Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4603 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 19/02/2021), n.4603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28184-2019 proposto da:

AZIENDA USL TA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio

dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ELEONORA COLETTA;

– ricorrente –

contro

C.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIANTURCO N. 1, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA

LENOCI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE BRUNETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 184/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza n. 184 pubblicata il 30.5.2019 e notificata il 30.7.2019, in accoglimento dell’appello principale di C.M.A. e in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’Azienda USL TA al pagamento in favore della predetta della somma di Euro 25.382,06, oggetto del decreto ingiuntivo n. 2704/06 emesso dal Tribunale di Taranto, dovuta a titolo di differenze retributive per il periodo gennaio 2001-settembre 2006; ha respinto l’appello incidentale dell’Asl;

2. la Corte territoriale ha dato atto della riproposizione, da parte dell’appellante principale, dell’eccezione già ritualmente sollevata in primo grado e disattesa dal Tribunale, di inammissibilità dell’opposizione dell’Asl avverso il decreto ingiuntivo; ha, comunque, rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione processuale dell’organo rappresentativo della predetta Azienda, in particolare la omessa produzione in giudizio dell’autorizzazione ad agire in giudizio in favore del Direttore Generale, necessaria ai sensi dell’art. 75 c.p.c., comma 3, e delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 e del Reg. Regione Puglia 20 dicembre 2002, n. 9, e del mandato conferito dal Direttore Generale al difensore;

3. ha poi, comunque, affrontato le questioni di merito e motivato la riforma della sentenza di primo grado richiamando i propri precedenti (sentenze nn. 50, 51 e 52 del 2012, prodotte in causa) emessi in controversie tra l’Asl Ta/1 e operatrici SISH aventi ad oggetto l’opposizione a decreti ingiuntivi pronunciati per crediti analoghi a quelli vantati dalla parte appellata; ha precisato come in tali precedenti pronunce fossero state affrontate tutte le questioni sollevate in questo procedimento ed ha richiamato per relationem, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., n. 2 le motivazioni ivi contenute, specificando come non sussistesse alcuna differenza tra la fattispecie oggetto di causa e quelle già decise con le citate sentenze e come la sentenza impugnata nel caso di specie non fosse idonea a determinare valutazioni difformi;

4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale TA, affidato a sette motivi, cui ha resistito con controricorso la lavoratrice;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. col primo motivo di ricorso l’Azienda USL TA ha dedotto violazione o falsa applicazione degli artt. 75,82,83,125 c.p.c. e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, della L.R. Puglia n. 36 del 1994, art. 16 e del Reg. R. Puglia n. 9 del 2002, art. 2 (art. 360 c.p.c., comma 1);

7. ha sostenuto come, in base alle disposizioni richiamate e alla giurisprudenza di legittimità, dovesse considerarsi sufficiente la procura rilasciata dal Direttore Generale al professionista, nel caso di specie peraltro legale interno all’Ente, senza necessità di preventivi atti autorizzatori che dovrebbero essere rilasciati dal Direttore Generale a se stesso;

8. col secondo motivo l’Asl ricorrente ha denunciato violazione e/o falsa applicazione degli artt. 75,82,83,125 c.p.c. e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, della L.R. Puglia n. 36 del 1994, art. 16 e del Reg. R. Puglia n. 9 del 2002, art. 2 (art. 360 c.p.c., comma 1); violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 112c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1);

9. ha addebitato alla sentenza impugnata di avere male applicato la regola di distribuzione dell’onere probatorio affermando che era onere degli opponenti in primo grado, appellanti principali, dimostrare la sussistenza dei presupposti fattuali di un ipotetico difetto di legittimazione processuale;

10. col terzo motivo l’Asl ha censurato la sentenza d’appello per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116,132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., comma 6. Nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1);

11. ha argomentato la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per avere la Corte d’appello affermato, contrariamente al vero, che l’Asl non aveva contestato i conteggi di controparte e le singole voci di calcolo; ha trascritto, nelle parti rilevanti, il ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo al fine di dimostrare la avvenuta contestazione dei conteggi quanto all’orario di lavoro settimanale degli operatori SISH;

12. col quarto motivo l’Azienda ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116,132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., comma 6. Nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1);

13. ha esposto le medesime censure, relative al mancato rilievo di avvenuta contestazione dei conteggi, come omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti;

14. col quinto motivo l’Azienda ha denunciato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112,113,115,116,132,416c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la sentenza impugnata invertito gli oneri di prova;

15. ha affermato di avere contestato nella memoria di costituzione in primo grado lo svolgimento delle ore lavorative, anche attraverso apposita produzione documentale, nonchè l’attribuzione automatica della progressione orizzontale ed ha criticato la decisione d’appello per avere addossato all’Asl l’onere di provare l’insussistenza dei fatti contestati, anzichè alla lavoratrice, onerata, i presupposti del diritto azionato;

16. col sesto motivo l’Azienda ricorrente ha denunciato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112,113,115,116,132 c.p.c.;

17. ha motivato le violazioni di legge sul rilievo che l’Asl avesse non solo contestato le allegazioni di controparte, ma anche dimostrato lo svolgimento ridotto degli orari di lavoro attraverso la produzione degli accordi sottoscritti e delle delibere adottate, specificamente elencate; ha affermato che i lavoratori non avessero mai sostenuto di aver svolto orari diversi da quelli indicati nelle citate delibere ed ha criticato la valutazione di attendibilità della testimone M.F. operata dal Tribunale sottolineando come la stessa fosse a sua volta operatrice SISH e parte del medesimo contenzioso; ha ribadito come le progressioni economiche orizzontali di cui all’art. 35 CCNL citato non spettassero in modo automatico ma fossero subordinate a procedure selettive mai espletate negli anni oggetto di causa e come pertanto fossero state erroneamente riconosciute alla controricorrente;

18. col settimo motivo di ricorso è dedotto il vizio di motivazione mancante e/o apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la motivazione della sentenza impugnata si esaurisce nel richiamo per relationem a tre precedenti emessi dalla medesima Corte non assimilabili alla vicenda in oggetto per la diversità dei ruoli delle parti processuali e per l’oggetto non del tutto coincidente in quanto non comprensivo delle somme pretese dai lavoratori a titolo di TFR, ferie e festività non retribuite; rispetto ai profili estranei al thema decidendum dei precedenti richiamati, mancano nella sentenza impugnata la necessaria esposizione dei fatti e delle ragioni giuridiche della decisione, con violazione degli artt. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. nonchè dell’art. 116 c.p.c. per omessa valutazione delle contrapposte tesi difensive e delle caratteristiche del caso concreto; i precedenti a cui rinvia la decisione impugnata non sarebbero utilmente richiamabili, ai fini dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto collegati ai fatti storici oggetto delle specifiche cause e alle preclusioni processuali ivi verificatesi, relativi alla mancata contestazione da parte dell’Asl delle allegazioni sull’orario di lavoro effettivamente svolto e alle preclusioni determinate dal giudicato esterno di cui alla sentenza n. 5077 del 2003; nel caso di specie, si sostiene, l’Asl ha puntualmente contestato le allegazioni delle controparti sì da ottenere una sentenza favorevole, anche quanto alla estraneità del diritto alla progressione orizzontale dall’ambito del giudicato esterno, appellata dai lavoratori;

19. secondo parte ricorrente, le lacune che derivano alla sentenza impugnata dal richiamo di precedenti che non coprono l’intero thema decidendum rendono la motivazione meramente apparente e quindi nulla;

20. si esaminano anzitutto i motivi da tre a sette, aventi carattere assorbente ai fini della decisione;

21. tali motivi di ricorso presentano alcuni profili di inammissibilità in quanto formulati attraverso la denuncia di violazione e falsa applicazione di diversi articoli del codice di procedura civile (in particolare, artt. 112,113,116 c.p.c.) senza che sia specificato in quali atti processuali e in che modo si sarebbe realizzata la dedotta divergenza dalle disposizioni processuali; il che rende i motivi in esame in buona parte non specifici;

22. le censure articolate in modo più specifico sono a loro volta inammissibili per altre ragioni oppure infondate;

23. col terzo motivo si contesta la statuizione per relationem della sentenza d’appello laddove si afferma “risultando dagli atti che mai l’appellante ha contestato idoneamente quanto dedotto dalla controparte in ordine all’orario osservato”; ciò sul presupposto dell’avvenuta contestazione sul punto nel ricorso in opposizione debitamente trascritto;

24. in realtà, la contestazione contenuta nel ricorso in opposizione non investe l’orario di lavoro “osservato” in concreto dai dipendenti e su cui sono state calcolate le differenze retributive ma pretende di desumere l’orario di lavoro da retribuire da quello formalmente “pattuito” negli accordi e nelle delibere citate, peraltro limitate agli anni 2002 e 2003; al riguardo, le sentenze richiamate per relationem da quella impugnata e allegate al controricorso hanno motivato sulla irrilevanza degli accordi e delle delibere invocate dall’Asl per dimostrare un orario settimanale di 24 ore in quanto non solo dichiarati illegittimi nella sentenza del Tribunale n. 5077 del 2003 costituente giudicato esterno, ma inidonei a dimostrare “l’effettivo orario svolto da ogni singolo operatore durante l’intero periodo dedotto in giudizio”; la censura mossa risulta all’evidenza infondata;

25. il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto denuncia violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni indicate nel primo motivo di ricorso ma sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di contraddittorio; esclusa la sussistenza di un error in procedendo sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c., per le ragioni sopra esposte, non vi è spazio per configurare il vizio motivazionale in quanto l’omesso esame, secondo la stessa prospettazione dell’Azienda ricorrente, non concerne un fatto in senso storico fenomenico bensì un fatto processuale e si colloca quindi al di fuori dello schema legale dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 2014;

26. il quinto e sesto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto in parte sovrapponibili;

27. la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c. si fonda sul presupposto dell’avvenuta prova, da parte dell’Asl, dell’orario di lavoro “pattuito” attraverso la produzione degli accordi e delle delibere sopra citate e sulla erronea valutazione di attendibilità da parte del Tribunale della deposizione testimoniale della sig.ra M.F. che ha riferito di un orario effettivo di lavoro svolto di 36 ore settimanali;

28. la censura investe, come si ricava agevolmente, la valutazione delle prove come eseguita dai giudici di merito, estranea al giudizio di legittimità, e nulla ha a che vedere con la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. che presuppone una inversione degli oneri di prova;

29. la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 35 CCNL a causa del riconoscimento della progressione orizzontale è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto la questione della applicabilità agli operatori SISH del CCNL Comparto Sanità e della conseguente parificazione dei predetti al personale dipendente dell’Azienda sotto il profilo economico e assicurativo-previdenziale, preclusa dall’accertamento contenuto nel giudicato esterno;

30. anche il settimo motivo è infondato;

31. questa Corte ha statuito che “La motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, atteso che l’art. 118 disp. att. c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 69 del 2009, consente di rendere i motivi della decisione attraverso una succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi. In particolare, è consentita la motivazione della sentenza mediante rinvio ad un precedente del medesimo ufficio, sempre che, al fine di rendere comunque possibile ed agevole il controllo della motivazione, si dia conto dell’identità contenutistica della situazione di fatto e di diritto tra il caso deciso dal precedente e quello oggetto di decisione” (Cass. 8053 del 2012);

32. si è ulteriormente precisato (Cass. n. 17640 del 2016) che “La sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio, in quanto il riferimento ai “precedenti conformi” contenuto nell’art. 118 disp. att. c.p.c. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile; in tal caso, la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, sicchè la parte che intenda impugnarla ha l’onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l’operazione inclusiva del precedente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione”;

33. nel caso di specie, la sentenza impugnata dà atto, ai fini dell’art. 118 disp. att. c.p.c., della totale sovrapponibilità della fattispecie oggetto di causa e di quelle già decise con le pronunce richiamate per relationem ed inoltre della identità delle questioni giuridiche poste nel ricorso in appello con quelle già affrontate dalla medesima Corte di merito nei precedenti richiamati; dà atto inoltre della produzione in giudizio delle sentenze richiamate per relationem; ciò consente di ritenere integrati i requisiti richiesti dal citato art. 118 disp. att. c.p.c. e ad escludere il vizio di motivazione omessa o apparente, costituendo le motivazioni delle sentenze richiamate parte integrante della decisione;

34. la critica mossa col settimo motivo di ricorso poggia inoltre sull’assunto della coincidenza solo parziale del thema decidendum della sentenza impugnata rispetto ai precedenti richiamati per relationem in quanto questi ultimi non avevano ad oggetto domande di compenso a titolo di TFR, indennità per ferie e festività; inoltre avevano ritenuto non dimostrata la contestazione dell’Asl sull’orario di lavoro settimanale, invece provata nel caso di specie tanto da aver determinato la pronuncia di una sentenza favorevole all’Azienda ed appellata dai lavoratori, con conseguente differenza di ruoli delle parti processuali;

35. la censura è inammissibile nella parte in cui non trascrive gli atti processuali atti a dimostrare il diverso thema decidendum tra il presente procedimento e quelli decisi con le sentenze richiamate per relationem; è infondata laddove postula una diversità di ruoli ed esiti processuali, atteso che nel caso di specie, come si evince dalla pronuncia d’appello qui impugnata (n. 491 del 2018) la sentenza di primo grado aveva respinto il ricorso in opposizione dell’Asl ed è stata dalla medesima appellata;

36. le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso, risultando assorbiti i primi due motivi;

37. le spese di lite seguono il criterio di soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;

38. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. Michele Brunetti, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

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