Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4603 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4603 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GRECO ANTONIO

Tributi – elusione
fiscale

SENTENZA

sul ricorso preposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n.
12;

.A66Q

ricorrente

contro
FRAPI spa,

rappresentata e difesa dall’avv. Claudio Berliri e

dall’avv. Alessandro Cogliati Dezza, presso i quali è
elettivamente dcmiciliata alla via Alessandro Farnese n. 7;

controricorrente

avverso la sentenza della °ammissione tributaria regionale
delle Marche n. 170/1/06 depositata il 14 diceffibre 2006;
Udita la relazione della

causa

svolta nella pubblica

udienza del 9 maggio 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito l’avv. Claudio Berliri per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Giulio Romano, che ha concluso per
l’inarmdssibilità, ed in subordine per l’accoglimento, del
ricorso.

Data pubblicazione: 26/02/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cRAsazione,
sulla base di due motivi, nei confronti della sentenza della
Carmissicme tributaria regionale delle Marche che, accogliendo
l’appello della spa Frapi, ha annullato l’avviso di accertamento
can il quale veniva rettificata la dichiarazione resa per il
periodo d’imposta 1998-1999 e determinata una maggiore IRPEG,
oltre ad interessi e sanzioni, recuperando il credito d’imposta
ritenuta elusiva ai sensi dell’art. 37 bis del d.P.R. 29
setteffibre 1973, n. 600.
La Frapi spa, già piuprietaria del 20% delle azioni della
Bafin spa, il 26 giugno 1998 acquistava l’ulteriore 80% delle
azioni dai soci Bacchicchi, Balestra, Pieralisi e Càsoli al
prezzo di lire 100.803.072.000 e detentrice, dell’intero
pacchetto azianario, il successivo 1 0 luglio, in forza di formale
delibera asseffibleare incassava i dividendi della Bafin per lire
20.016.600.000, can attribuzione di un credito d’imposta pieno
per lire 10.685.108.000 ed un credito d’imposta limitato per lire
1.070.641.000.
Il 30 luglio 1998 la società contribuente cedeva ad un
terzo soggetto, la spa Fidarf in, l’intero pacchetto azionario
della Bafin al prezzo di lire 106.000.000.000.
Secondo la contestazione dell’ufficio finanziario
l’acquisto da parte della Frapi dell’80% delle azioni Baf in,
l’incasso dei dividendi e la vendita della totalità delle azioni
della Bafin rappresentavano il disegno unitario realizzato al
solo fine di trasformare in dividendi ai sensi dell’art. 56 del
tuir la plusvalenza latente che la contribuente avrebbe
realizzato ex art. 54 se avesse ceduto (direttamente) il 20%
delle azioni della Bafin originariamente posseduto: il disegno
posto in essere, attesi tempi e modi di effettuazione, non poteva
trovare altra giustificazione che quella del detto aggiramento,
rappresentando “uno stratagemma Che aveva consentito alla
contribuente di realizzare di fatto una plusvalenza can il nome
di dividendo”.
Il giudice d’appello ha ritenuto di tutta evidenza che la
complessa operazione finanziaria non aveva avuto la durata di

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sui dividendi a seguito del disconoscimento di un’operazione

soli 30 giorni, come sostenuto dall’ufficio, ma era stata di
portata ben più vasta e camplessa, “integrando il tutto quel
requisito delle valide ragioni econcmiahe di cui all’art. 37 bis
del d.P.R. n. 600 del 1973. E ciò sulla base di prove documentali
che la complessa operazione aveva origine nel 1988 ed in modo più
significativo nel 1997 (acquisizione del 10% del pacchetto
azionario della Baf in, seguito nel 1996 dall’acquisto di un
ulteriore 10%; studio concernente il potenziale economico della

intermediazione londinese che proponeva alla Frapi l’affidamento
del mandato esclusivo a vendere le azioni Baf in, can rinuncia al
diritto di prelazione; assunzione da parte della contribuente
dell’iniziativa di condurre in proprio “trattative tese alla
maggiore valorizzazione del gruppo Bafin e cceceguemtenente del
proprio gruppo finanziario”, e quindi “trattative con vari
investitori istituzionali., e alla fine di gennaio 1998 accordo
con un pool di investitori – IMI, AEN-AMRO, Generai Electric,
Credit Agricole Indosuez; incarico a primarie società di
consulenza di eseguire indagini di carattere cammerciale ed
econanico-patrimcniali-finanziarie sul gruppo Baf in, in base ai
risultati delle quali la contribuente “si era determinata
all’acquisto del pacchetto azionario dei soci Baf in, 1’80% del
capitale sociale, e quindi alla successiva vendita alla spa
Fidarfin controllata dagli Investitori Istituzionali”).
Can riguardo al secondo requisito necessario per integrare
un comportamento elusivo, l’aggiramento di norme e principi
tributari, la Cdmmissione regionale non ritiene che le varie e
numerose operazioni costituenti la concatenazione dei
camportanenti posti in essere dalla Contribuente possano essere
ritenuti comportamenti elusivi, rispondendo al contrario ad una
precisa strategia di investinento finanziario realizzatasi con
una serie di operazioni vere e reali.
A tale fine ritiene sia fondamentale la incontrovertibile
circostanza che i =portamenti posti in essere dal 1988 al 1998
dalla società contribuente con riguardo all’acquisto delle azioni
Bafin e alla loro cessione a Fidarfin siano stati realizzati con
soggetti assolutanente diversi dalla società contribuente stessa
e dai suoi soci, essendo i cedenti dell’80% del pacchetto

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Rafin ccmmissicmato ai primi del 1997; lettera di una società di

azianario Bafin persane fisiche non aventi alcun rapporto
societario né con la Frapi né con i soci della stessa, colme
nessun rapporto risulta esservi con la società acquirente finale
Fidarfin (viene richiamata la delibera dell’asserriblea della Ftapi
del gennaio 1998 e la quasi coeva lettera dello studio Ed Tanfo,
dalle quali risulta che le azioni erano state oggetto di
attenzione da Parte di investitori terzi; risulta poi
incontestato che la società contribuente aveva diritto di
plausibile era il suo interesse a procedere all’acquisto
dell’intero capitale sociale).
I comportamenti della contribuente oltre ad essere
legittimi e non sostitutivi di altri previsti came obbligatori,
erano stati posti in essere legittimamente ed erano assistiti da
valide ragioni economiche – la cui assenza, sostenuta
dall’ufficio, peraltro non è andata aldilà di mere enunciazioni
di principio -, ragioni puntualmente indicate, segnatamente can
riferimento agli interessi contrapposti delle parti interessate
alla cessione e all’acquisto delle azioni Bafin – persone fisiche
cedenti 1’80% della partecipazione Bafin aventi interesse a
cederla dopo la distribuzione dei dividendi, laddove la parte
acquirente avrebbe avuto interesse all’acquisto della
partecipazione inclusi i dividendi.
In ordine al contestato disegno unitario diretto a
trasformare in dividendi ex art. 56 tuir la plusvalenza che la
contribuente avrebbe realizzato ai sensi del precedente art. 54,
il giudice d’appello osserva che nel nostro ordinarrento non vi è
alcun obbligo di cessione delle azioni, in capo ai soci della
società, al cessionario finale, senza che possa essere effettuato
un passaggio intermedio di acquisizione delle azioni stesse,
prevedendo le (3114› norme una disciplina fiscale diversa, la prima
relativa alla plusvalenza, la seconda ai dividendi, discipline
tra loro indipendenti e non comportanti irrposizione di alcun
Obbligo per il contribuente di ricorrere in casi particolari
all’una o all’altra.
La violazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973
non era dunque ravvisabile soprattutto perché la società
contribuente aveva posto in essere fatti e negozi assistiti da

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prelazione sull’acquisto delle dette azioni, sicché assai

valide ragioni ecanamiche, che non potevano perciò assurgere ad
atti diretti ad aggirare ‘Obblighi e divieti della normativa
tributaria, che nella stessa non risultano essere previsti dame
unici o obbligatori. La contribuente, in conclusione, aveva
ottenuto un risparmio di imposta senza violazione di norme
tributarie – norme che neanche l’ufficio ha individuato -,
limitandosi “al comportamento fiscalmente meno oneroso fra due
alternative (art. 54 e art. 56 tuir) che l’ordinmnento all’epoca

La spa Frapi resiste con controricorso.
NCTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’amministrazione denuncia la
violazione e falsa applicazione della norma antielusiva dell’art.
37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere il giudice d’appello
ritenuto che per aversi elusione normativamente sanzionata ci si
debba limitare ad una valutazione della liceità o meno dei fatti
ed atti giuridici cui sia stato imputato l’ottenimento di un
vantaggio fiscale indebito, senza rilevare, al contrario, come lo
scrutinio della liceità o meno del ccmportamento giuridico è
estraneo al concetto di elusione, essendo proprio dell’altro e
differente concetto di evasione fiscale; o, analogamente, per
aver ritenuto che, a petto di un comportamento fiscalmente
elusivo, debba necessariamente accempagnarsi la violazione di una
o più norme diverse dalla stessa norma contenuta nel detto art.
37 bis, quando, al contrario, è il detto articolo, nella
fattispecie astratta dal medesimo contemplata, che basti sia
violato per aversi elusione fiscale.
In tali termini, in forma interrogativa, è formulato il
quesito di diritto che segue l’illustrazione del motivo, ed entro
tali limiti, a lume dell’art. 366 bis cod. proc. civ., la censura
deve essere in questa sede scrutinata.
La violazione della norma dell’art. 37 bis del d.P.R. n.
che viene addebitata alla sentenza d’appello starebbe quindi
nell’aver ritenuto che l’elusione ivi contemplata discenda solo
dalla illiceità (“ci si debba limitare ad una valutazione della
liceità o seno…”) dei fatti o atti giuridici cui sia stato
imputato l’ottenimento di un vantaggio fiscale indebito, e che ad
“un ccmportamento fiscalmente elusivo debba necessariamente

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dei fatti poneva a disposizione”.

accampagnarsi la violazione di una o più norme diverse da quella
contenuta nello stesso art. 37 bis”.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Esso infatti non coglie la ratio decidendi della decisione
o, se si vuole, è diretta a colpirne solo una parte.
In materia tributaria, secondo l’orientamento di questa
Corte, “costituisce condotta abusiva l’operazione economica che
abbia quale suo elemento predondnante ed assorbente lo scopo
opera me esse possano spiegarsi altrimenti che con il nero
conseguimento di risparmi di imposta; la prova del disegno
elusivo, nonché delle modalità di manipolazione e di alterazione
degli schemi negoziali classici, considerati care irragionevoli
in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire
a quel risultato fiscale, incombe sull’Anndrdstrazione
finanziaria” (Cgls. n. 21390 del 2012, n. 1465 del 2009; Cass.
sez. un. 23 dicembre 2008, n. 30055).
Ed il giudice d’appello ha anzitutto ritenuto che quella
che ha definito una “complessa operazione finanziaria!’ integrava
del tutto “quel requisito delle valide ragioni ecanamiche di cui
all’art. 37 bis” citato, emerso dall’esame delle prove
docunentali, taluna delle quali di epoca risalente, del quale
dava analiticanente conto.
Ha poi ritenuto, ai fini dell’integrazione del
comportamento elusivo, fosse necessario un “secondo requisito”,
consistente (xxi nella diretta violazione ma) nello “aggiranemto
di norma e principi tributari” e non ravvisabile nella specie,
ave la concatenazione dei camportanenti della contribuente non
potevano “essere ritenuti camportamenti elusivi, rispondendo al
contrario ad una precisa strategia di investimento finanziario
realizzatasi con una serie di operazione ritenute vere e reali”,
delle quali ha dato conto in modo puntuale.
Ha quindi sottolineato come i comportamenti della
contribuente erano non solo legittimi e non sostitutivi di altri
previsti come Obbligatori, ma assistiti da valide ragioni
econondche, in ordine alla contestata mancanza delle quali
l’ufficio non era andato al di là di mere enunciazioni di
principio.

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elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non

Sembra potersi osservare che la fungibilità della
operazione di vendita diretta da parte della cantribuente ad un
terzo del 20% delle azioni Bafin con la doppia operazione di
acquisto del residuo 80% delle azioni Bafin e di successiva
vendita della totalità delle stesse al terzo sia rimasta allo
stato di ipotesi del tutto teorica, non avendo l’ufficio provato
le modalità di manipolazione e di alterazioni degli schemi
negoziali classici

considerati irragionevoli in una normale

Osserva in proposito la società contribuente nel
cantroricorso che “affermare che per una società finanziaria
acquistare la quota dell’80% di una società, approvare la
distribuzione del dividendo, e quindi cedere l’intero pacchetto
azionario sarebbe un modo artificioso di procedere, significa
volutamente ignorare l’esistenza del mondo finanziario e del
mercato borsistico, in cui giornalmente i broker acquistano e
vendono azioni, per poi rivenderle o riacquistarle dopo pochi
giorni, in base arandamento del marcato… ritenere sospetto
l’acquisto dell’intero pacchetto azionario di altra società da
parte di una finanziaria, per poter così procedere alla
distribuzione e all’incasso di dividendi per oltre 20 miliardi è
cosa realmente incauprensibile”; e, quanto all’ipotesi della
vendita del 20% delle azioni Bafin in possesso della
contribuente, osserva che “non è detto che la Fidarfin avrebbe
acquistato un solo 20% e non è dato sapere quale sarebbe stato il
prezzo. Ed in ogni caso non avrebbe realizzato i maggiori utili
derivanti dall’acquisto, e successiva rivendita dopo l’incasso
dei relativi dividendi del’ 80% del capitale della Bafin”.
Can il secondo motivo, denuncia contraddittoria,
insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso
e decisivo del giudizio, da ricondurre ad un vizio strutturale
nell’utilizzo del materiale istruttorio a disposizione,. al fine
di spiegare la sussistenza di valide ragioni ecanomiche
all’operazione posta in essere dalla società.
Il motivo, per le ragioni esposte, si palesa anch’esso
infondato.
Il ricorso va pertanto rigettato.

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logica di mercato” (Càss. n. 1465 del 2009, cit.).

Le spese del presente giudizio seguono la soccoMbenza e si
liquidano come in dispositivo.
P . Q .M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, liquidate in euro 20.000 ivi compresi euro 200
per esborsi.

Così deciso in Roma il 9 maggio 2013.

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