Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4599 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 22/02/2017,  n. 4599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SABITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1902/2012 proposto da:

S.V., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA NICOTERA 24, presso lo STUDIO SPOSATO LUCA E FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO GIANNANDREA, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.G. S.N.C., già R.G. & P. S.N.C., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso l’avvocato CARLO

COLAPINTO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

contro

AGENZIA REGIONALE PER IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO PUGLIA;

– intimata –

Nonchè da:

AGENZIA REGIONALE PER IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO PUGLIA

A.DI.S.U. PUGLIA (P.I. (OMISSIS)), in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO BOCCARDO

26, presso l’avvocato GENNARO FREDELLA, rappresentata e difesa

dall’avvocato VINCENZO MONTERISI, giusta procura in calce alla copia

del ricorso notificato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.V., R.G. S.N.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1119/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIANNANDREA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

MONTERISI che si riporta al controricorso per l’accoglimento del

proprio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del motivo

primo, secondo, quarto, terzo e quinto; rigetto del motivo sesto e

settimo, assorbimento dell’incidentale condizionato, accoglimento

dell’istanza art. 96 c.p.c., per lite temeraria.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.V. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bari l’Ente per il Diritto allo Studio Universitario (EDISU) per sentirlo condannare al pagamento del saldo del compenso per lo svolgimento delle funzioni e dell’attività di Direttore dei Lavori svolte in occasione dell’appalto del 1 e del 2 lotto dei lavori di costruzione della residenza per studenti fuori sede, aggiudicati alla S.n.c. R.G. e P.. L’attore dedusse che la clausola secondo cui il compenso per la direzione lavori sarebbe stato corrisposto dall’appaltatrice non escludeva il suo diritto di chiederlo direttamente al committente.

Nel contraddittorio con l’EDISU e la Società R., di cui era stata autorizzata la chiamata in garanzia, il Tribunale adito rigettò la domanda principale e quella di manleva, dichiarò inammissibile l’azione d’arricchimento, avanzata ex art. 183 c.p.c., comma 5, e rigettò, pure, il chiesto risarcimento per lite temeraria.

Con sentenza depositata il 23.11.2010, la Corte d’Appello di Bari rigettò il gravame del S., osservando che: a) l’allegazione secondo cui lo stesso avrebbe svolto le funzioni di DL per conto dell’Ente committente non era fondata, in quanto difettava un rapporto obbligatorio di fonte contrattuale, in assenza di formale conferimento di incarico da parte dell’Ente stesso e della stipula di apposito disciplinare redatto in forma scritta ad substantiam, tanto che il professionista aveva allegato l’instaurazione di un rapporto di servizio di fatto “in senso lato” con l’Ente, privo di riferimenti normativi ed inidoneo, quand’anche dimostrato, a costituire fonte di obbligazione; b) l’azione d’ingiustificato arricchimento era inammissibile, perchè proposta tardivamente con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, ed era, comunque, improponibile, per difetto del requisito della sussidiarietà, sussistendo l’azione contrattuale nei confronti dell’appaltatrice. In accoglimento dell’appello dell’ADISU (Agenzia per il Diritto allo Studio Universitario Puglia, così modificata la denominazione della committente) la Corte condannò il Professionista al risarcimento per lite temeraria.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso S.V., in base a sette articolati motivi ai quali l’ADISU ha resistito con controricorso, con cui ha proposto ricorso incidentale con due mezzi. La Società R.G. S.n.c., già R.G. e P. S.n.c. ha resistito con controricorso. I ricorrenti principale ed incidentale hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo, si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, artt. 1421, 2126, 2129 e 1173 c.c., artt. 99, 112, 115 e 100 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 324, 342, 343 e 346 c.p.c., “nullità della sentenza e/o del procedimento, per omesso rilievo del giudicato interno sulla qualificazione pubblicistica del rapporto addotto a fondamento della domanda principale.. nonchè sulla valutazione di astratta validità ed idoneità di tale rapporto quale fonte di obbligazione di pagamento a carico dell’EDISU e sulla valutazione di irrilevanza della forma scritta al fine della instaurazione del predetto medesimo”. Il ricorrente lamenta che, nell’affermare la nullità del rapporto per difetto di forma scritta ad substantiam, la Corte territoriale ha omesso di rilevare che sull’idoneità in astratto del predetto “rapporto di fatto”, e cioè senza formale investitura, a costituire fonte di obbligazione della retribuzione si era formato il giudicato interno parziale, per averla affermata il Tribunale, senza che in parte qua fosse stato proposto appello avversario, sicchè il principio della rilevabilità ex officio delle nullità avrebbe dovuto esser coordinato con le regole del processo, ed avrebbe dovuto concludersi per la preclusione della declaratoria di nullità, per essere intervenuta pronuncia dichiarativa della validità e idoneità del rapporto. L’ambito del devolutum, prosegue il ricorrente, era, dunque, limitato a verificare nel merito le risultanze processuali per accertare se sussistessero o meno elementi di prova idonei a riscontrare l’avvenuta instaurazione del dedotto rapporto di fatto in senso lato, negata dal Tribunale per difetto di prova.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c., art. 345 c.p.c., comma 2, art. 183 c.p.c., comma 4, art. 359 c.p.c., e art. 384 c.p.c., comma 3; art. 2697 c.c., commi 1 e 2, art. 1421 c.c.; art. 24 e 111 Cost.. Il ricorrente afferma che l’eccezione dell’Ente relativa al difetto di forma scritta ad substantiam riguardava il contratto di opera professionale di natura privatistica, ma non aveva riguardato la nullità del rapporto di servizio di fatto in senso lato, mai avanzata ex adverso. La Corte d’Appello aveva, pertanto, errato nel ritenere applicabile l’art. 1421 c.c., alla fattispecie non contrattuale al suo esame, sulla base di una quaestio nullitatis mai dibattuta in prime cure nè in riferimento ad elementi di fatto nè alla disciplina applicabile, e comunque mai sottoposta al contraddittorio delle parti, in violazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, quando, piuttosto, avrebbe dovuto valutare nel merito i primi due motivi dell’appello principale da lui proposti per accertare l’idoneità e la sufficienza delle prove addotte a sostegno della domanda di pagamento del corrispettivo dovutogli in base menzionato rapporto di servizio di fatto in senso lato.

3. Col terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 14 preleggi, artt. 1418, 1325, 1350 e 1173 c.c., per avere la Corte d’appello omesso l’esame del merito del secondo motivo. Il ricorrente lamenta che la sentenza aveva applicato principi e richiamato giurisprudenza inerenti al rapporto di natura privatistica e ne aveva affermato l’applicabilità al caso in esame, senza addurre alcuna giustificazione, e senza considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ed in considerazione dei compiti e delle funzioni svolte, il Direttore dei lavori va considerato temporaneamente e funzionalmente inserito nell’apparato organizzativo della pA, quale organo tecnico straordinario, e, dunque, assoggettato alla giurisdizione della Corte dei Conti. Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia che la declaratoria di nullità presuppone la violazione di una norma imperativa che, nella specie, non era stata indicata, nè era stata direttamente accertata la nullità dell’allegato “rapporto di servizio di fatto in senso lato”, tanto più che nell’ordinamento vige la regola generale di libertà delle forme e di tassatività delle nullità. La giurisprudenza di legittimità, ricorda il ricorrente (a pag. 87 ricorso), ha affermato l’irrilevanza del titolo e/o della fonte in base al quale il rapporto di servizio di fatto in senso lato viene instaurato (Cass. n. 2611 del 1990) venendo, piuttosto, in considerazione “l’autorizzazione all’esercizio di una funzione pubblica”(Cass. n. 2 del 1980), ovvero un’investitura di fatto (in tema di DL, Cass. SU n. 3165 del 2011 ed altre), restando, così, esclusa, per tale tipo d’incarico, la disciplina relativa alla categoria dei contratti di natura privatistica e l’idoneità di tali rapporti di fatto a costituire fonte dell’obbligazione di pagamento del compenso ex artt. 2126 e 2129 c.c..

4. Con il quarto motivo, si deduce, sempre in riferimento alla declaratoria di nullità del rapporto di servizio di fatto in senso lato, la violazione degli artt. 2697, 2222, 2230, 2126, 2129 e 1173 c.c., art. 1325 c.c., n. 2, art. 1418 c.c., commi 1 e 2, artt. 12 e 14 preleggi, R.D. n. 383 del 1934, art. 87, comma 1, art. 284; R.D. n. 2440 del 1924, artt. 16 e 17; artt. 114 e 123 Cost.; D.Lgs. n. 112 del 1998, artt. 1 e 2; D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 1 e segg.. Il ricorrente ribadisce che tali disposizioni sono applicabili esclusivamente in ipotesi di stipula di contratti aventi natura privatistica, e non anche nel rapporto allegato da esso ricorrente, sostanzialmente rientrante nell’ambito del pubblico impiego ed afferma che la richiamata normativa non riguarda indistintamente tutti gli enti pubblici, ma solo i Comuni e gli altri Enti locali, e quindi è inapplicabile al controricorrente che è un Ente strumentale della Regione Puglia.

5. Col quinto motivo, si deduce il vizio di motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2129 e 1343 c.c., art. 1418 c.c., comma 2, artt. 1173, 2222 e 2230 c.c., art. 1325 c.c., n. 4; artt. 115 e 113 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello accertato e motivato sulla esatta natura della prestazione da lui espletata: privatistica ovvero rientrante nell’ambito del pubblico impiego, come ritenuto dal Tribunale, giacchè solo nel primo caso avrebbe potuto venire in rilievo la nullità del contratto per difetto di forma essenziale, ma non anche nel secondo, per il quale opera la fictio iuris di cui agli artt. 2126 e 2119, a fondare il credito per la relativa prestazione. Sotto altro profilo, il ricorrente afferma che la Corte ha omesso di considerare sia l’assenza del requisito della prestazione di lavoro prevalentemente proprio del professionista, sia la presenza di un vincolo di subordinazione rispetto all’Amministrazione committente, dovendo, in conclusione ritenersi sussistente la prestazione di fatto nel lavoro pubblico con conseguente credito ex artt. 2126 e 2129 c.c., al pagamento del compenso.

6. Con il sesto motivo, si deduce la violazione degli artt. 99, 100 e 112 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 342, 343 e 346 c.p.c., nonchè vizio di motivazione in relazione al rigetto della domanda di indebito arricchimento. Il ricorrente evidenzia che la Corte ha omesso di considerare che il fatto costitutivo dedotto a sostegno della domanda d’ingiustificato arricchimento coincideva sostanzialmente con quello della domanda principale, sicchè dal giudice di secondo grado avrebbe dovuto apprezzarlo sotto la diversa qualificazione giuridica addotta, con conseguente erroneità sia della statuita novità della domanda che del ritenuto suo difetto di sussidiarietà, tenuto conto che la residualità sarebbe stata evidente all’esito del rigetto del titolo dedotto a sostegno della richiesta principale. Inoltre, il ricorrente lamenta che le anzidette statuizioni sono state rese con motivazione contraddittoria ed insufficiente, tenuto conto che l’individuata azione contrattuale diretta con l’Impresa R. presupponeva che l’attività fosse stata prestata in favore di detta impresa, con conseguente contrasto logico con la declaratoria di rigetto per nullità del rapporto di servizio di fatto in senso lato, oggetto della domanda principale, statuizione “che presupponeva, comunque, l’avvenuto espletamento dell’attività e delle funzioni di DL, sia pure in assenza di una investitura formale e, quindi, di fatto direttamente in favore dell’ente pubblico”.

7. Con il settimo motivo, si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale escluso il requisito della sussidiarietà, affermando la sussistenza di un’azione contrattuale diretta con l’Impresa R.: a) con motivazione apparente, mediante rinvio alle considerazioni svolte dal Tribunale, ed omettendo l’esame del 3 motivo d’appello che era collegato coi precedenti (relativi alla prova, soprattutto documentale, del fatto costitutivo addotto a fondamento della domanda principale, id est allo svolgimento dello svolgimento dell’incarico di DL per conto dell’Ente), in evidente violazione del principio del contraddittorio; b) con motivazione insufficiente, perchè la condivisione della statuizione di prime cure era acritica, generica ed apodittica, oltre che mutuata da una convenzione (contratto d’appalto del 3.2.1993 stipulata tra l’Impresa e l’EDISU) intervenuta inter alios; c) senza considerare le risultanze processuali ed i documenti prodotti (partitamente indicati), che deponevano, in modo inequivoco, per l’avvenuta instaurazione di un rapporto di servizio in senso lato di natura pubblicistica con l’Ente, con conseguente impossibilità di un rapporto contrattuale diretto con l’Impresa e sussistenza del requisito della sussidiarietà.

8. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per intervenuta cessazione della materia del contendere: il giudicato invocato (e che si assume adempiuto) riguarda la transazione intervenuta tra la Società R. e l’odierno ricorrente, e cioè attiene ad un fatto che non determina il soddisfacimento della pretesa azionata in giudizio (cfr. Cass. n. 16150 del 2010), e, quindi, il venir meno dell’interesse ad agire (sulle refluenze di tale giudicato, cfr. infra p. 19).

9. Appare opportuno riassumere i dati salienti delle difese delle parti, che il ricorrente trascrive per autosufficienza e, poi, ribadisce più volte, secondo cui:

– a sostegno della domanda formulata con la citazione introduttiva del giudizio, il ricorrente ha allegato di non aver manifestato alcuna opposizione al patto, di cui all’art. 4 della convenzione stipulata il 3.2.1993 con cui l’Impresa appaltatrice si era impegnata a corrispondergli il compenso spettantegli quale DL, fermo restando che le funzioni e l’opera professionale erano state da lui svolte “per conto e nell’interesse dell’EDISU” (pagg. 16 e 17 ricorso);

– nel chiedere il rigetto della domanda, la committente ha eccepito la propria estraneità al rapporto, contestando a monte esser stato stipulato un contratto d’appalto, tanto che il DL non era stato nominato da parte sua ed il relativo onere era stato assunto dalla Società R., e comunque negando di aver mai concluso con l’attore alcun contratto d’opera professionale (pagg. 18 e 19), e chiedendo, in via subordinata, di esser garantito dalla predetta Società;

– con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, l’Ing. S. ha precisato che la causa petendi non si fonda su di un contratto d’opera professionale, ma “sullo svolgimento, per conto di EDISU delle funzioni e dell’attività di Direttore dei lavori (…) previo atto di nomina da parte del menzionato Ente secondo le modalità di cui all’art. 4 della citata convenzione – e quindi quale soggetto preposto dal Committente e funzionalmente inserito, sia pure temporaneamente nel relativo apparato organizzativo” (pagg. 20 e 21). in subordine, è stata avanzata domanda di pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c.;

– di rimando, l’Ente ha eccepito la prescrizione estintiva e presuntiva;

– il Tribunale, qualificato come appalto il contratto intercorso tra l’Ente e l’Impresa R., e rilevato che nessun contratto era mai stato stipulato tra l’attore e l’Ente, ha rigettato la domanda, sul presupposto che: a) l’attività prestata dall’Ing. S. era stata svolta solo in favore dell’Impresa che lo aveva nominato (in conformità della previsione dell’art. 4 del contratto), quale collaboratore professionale della stessa, mentre l’attività di Direzione dei lavori era stata demandata alla Commissione dei tre tecnici prevista dal successivo art. 5, in conformità delle previsioni del R.D. n. 350 del 1895; b) non poteva riconoscersi alcun rapporto di servizio di fatto, il cui elemento costitutivo, id est “l’inserimento del funzionario nell’organizzazione dell’ente… nel caso di specie non è dato ravvisare”;

– in seno all’appello, il ricorrente ha contestato tali conclusioni, evidenziando di aver svolto attività di direzione lavori per conto del committente, ed ha dedotto che l’assunto secondo cui non vi era prova del rapporto di servizio in senso lato era smentita dall’ingente documentazione prodotta da cui avrebbe dovuto ricavarsi la prova dell’avvenuto svolgimento dell’incarico di DL e dunque “la sussistenza dei presupposti idonei al fine di ritenere che l’odierno appellante era stato funzionalmente inserito, nel periodo di tempo durante il quale aveva espletato il relativo incarico, nell’apparato organizzativo dell’Ente pubblico, con conseguente instaurazione di “un rapporto di servizio in senso lato” con il medesimo” (cfr. pag. 125 ricorso);

– l’appello incidentale dell’Ente ha riguardato la qualificazione in termini di appalto del contratto intercorso con l’Impresa R. e la mancata valutazione dell’eccepita prescrizione, oltre che la richiesta di condanna ex art. 96 e la regolamentazione delle spese di lite.

10. I primi cinque motivi, inerenti alla statuizione sub a) di parte narrativa, da valutarsi congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono infondati.

11. Insussistente è anzitutto l’asserita formazione del giudicato interno. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7620 del 2006), l’oggetto della pronuncia del giudice è costituito esclusivamente dall’attribuzione (o dalla non attribuzione) del bene della vita conteso, onde il giudicato interno si forma sull’accoglimento o sul rigetto della domanda, e soltanto in via indiretta e mediata sulle premesse meramente logiche della decisione, e ciò in quanto è suscettibile di formare oggetto di giudicato solo il capo che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente (cfr. Cass. n. 22863 del 2007). E se è vero che il giudicato può formarsi anche sulla qualificazione giuridica di un rapporto, ciò avviene solo quando la qualificazione stessa abbia formato oggetto di specifica contestazione tra le parti e sul punto deciso, costituente antecedente necessario ed indispensabile della pronuncia sulla domanda, la parte interessata non abbia proposto impugnazione (Cass., Sez. 1, 9 febbraio 1995, n. 1473; Cass., Sez. 2, 27 agosto 2002, n. 12562 Cass. n. 10053 del 2013) Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato che nel caso in cui il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda per carenza di una delle condizioni richieste dalla legge per il riconoscimento del diritto azionato, il giudice di appello può ben rilevare la carenza di altri elementi costitutivi del diritto stesso, non potendosi ritenere formato sul punto il giudicato interno ove la parte appellata, vittoriosa per altra ragione, abbia contestato in primo grado la sussistenza dei requisiti di legge, la cui ricorrenza, dunque, non poteva ritenersi ammessa e doveva essere verificata d’ufficio, non esistendo, peraltro, tra detta questione e quella decisa dal primo giudice alcun rapporto di dipendenza indissolubile e non ponendosi essa neppure come premessa necessaria o presupposto logico indefettibile della decisione, come sarebbe stato necessario per formarsi il giudicato implicito (Cass. n. 9486/2007; n. 1532/2000; n. 12084/1998; n. 11228/1997).

12. Alla stregua di tali principi, risulta evidente l’infondatezza della pretesa del ricorrente di suddividere l’unica statuizione – rigetto della domanda di riconoscimento del rapporto di servizio di fatto – in due capi: l’uno, in tesi passato in giudicato, volto ad affermare un’astratta idoneità del rapporto di fatto a costituire fonte dell’obbligazione e l’altro ad affermare l’insussistenza di tale rapporto nel caso concreto, in quanto la ritenuta assenza dell’elemento costitutivo di detto rapporto di fatto (elemento individuato nell’inserimento del funzionario nell’organizzazione dell’ente) esclude che la prima affermazione abbia una propria individualità, costituendo una mera premessa logica della statuizione in concreto adottata. In altri termini, il Tribunale ha affermato esistere nell’ordinamento l’istituto del funzionario di fatto, ma ha ritenuto che il caso al suo esame non potesse esservi sussunto, statuizione che esclude da una parte l’interesse dell’Ente vittorioso (che aveva negato di essere debitore) a contrastare, anche ex art. 346 c.p.c., la validità del riconosciuto principio, non essendone in alcun modo pregiudicato, e dall’altra il vantaggio del ricorrente, il quale, infatti, con ragionamento sofistico, intende avvalersene sovvertendo i termini della decisione, laddove afferma che la pronuncia di rigetto è data sul presupposto dell’instaurazione (sia pur in astratto) di un rapporto di servizio.

13. Va, quindi, precisato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rapporto di pubblico impiego è ravvisabile in presenza di “un continuativo e non occasionale inserimento del lavoratore nell’organizzazione pubblicistica dell’ente” (cfr. Cass. SU n. 19509/08; Cass. n. 10551/03; Cass. SU n. 8453/08 richiede espressamente “il vincolo di subordinazione gerarchica”, così come SU 8519/12), che sia rivolto ad eseguire un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente (Cass. SU n. 29094/11). In mancanza di un atto di nomina – non più necessario – e dell’inserimento formale del dipendente nell’organizzazione dell’ente, si è, quindi, al di fuori del pubblico impiego e si è in presenza di prestazioni di mero fatto, rilevanti ai sensi dell’invocato art. 2126 c.c. (cfr. Cass. n. 23265/07; n. 6260/06; e n. 5738/01), al limitato effetto del riconoscimento del diritto alla retribuzione per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione “di fatto” (cfr. Cass. SU n. 6960/1994; n. 8304/1995; n. 815/1999), in costanza dei seguenti requisiti: a) attività continuativa per lo svolgimento dei fini istituzionali dell’Ente; b) subordinazione gerarchica; c) retribuzione determinata o determinabile; se manca il primo di detti requisiti il rapporto non è di lavoro, ma occasionale; se manca il secondo si ha lavoro autonomo continuativo ex art. 409 c.p.c., n. 3, se mancano i primi due si è in presenza di un rapporto autonomo occasionale, per tale ragione sottratto pure alla competenza del giudice del lavoro.

14. Ma, nel caso concreto, i fatti da cui dovrebbe desumersi la sussistenza dei menzionati presupposti non sono stati neppure allegati, essendosi il ricorrente limitato a ribadire che lo svolgimento dell’attività di DL è di per sè solo idoneo a fondare il suo credito ex art. 2126 cc, peraltro richiesto in relazione ai compensi di cui alla tariffa professionale e non anche alla retribuzione di un dipendente dell’Ente di pari livello.

15. Correttamente, dunque, la sentenza impugnata – la cui motivazione deve intendersi integrata con le considerazioni appena esposte – ha concluso per l’inidoneità dell’invocato rapporto – quand’anche dimostrato – a costituire fonte dell’obbligazione pretesa.

16. Nè vale in contrario rilevare le peculiarità delle funzioni svolte nello svolgimento dell’incarico della direzione dei lavori degli appalti pubblici, dato che il Direttore dei Lavori, quando, come nella specie, non sia un dipendente dell’Amministrazione appaltante, è un professionista che, pur potendo assumere la veste di pubblico ufficiale nello svolgimento del compito affidatogli, rimane esterno all’Amministrazione, ha diritto al compenso regolato dalle previsioni della tariffa approvata con L. n. 143 del 1949, (appunto chiesto dal ricorrente, cfr. Cass. n. 12032 e 12521 del 2010) senza che si instauri alcun rapporto di impiego con l’Amministrazione stessa (cfr. Cass. SU 29097 del 2011 in tema di rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi del D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, art. 67).

17. A torto il ricorrente invoca a sostegno della diversa tesi propugnata la giurisprudenza secondo cui il direttore dei lavori per la realizzazione di un’opera pubblica, appaltata da un’amministrazione, in considerazione dei compiti e delle funzioni che gli sono devoluti, che comportano l’esercizio di poteri autoritativi nei confronti dell’appaltatore e l’assunzione della veste di “agente”, deve ritenersi funzionalmente e temporaneamente inserito nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione che gli ha conferito l’incarico, quale organo tecnico e straordinario della stessa. Il principio è stato, infatti, sempre, sostenuto per affermarne la soggezione alla giurisdizione della Corte dei conti in caso di danni cagionati nell’esecuzione dell’incarico stesso, ai sensi del R.D. n. 1214 del 1934, art. 52, comma 1, (norma che, per effetto della L. n. 142 del 1990, art. 58, ora D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 93, è divenuta applicabile agli amministratori ed al personale degli enti locali, la cui posizione era in precedenza regolata dalle disposizioni del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 251 e ss.). E ciò nell’intendimento di non limitare la categoria dei “responsabili” ai soli soggetti che hanno instaurato con taluno di detti enti un “rapporto di impiego”, dato che agli “impiegati” ha aggiunto le categorie degli “ufficiali” o “funzionari” (esercitanti un pubblico ufficio o una pubblica funzione indipendentemente dal titolo, che può essere anche onorario), dei “dipendenti” (anche a titolo obbligatorio), nonchè degli “amministratori” (per nomina dall’alto o per elezione dal basso); per poi concludere con il termine “agenti” che in sè stesso tende a comprendere qualunque soggetto che, a qualsivoglia titolo – e perfino per incarico occasionale – esplichi attività per conto dell’amministrazione.

18. Da tanto, consegue che le plurime violazioni di legge, attinenti all’affermata irrilevanza dell’atto scritto ad substantiam (necessario per gli atti negoziali di tutti gli enti pubblici, quale espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.; cfr. Cass. n. 9219 del 2014), alla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, riferita alla statuizione di nullità (che postula l’esistenza del giudicato interno sulla validità del rapporto di fatto, che si è visto insussistente) ed i vizi motivazionali dedotti in riferimento alle circostanze della nomina (in parte incongrui, laddove si sostiene, ai fini della prova del rapporto di fatto, che l’atto di nomina da parte dell’appaltatrice equivaleva ad una formale investitura per il preventivo benestare dell’Amministrazione), allo svolgimento dell’incarico per conto della stazione appaltante in posizione antagonista rispetto all’impresa (la presenza della Commissione dei tecnici sarebbe espressione della funzione di “alta sorveglianza e vigilanza” che si accompagnava e non sostituiva quella della DL), alla documentazione prodotta (sottoscrizione dei SAL, emanazioni di ordini di servizio, relazione sul conto finale, compilazione del verbale di consegna dei lavori, redazione dei verbale di ultimazione dei lavori, delle opere non esattamente eseguite, delle varianti in corso d’opera, dei materiali posti in opera, comunicazione scritte agli Enti, redazione di perizia suppletiva, partecipazione alle visite) risultano assorbite, perchè inidonee, come già affermato dalla Corte territoriale ed alla stregua di quanto si è esposto, a provare che, tramite lo svolgimento dell’incarico di DL, si sia instaurato “un rapporto di servizio in senso lato” con l’Ente appaltante.

19. Il settimo motivo, che va ora esaminato perchè a carattere più liquido, va rigettato. E’ noto che l’azione di indebito arricchimento non può essere proposta quando, come recita l’art. 2042 c.c., il danneggiato “può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”. L’azione è, infatti, sussidiaria, requisito che va escluso allorchè esista altra azione esperibile nei confronti dell’arricchito, o di persona diversa da esso. Nella specie, il ricorrente disponeva di azione contrattuale nei confronti dell’Impresa, per ottenere la remunerazione dell’attività svolta, azione che peraltro ha proposto e che si è conclusa con la transazione, di cui si è detto al p.8. Resta appena da aggiungere che il vizio motivazionale dedotto non è utilmente predicabile, essendo detta censura riferibile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, solo, a profili di fatto e non anche a questioni di diritto, quale è quella relativa ai presupposti per la proponibilità dell’actio de in rem verso.

20. La questione della tempestività della proposizione della domanda d’ingiustificato arricchimento, oggetto del sesto motivo è inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto il suo accoglimento non potrebbe comunque condurre alla cassazione della decisione, essendo passata in giudicato una delle due ragioni (difetto di sussidiarietà) ritenute dalla Corte preclusive del relativo accoglimento (Cass. SU n. 7931 del 2013).

21. I due motivi del ricorso incidentale condizionato (relativi all’omessa valutazione dell’eccezione di prescrizione, ed alla domanda di garanzia) restano assorbiti.

22. La richiesta di condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria, avanzata dall’ADISU, va accolta per le medesime ragioni indicate dalla Corte di merito, e cioè la consapevolezza dell’infondatezza della tesi nei confronti dell’Ente e l’intervenuto soddisfacimento della pretesa cui il ricorrente aveva diritto da parte dell’Impresa, mediante l’adempimento della transazione della lite, intervenuta con detta parte; constando, in particolare, che il ricorrente non ha adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione e comunque ha agito senza compiere alcun serio sforzo interpretativo, deduttivo, argomentativo, per mettere in discussione con criteri e metodo di scientificità il consolidato orientamento della giurisprudenza a lui sfavorevole, in violazione pure del principio che considera illecito l’abuso del processo, ovvero il ricorso ad esso con finalità strumentali (cfr. al riguardo, Cass. n. 3376 del 2016 e giurisprudenza ivi richiamata). Il ricorrente va, quindi, condannato al pagamento in favore di ADISU della somma di C 5.000,00, equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., comma 1.

23. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 5.000,00 dell’ADISU ex art. 96 c.p.c., comma 1, nonchè al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 8.200,00, cui Euro 200,00, per spese vive, in favore della predetta Azienda, ed Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00, per spese vive, in favore della S.n.c. R.G..

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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