

4. Il motivo è infondato.

La deduzione di parte ricorrente risulta invero fuorviata dalla non corretta qualificazione giuridica della propria posizione processuale come manifestatasi nelle fasi di merito, dovendosi escludere, alla luce dell’effettivo svolgimento delle vicende processuali, che alla stessa possa essere attribuita la qualità di parte interventrice ex art. 105 c.p.c.

Ed, invero, risulta pacifico che il decreto ingiuntivo, relativo alla restituzione delle somme mutuate, sul presupposto dell’inadempimento dei mutuatari, è stato richiesto ed ottenuto proprio dalla Finmolise S.p.A., odierna ricorrente, alla quale, come si ricava dalla lettura della sentenza impugnata è stato anche notificato l’atto di opposizione (cfr. pag. 4, ove si riferisce dell’opposizione proposta nei confronti della Finmolise S.p.A. e pag. 6, ove si rammenta che i debitori ingiunti avevano appunto citato la ricorrente nel giudizio di opposizione). Ciò trova conforto anche nella visione dell’atto di opposizione che risulta infatti indirizzato alla Finmolise S.p.A., nella persona del legale rapp.te, Dott. T.M. ed a ministero dell’avv. S.C. (costituendo un mero lapsus calami, l’indicazione nella relata di notifica della s.r.l., quale ragione sociale della società opposta, sempre correttamente individuata in citazione come S.p.A.).

Tuttavia a contrastare l’opposizione ebbe a costituirsi la Finmolise Servizi e Sviluppo S.r.l., società alla quale era stato ceduto il ramo di azienda cui afferiva il rapporto di mutuo posto a fondamento della domanda monitoria, con una costituzione che deve correttamente essere qualificata in termini di intervento del successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c.

Depone in tal senso la giurisprudenza di legittimità che ha appunto ricondotto alla previsione di cui all’art. 111 c.p.c. le vicende che vedono il trasferimento di rapporti obbligatori in conseguenza di cessioni di ramo d’azienda (in tal senso si veda Cass. n. 22918/2013 secondo cui il trasferimento di azienda attribuisce al cessionario autonoma legittimazione all’impugnazione della sentenza sfavorevole al cedente, stante l’opponibilità del giudicato nei suoi confronti, quale successore a titolo particolare; a ciò si aggiunge un’autonoma ragione di legittimazione processuale all’impugnazione, nel caso in cui la sentenza risulti emessa nei confronti del cessionario, che non abbia partecipato al giudizio e sia stato erroneamente identificato con il cedente; conf. Cass. n. 9298/2012, a mente della quale il principio secondo cui l’interventore “ad adiuvandum”, ex art. 105 c.p.c., è privo di un’autonoma legittimazione ad impugnare in assenza di impugnazione della parte principale, non trova applicazione quando l’intervento in questione sia stato compiuto dal successore a titolo particolare nel diritto controverso, nella specie, cessionario di ramo d’azienda).

La circostanza che a richiedere il decreto opposto sia stata proprio la ricorrente e che alla stessa sia stata notificata l’opposizione, non fa venire meno in capo alla medesima la qualità di parte originaria del giudizio, e ciò ancorchè non abbia deciso inizialmente di costituirsi in sede di opposizione, lasciando tale incombenza alla cessionaria del credito, alla quale invece correttamente deve essere attribuita la qualità di interventrice, ma con le caratteristiche peculiari del tipo di intervento disciplinato per il successore a titolo particolare dall’art. 111 c.p.c.

In tal senso la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che (Cass. n. 18767/2017) il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che abbia spiegato intervento volontario, assume nel processo una posizione coincidente con quella del suo dante causa, divenendo titolare del diritto in contestazione; pertanto il suo intervento – che è regolato dall’art. 111 c.p.c. e non dall’art. 105 c.p.c. e dà luogo ad una fattispecie di litisconsorzio necessario – non può essere qualificato come intervento adesivo dipendente e, se svolto in appello, mediante mera riproposizione dei motivi dell’impugnazione proposta dal dante causa, non soggiace ai limiti di cui all’art. 344 c.p.c. e non integra un’impugnazione incidentale tardiva (conf. Cass. n. 15674/2007, che ha appunto ritenuto, proprio in relazione alla cessione del credito oggetto di un decreto ingiuntivo opposto, che la società cessionaria, successore a titolo particolare nel diritto controverso, aveva titolo, in quanto parte, a chiedere la conferma dell’opposto decreto; si veda anche Cass. n. 3341/1987, che ha esteso tale regola anche al caso in cui il trasferimento del diritto avvenga dopo la notifica del decreto ingiuntivo).

L’attribuzione alla ricorrente della qualità di parte opposta, sebbene inizialmente contumace, impone quindi di dover esaminare l’ammissibilità della domanda dalla stessa avanzata all’atto della successiva costituzione in base alle regole che presiedono alla possibilità di domande riconvenzionali da parte dell’opposto, risultando quindi del tutto erroneo il riferimento della difesa della ricorrente alle diverse previsioni di cui al combinato disposto degli artt. 105 e 268 c.p.c.

Avuto invece riguardo alla posizione dell’opposto, va ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 5415/2019) nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una “reconventio reconventionis” che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (conf. ex multis Cass. n. 16564/2018), domanda che peraltro deve essere proposta con la comparsa di risposta e non anche nel corso del giudizio di primo grado (cfr. Cass. n. 22754/2013).

L’inammissibilità della domanda proposta da parte della ricorrente a seguito della sua tardiva costituzione, trova poi conferma anche nel recente arresto delle Sezioni Unite di cui alla sentenza n. 22404/2018, che nel declinare gli effetti della sentenza delle Sezioni Unite n. 12310/2015 in tema di cd. domande complanari, e con specifico riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha precisato che nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta.

L’avvenuta proposizione della domanda della Finmolise S.p.A. volta ad ottenere la ripetizione delle somme dovute ex art. 2033 ovvero ex art. 2041 c.c. solo pochi giorni prima della scadenza del secondo termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, ma dopo la maturazione del primo termine, rende evidente quindi l’inammissibilità della medesima, dovendosi pertanto confermare la soluzione dei giudici di appello, ancorchè sulla base di una diversa motivazione.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato Milione che all’esito della discussione se ne è dichiarata antistataria.

Nulla a provvedere quanto alla società cessionaria del credito rimasta intimata in questa fase.

6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato Maria Pina Milione;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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